PINO STANCARI
I PASSI DI UN PELLEGRINO
I Canti delle ascensioni (Salmi 120 - 134)
EDITRICE ÀNCORA MILANO
INTRODUZIONE (Franco Brovelli) I "simboli" per un pellegrino Il contesto per l'ascolto |
CAMMINANDO CON IL "CUSTODE DI ISRAELE" (SALMO 121) Il capo alzato, il timore, la commozione Solo, eppure stretto in un abbraccio Dal monologo al dialogo Il Signore è il tuo custode In ogni momento, per tutti |
IL SIGNORE VEGLIA PERCHÉ I GIUSTI BENEDICANO (SALMI 125 - 126) Dentro la città santa: le risonanze del pellegrino Città stabile per l'abbraccio fedele di Dio La tentazione di condividere la logica degli empi L'invocazione della pace La contemplazione del ritorno di tutti |
IL VOLTO NUOVO DEL FIGLIO DI UN SORRISO (SALMO 131) Cuore, volto e mano di fronte a Dio Un bimbo svezzato gioca sulla tana del serpente |
IL VIAGGIO DI UN PELLEGRINO E IL NOSTRO VIAGGIO Tappe di un viaggio Per un popolo in diaspora Gerusalemme: il progetto di Dio si conferma Verso Gerusalemme, segno della riconciliazione |
NESSUN PASSO È STATO INUTILE E LA GIOIA ORA È GRANDE (SALMO 122) La visione di Gerusalemme, città della pace Una gioia che interpreta il passato La contemplazione del mistero glorioso di Gerusalemme Il volto del Messia e il nostro volto Un augurio di pace |
IL SIGNORE HA CURA DI CHI RIPOSA IN LUI: L'AMICO "DORMIENTE" (SALMI 127 - 128) L'ingresso nel tempio in costruzione Lo spazio di accoglienza per l'opera di Dio La fiducia in un Dio che tiene nelle mani il futuro La preparazione all'incontro Temere il Signore e camminare nelle sue vie ogni giorno |
L'UOMO GIURA, DIO MANTIENE (SALMO 132) Davide giura di dare casa a Dio Dio giura e promette il Messia |
DALLA DIASPORA A GERUSALEMME (SALMO 120) Un preludio significativo: Dio parla L'esperienza della diaspora e del Nome santo Il conflitto di una fede "estranea" La decisione di partire per la città della pace |
ANCHE A GERUSALEMME LA DUREZZA DELLA STORIA (SALMI 123 - 124) La città delude Devozione a Dio, sospetto e solidarietà Un grido Un orizzonte di grazia per ogni cammino La liberazione dagli inferi genera benedizione |
MA NOI VI BENEDICIAMO (SALMI 129 - 130) L'attesa di una Parola che cambi la vita La vita giudicata: la connivenza con la storia ingiusta La "benedizione" della storia ingiusta Dio ascolta il grido del cuore trafitto |
INSIEME FRATELLI: LA VITA SENZA PAURA (SALMI 133 - 134) La città: una difesa dalla fraternità Gerusalemme città della fraternità attesa La fraternità è il vero culto e la vita secondo Dio |
* CAMMINANDO CON IL "CUSTODE DI ISRAELE" SALMO 121
Il nostro amico è partito. Si è messo sulla strada attuando la sua decisione.
Il Salmo 121 ci aiuta ad accompagnare colui che ormai è diventato pellegrino nel corso del suo distacco dall'ambiente nel quale stava tanto male, quell'ambiente al quale pure appartiene e dal quale distaccarsi non è stato facile.
Ora affronta strade nuove. Ha nostalgie e ripensamenti, non mancano incertezze. Dinanzi a lui ci sono anche orizzonti nuovi: («Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto?». Così inizia il Salmo.
SALMO 121
1 Canto delle ascensioni.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l'aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà,
non prenderà sonno,
il custode d'Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
8 Il Signore veglierà su di te,
quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
Il capo alzato, il timore, la commozione
Ha camminato a testa bassa, ora alza gli occhi.
Ha guardato i sassi della strada, ha cercato di interpretare l'avanzare delle ore nel corso della giornata in base all'inclinazione dell'ombra. A testa bassa: è un tempo di ripensamento interiore, per lui. Comunque la sua avanzata procede ed egli è risoluto.
Questo suo atteggiamento di ferma intraprendenza è confermato dal gesto di alzare il capo. Un gesto da sottolineare.
Un altro pellegrino, il pellegrino per antonomasia - Gesù - alzerà gli occhi per guardare innanzi a sé mentre sale a Gerusalemme. Nel Vangelo più volte viene notato questo gesto proprio nei riguardi di Gesù. Si dice spesso: «Alzati gli occhi» o «Alzato lo sguardo al cielo».
Così il pellegrino alza il capo: dinanzi a lui l'orizzonte è chiuso: una catena di montagne. La visione per certi versi l'intimorisce. Sono montagne che devono essere affrontate, scalate e superate. Ci sono queste che si vedono e poi altre ancora: quante bisognerà affrontarne per raggiungere la montagna su cui è edificata Gerusalemme?
Insieme con il timore - si noti - c'è un senso di commozione. Da quando si è messo in viaggio tutte le montagne che si notano all'orizzonte e che egli ha buoni motivi per considerare una fatica in più sulla sua strada, tutte acquistano per lui il valore esemplare, didattico, di una conferma a riguardo della meta verso la quale è incamminato: se questa montagna in vista non è ancora quella di Gerusalemme è comunque una montagna; essa è momentaneamente occasione di fatica in più, ma assicura che non sono fuori strada. Comunque io sono indirizzato verso una montagna.
Timore ed entusiasmo si confondono.
Il pellegrino non può più volgersi indietro, non può contare su appoggi rassicuranti e situazioni nuove lo attendono: mai percorso questo territorio, mai affrontata questa regione, mai visitate queste montagne... Ecco il timore. Ed ecco, insieme, l'entusiasmo: «È proprio vero, questa montagna di oggi mi parla già della montagna verso cui sono orientati i miei passi; imparo a scrutare l'orizzonte e preparo il mio sguardo alla visione che - immancabilmente - si manifesterà ai miei occhi.
Solo, eppure stretto in un abbraccio
Il pellegrino è sempre più solo, lontano dall'ambiente solito. Quanto tempo durerà il suo viaggio?
Il Salmo ci aiuta a partecipare a quel ripensamento che occupa il cuore del pellegrino, alla sua commozione, intensissima nonostante sia priva di riscontri sensibili; una commozione che sostiene il suo entusiasmo di viandante: «Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra».
Mai come oggi quest'uomo si è reso conto di essere accompagnato. Eppure oggi è solo.
Si lamentava di essere straniero: da quando si è messo in viaggio è più straniero che mai. Ha abbandonato quella terra in cui era straniero e che pure era la sua terra. Chi incontra per la strada è sconosciuto, pericoloso; deve guardarsi da tutti e scrutare gli orizzonti e gli imprevedibili incroci. Eppure proprio adesso il pellegrino scopre di essere accompagnato. Una presenza invisibile, indefinibile e indecifrabile.
Parla di «cielo e terra». Avanza sulla superficie del mondo e avverte di essere stretto in un abbraccio: sotto il cielo e sulla terra. Il cielo è chinato su di lui e la terra lo sostiene.
Quelle montagne di cui si parlava prima, che danno insieme timore e speranza, acquistano un significato simbolico particolarmente persuasivo: sono elemento di congiunzione tra cielo e terra. Dovranno essere scalate e superate con fatica, ma confermano l'attualità dell'abbraccio che il Signore onnipotente concede mediante la docilità di tutte le creature, che si dispongono in modo da rendergli praticabile il viaggio.
L'universo intero, creatura di Dio, gli fa compagnia e il Creatore stesso gli concede questa misteriosa solidarietà con tutte le creature che stanno tra cielo e terra: un sasso nel quale urti col piede, la pioggia che ti sorprende allo scoperto, coloro che incontri lungo il percorso, ogni creatura, in prima istanza forse temuta come una possibile minaccia e poi riconosciuta come dono insostituibile, ed apprezzata. Sono tutti doni preparati provvidenzialmente allo scopo di rendere possibile un viaggio carico di entusiasmo.
Mai così solo e mai così in comunione. Tanto è vasto l'orizzonte, così è grande la presenza del Signore, mediata da una corona consolante di elementi che accompagnano il pellegrino nel viaggio, lo benedicono e custodiscono.
Dal monologo al dialogo
Il Salmo si divide nettamente in due sezioni. La prima è quella che abbiamo letto (vv. 1-2), la seconda si ha nei versetti seguenti.
C'è un evidentissimo salto grammaticale tra le due sezioni. Nella prima il pellegrino parla in prima persona singolare; nella seconda interviene un'altra voce, in terza persona: «Non lascerà vacillare il tuo Piede...».
C'è un salto. Nella prima sezione il pellegrino riflette tra sé e sé, si incoraggia. Nella seconda una voce si rivolge a lui, una voce esterna che commenta il significato della presenza di Dio e la fedeltà dell' opera svolta dal Signore per chi è in viaggio. Un commentatore interviene, un osservatore esterno che dialoga con lui.
Il passaggio dal monologo al dialogo è importante. Una esperienza di meditazione solitaria si apre al dialogo con un'altra voce: un altro viandante si avvicina, qualcuno cammina con lui. Una voce che viene da lontano. Potrebbe essere una sapienza antica, ricordi che emergono dal fondo della coscienza.
Man mano che prosegue il nostro personaggio riesce ad oggettivarsi. In un primo momento è molto preso dal bisogno di dirsi le sue cose, e questo è comprensibile, ma quanto più procede tanto più si accorge che qualcun'altro gli sta parlando.
Assume allora un atteggiamento di ascolto ed emerge allora, con evidenza incontestabile, la presenza di Dio. L'attenzione si concentra, con precisione ed onestà, dove la presenza di Dio si manifesta.
Preoccupato di sé e dei suoi progressi il pellegrino scopre che la presenza del Signore si impone. Monologava ed ora ascolta.
Non sappiamo chi sta ascoltando, ma importa poco. Si aprono spazi nuovi, insondati, nel segreto del cuore. Dio domina e tutto ruota intorno a lui. Ogni vicenda si trasforma in vera e propria contemplazione di colui che in segreto è presente, colui che sconosciuto - è il Signore.
Ricordiamo come il nostro personaggio prima di partire fosse ansiosamente aggrappato al nome indicibile di Dio. Ora avviene che da quando si è messo in viaggio - anche se ancora non ha raggiunto la meta - già incontra il Signore vivente: per il semplice fatto che è in cammino. Già aderisce alla presenza viva di colui che è Signore. La meta forse è lontana, ma il Signore è presente adesso e qui.
Il Signore è il tuo custode
La seconda sezione del Salmo è caratterizzata dalla ripetizione per sei volte di espressioni derivanti dal verbo shamar, custodire. È un tipico verbo del vocabolario pastorale: Shomèr è il custode.
Nella nostra traduzione questo insistente ritorno non appare: per tre volte appare l'espressione «custode», nei vv. 7-8 si parla di protezione e veglia. In ebraico è sempre la stessa radice. Per sei volte si insiste sullo stesso concetto: «Il Signore è il tuo custode... ».
Se si guarda all'ultimo versetto del Salmo 119 si ascoltano queste parole: «Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo... » (Sal 119, 176). Per tutto questo lungo Salmo noi abbiamo ascoltato i belati di una pecora smarrita!
Il pastore è già in cammino, alla ricerca. Ora egli è qui.
Gli stessi ostacoli, pesi e drammi sono strumento di cui il Signore si serve per dimostrare che, con pazienza e fedeltà, accompagna il fedele. Egli è così il Signore della tua vita, della tua storia e della storia del popolo e dell'umanità.
Questa sezione del Salmo si divide in tre strofe brevissime con un crescendo nel riconoscimento della presenza pastorale del Signore.
La prima sono i vv. 3-4: «Non lascerà vacillare il tuo piede... ».
Ecco: i singoli momenti di incertezza vedono un suo intervento occasionale, puntuale e momentaneo, fino a quell'essere permanentemente chinato sul pellegrino per cui veglia mentre egli dorme.
Si incontra il Signore nei diversi momenti del viaggio. Questi momenti si infittiscono fino a dare la sensazione di una presenza continuata: la veglia del Signore su di te. n rapporto con il Signore è qui ancora estrinseco. Interviene in singoli momenti e stabilisce un rapporto di vigilanza incessante dal di fuori.
Seconda strofa (vv. 5-6): «... il Signore è come ombra che ti copre…».
Il rapporto si fa più discreto e impalpabile, eppure è più intenso, profondo e interiore. Siamo accarezzati da Lui. Non è solo colui che stende intorno una cintura di protezione. È colui che ti vela, aderisce a te, ricalca la tua fisionomia, penetra in te, ti attraversa e sonda, giunge alla tua profondità interiore. Così è ombra. Un'ombra che protegge. Non perché tiene lontani i raggi del sole e della luna, ma perché penetra e abita in te. Anche una goccia di sudore sotto il sole parla di Lui e un fremito nella notte fa altrettanto.
Ricordiamo Maria, Madre del Signore. Ricordiamo qui l'ombra che la copre.
Dio trova piccole crepe nascoste per entrare in te, anche interstizi che tu nascondi. È una presenza insieme forte e delicata, fedele e paziente. Così è il tuo custode.
Terza strofa (vv. 7-8): «Il Signore ti proteggerà da ogni male...».
Un crescendo, ancora. Qui si dà risalto all'impegno con cui si esprime la libertà di un uomo in cammino. Egli «esce ed entra», espressione che l'evangelista Giovanni usa per parlare della vita delle pecore guidate dal Signore (Gv 10,1-5). È un impegno che suppone armonia e chiarezza interiore, l'intraprendenza di una scelta. Colui che custodisce non è solo colui che interviene da fuori o ti riempie di sé: è colui che suscita in te l'energia di una imprevedibile libertà, motivo di stupore per te stesso. Avanzi e riposi, esci ed entri e sei mosso sempre da una libertà che scaturisce nell'intimo del tuo cuore e dispiega energie nuove. In ogni momento della vita è così.
In ogni momento, per tutti
Questi ultimi versetti sono segnati da espressioni complementari: «il sole... la luna», «la notte... il giorno», !'ingresso... l'uscita, «da ora... per sempre». La presenza di questi binomi conferisce al Salmo un ritmo ondulatorio, oscillatorio: è il dondolio della vita. n viaggio ha un custode nelle salite e nelle discese. I singoli momenti sono sempre occasione preziosa per riconoscere la presenza di lui. Egli è il Dio della vita.
Il ritmo così conferito da un sapiente poeta a questi versi richiama il movimento naturale quando si culla un bambino. Dio culla il suo fedele. Con sapienza e discrezione, con la disinvoltura di chi lo sa fare: gesto naturale e pur così capace di esprimere il segreto della vita.
Sono solo otto versetti, ma densissimi.
La nostra storia coinvolge uno scenario più ampio e drammatico. L'orizzonte si amplia: per la prima volta, nel v. 4, si parla di «Israele». Si dice al pellegrino che il suo custode è «il custode di Israele». Colui che è custode del singolo è custode di un popolo.
Il pellegrino riscopre la sua appartenenza al popolo, alla sua storia. E anche l'universo intero è sacramento della pastorale provvidenza del Signore: tutte le creature ed ogni tempo sono coinvolti nell'amore di Dio. Così riscopre di appartenere a Lui, creatore dell'universo e del popolo. Il viandante può già adorare e benedire: il Signore verso il quale gridava nell'angoscia è chinato su di lui. Ora impara a riconoscerlo ed amarlo: impara davvero a camminare.
* NESSUN PASSO È STATO INUTILE E LA GIOIA ORA È GRANDE SALMO 122
Il nostro pellegrino giunge in vista di Gerusalemme. Non sappiamo quanto sia durato il suo viaggio. Ora vede e riconosce la meta.
Per i pellegrini che venivano da occidente, dalla costa, o dal nord il luogo che permetteva di riconoscere Gerusalemme era ben noto e ancora frequentato dai pellegrini cristiani. Nel corso del medioevo fu denominato il mons gaudii, il monte della gioia, dove sostavano le carovane a cantare il Salmo 122.
La visione di Gerusalemme, città della pace
Il fedele sosta, contempla Gerusalemme ancora a una certa distanza; ma appaiono inconfondibilmente i contorni delle mura e la città brilla nella luce.
È un momento di intensa commozione e vivissima gioia: la città è contemplata, ammirata, apprezzata, amata e benedetta.
SALMO 122
1 Canto delle ascensioni. Di Davide.
Quale gioia, quando mi dissero:
"Andremo alla casa del Signore".
2 E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!
3 Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
4 Là salgono insieme le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
5 Là sono posti i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.
6 Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
7 sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.
8 Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: "Su di te sia pace!».
9 Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Il Salmo si divide in due strofe, con una introduzione.
Questa comprende i vv. 1-2 e ci aiuta a precisare quale sia la posizione nella quale si trova attualmente il pellegrino. Si tratta insieme del luogo ove si trova e del suo atteggiamento interiore.
Le strofe del Salmo sono facilmente riconoscibili: la prima comprende i vv. 3-5 e la seconda i successivi.
Si noti che l'introduzione si conclude col nome di Gerusalemme. Per la prima volta nella raccolta dei Canti delle ascensioni questo nome viene espressamente pronunciato. All'inizio di ogni strofa esso ritorna (v. 3 e v. 6).
Le due strofe sono nettamente distinte tra loro per altri motivi ancora. La prima ci aiuta a guardare verso Gerusalemme mentre il pellegrino è in sosta ed è in estasi per questa visione. È descritta allora la città come il pellegrino la vede dalla sua ideale e reale balconata, occasione che fa emergere i sentimenti, e non una pura visione del paesaggio fisico.
La seconda strofa consiste in una serie di auguri e benedizioni mentre il pellegrino muove i suoi passi. Pronuncia parole di pace; e questo termine torna tre volte: nel v. 6, primo rigo (non nel secondo rigo, come invece riporta la nostra traduzione), nel v. 7 e nel v. 8. Per tre volte ritorna Shalòm.
Ricordiamo un altro pellegrino che sale a Gerusalemme, la vede e le annuncia la pace. Ricordiamo Gesù, nel Vangelo secondo Luca in particolare, con una nota drammatica: Egli guarda la città e piange e dice: «Se tu avessi compreso oggi quel che riguarda la pace! Se tu avessi accolto l'augurio di pace per cui il pellegrino giunge a te!». Teniamo sullo sfondo di questa scena l'immagine del Messia che piange: annuncia la pace e incontra un rifiuto...
Prima di dare uno sguardo ai versetti si noti ancora come le due strofe individuate - la descrizione della città e l'annuncio di pace - sono disposte in modo da costituire un commento al nome stesso di Gerusalemme, interpretato secondo una etimologia approssimativa, ma molto antica e importante nella rivelazione biblica. Il nome Gerusalemme significherebbe città della pace: Ieru-shalàim, città della pace. Una etimologia difficilmente accettabile dal punto di vista scientifico, ma questo importa molto poco.
Gli autori biblici ricorrono a questa interpretazione popolare e antica per commentare il nome di Gerusalemme e la sua vocazione nella storia.
Ecco allora la prima strofa, dedicata al termine città, e la seconda, l'augurio di pace, la pace voluta da Dio.
Siamo di fronte, dunque, a un commento del nome della città voluta da Dio come segno epifanico della sua pace.
Una gioia che interpreta il passato
Vediamo allora l'introduzione del Salmo.
La gioia è esplosiva: il viaggio non è stato inutile, per quanto difficile.
Si noti però che il nostro pellegrino non sta semplicemente testimoniando la gioia nel momento attuale. Egli guarda all'indietro: «mi dissero...". Egli rievoca gli eventi dai quali fu determinato l'avvio del suo viaggio. Qualcuno lo ha invitato in una carovana, lo ha convinto: direttamente o no, per invito esplicito o per rispetto a una tradizione antica cui si è sottoposto, il nostro amico, quando ancora dimorava in quel suo ambiente, ha ricevuto una spinta e adesso guarda indietro e dice: «Quale gioia quando io ascoltai quella voce, quando ricevetti quel suggerimento e mi prestai ad accoglierlo!».
A dire il vero ciò che allora è avvenuto non è descritto nel Salmo 120 con note particolarmente gioiose; anzi «Nella... angoscia... » si apre quel Salmo. Ora, invece, egli guarda ad allora con una gioia che ha valore retroattivo. Ripercorre il passato a partire da un evento attuale che porta in sé un tesoro sepolto fin dall'inizio nella storia e allora non valorizzato. Quel segreto appare ora con la sua verità: fin dal tempo dell'angoscia e per tutto il tempo della fatica una grande gioia era ed è presente. Egli non vedeva, anzi gridava e protestava dichiarandosi infelice e derelitto: non se ne rendeva conto... e adesso è in grado di leggere in profondità il significato degli eventi che si sono compiuti nel corso della sua storia passata. Un potenziale di gioia era seminato in lui in vista di una immancabile fioritura e fruttificazione. C'è stato il tempo dell'ascolto ed ora è il tempo della visione. Allora tutto era buio e amaro, ora rilegge l'intero svolgimento e scruta quella oscurità, la penetra e la illumina. Gusta e assapora quella amarezza piena di doni ai quali era insensibile. Ricostruisce tutto il tragitto nella continuità della gioia.
La sua non è semplicemente la consolazione di chi ce l'ha fatta. La gioia di oggi è ricapitolazione di tutto il passato e conferma della coerenza interiore del viaggio.
«E ora i nostri piedi si fermano... »: guardare Gerusalemme è la conferma della forza trainante da cui era ispirato fin da quando era amareggiato o esposto ai pericoli.
La contemplazione del mistero glorioso di Gerusalemme
Ora ecco Gerusalemme. La prima strofa del Salmo si suddivide in tre battute. Sono rispettivamente i vv. 3, 4 e 5.
I vv. 4 e 5 si aprono con un avverbio di luogo: « Là ». Lo sguardo è fisso su Gerusalemme, calamitato. Il pellegrino la guarda e ammira, e riconosce in lei la gioia che dicevamo: un tesoro, una perla preziosa depositata nella sua vita.
Seguono tre battute.
La prima è un apprezzamento rivolto alla struttura e alla forte compagine della città. La vede tutta cinta delle mura. Una immagine di solidità e robustezza che nel linguaggio biblico serve a rimarcare la prerogativa della bellezza.
Nella nostra sensibilità, bellezza e imponenza – o robustezza - forse non si associano immediatamente. Noi pensiamo, per bellezza, a figure agili ed aggraziate. Nel linguaggio biblico non è così: una creatura è bella quando è poderosa, pesante. Così Gerusalemme è bellissima perché è solida, compatta, radicata, indistruttibile. Nei Cantici di Sion torna questo tono e così nei testi profetici che riguardano Gerusalemme e le sue prerogative.
Gerusalemme è bellissima. Non ci sono criteri estetici che specificano ulteriormente questa ammirazione. Gerusalemme è bellissima perché è creatura amata e scelta dal Signore, da Lui benedetta e abitata, e resa solida per questa presenza. Sono criteri teologali, per dire il bello: ciò che è poderoso è bello e – in quanto è bello - è depositario di un dono. Anche dell'uomo si dice "bello" quando è "ben piazzato"...
Gerusalemme è bella perché su di lei pesa l'attenzione dell'Onnipotente.
Il rapporto tra il pellegrino e Gerusalemme ha anzitutto un valore estetico, e poi un'importanza pastorale o pratica. Una "estetica teologale" si esprime qui.
Seconda battuta v. 4). Quanto più guarda alla città, tanto più egli si accorge che essa è meta di tanti come lui. Là salgono le tribù, per strade diverse, ma comunque convergenti; in tempi diversi, eppure ritmati secondo un'armonia di cui solo adesso egli può rendersi conto. .
Ha compiuto il viaggio da solo o con pochi altri e spesso ha temuto di incontrare briganti, evitando tanti sconosciuti. Giunto a Gerusalemme constata che insieme a lui e come lui tanti viandanti - incontrati o che lo hanno preceduto o che verranno - sono pellegrini verso la stessa città.
Vedere Gerusalemme è già vivere un'intensissima esperienza di comunione. Tutte le "tribù di Israele" salgono là come avanguardia della corrente che trascina con sé tutta la storia umana.
Se il pellegrino non si fosse messo in viaggio non avrebbe mai potuto sperimentare questo dono di comunione: esso è per i pellegrini e solo per loro. Guarda Gerusalemme e già si accorge di essere inserito nel flusso di una moltitudine immensa: gli uomini della strada, gli uomini di questo mondo.
Per il popolo disperso guardare Gerusalemme significa ritrovare la comunione che si realizza in modo davvero imprevedibile e pure con una efficacia incontestabile. Dai percorsi più diversi e difficili tutte le strade convergono su Gerusalemme.
Solo dal momento in cui vede Gerusalemme si rende conto di questo.
Non basta: una terza battuta (v. 5) amplia la meditazione su questo spettacolo.
Guardare Gerusalemme significa scrutare in direzione della reggia. È la città conquistata da Davide e da lui trasformata in capitale del suo regno. Là è la reggia e i «seggi del giudizio», tribunale e governo. È la città che custodisce la promessa davidica, la promessa riguardante il Messia, colui che siederà sul trono di Davide.
In epoca post-esilica non esiste più una discendenza davidica, non c'è più istituzione monarchica, eppure guardare alla città significa guardare il volto che il Messia offre a tutti i pellegrini: luce splendente sulla loro strada. Si sale a Gerusalemme per imparare a contemplare il volto del Messia.
Il volto del Messia e il nostro volto
In poche battute si ricapitola per intero il mistero glorioso di Gerusalemme, che ricapitola in sé tutta la storia della salvezza: Gerusalemme splendore di bellezza; Gerusalemme sede della comunione; Gerusalemme promessa del Messia. Profezia, Sacerdozio, e Regalità sono evocate nella loro sapiente tradizionale struttura: la bellezza di Gerusalemme, contemplata dai profeti; la comunione che si realizza a Gerusalemme, là dove è lodato il Nome del Signore, nel luogo santo; la regalità del
Messia, che a Gerusalemme si impone.
Guardare, contemplare ed ammirare quella città fa tutt'uno con la visione del volto del Messia.
Il Salmo 122 è stato pregato anche da Gesù, pellegrino alla città della promessa. Qui Gesù piange: il volto maestoso di un Messia immerso nelle lacrime, un volto da vedere. Sono proprio quelle lacrime, che coprono il suo volto, che lo rendono visibile come il volto del Signore. Una cortina che copre rende possibile riconoscerlo ed accogliere quel volto perché, a nostra volta, possiamo consegnare il volto di cui siamo dotati e che siamo andati mascherando nel corso del nostro viaggio. Mediante quel volto velato, che così si rende "guardabile" in modo da non bruciarci, ci viene restituito il volto che noi stessi roviniamo o che ignoriamo di possedere. Chi sale a Gerusalemme ritrova una faccia: si sale là per incontrare il volto del Messia e, in quel volto, trovare un volto per sé.
Un augurio di pace
Il Salmo si conclude, nella seconda strofa, con una serie di auguri. Il pellegrino si avvicina e ripete auguri di pace.
Annunciare pace a Gerusalemme, la città la cui vista ridà pace al viandante, significa anche ricordare che Gerusalemme è abitata - questo particolare non è affatto indifferente e nel seguito di questi Salmi rivelerà aspetti anche drammatici -; «coloro che ti amano» sono esattamente gli abitanti, coloro che vivono entro la cerchia delle mura e difesi dai baluardi di esse. Il pellegrino augura pace a questi.
I vv. 8 e 9 prolungano l'augurio di pace in una duplice direzione: .Per i miei fratelli ed i miei amici io dirò Dapprima l'augurio viene rilanciato in rapporto alla presenza dei fratelli e degli amici. A Gerusalemme è augurata pace a motivo dei fratelli e degli amici incontrati nel viaggio e ora riconosciuti vicini mentre si entra nella città. Già il v. 4 ci informava su questo: quando ancora non si è raggiunta Gerusalemme si riconosce che essa ha consentito di apprezzare la presenza di fratelli e di nuovi amici. Ci si avvicina alla città in atteggiamento da debitore: mentre ancora si è viandanti e mendicanti un dono grande è riconosciuto e dà gioia.
Il v. 9, ancora, indirizza e motiva l'augurio perché in Gerusalemme è riconoscibile la casa del Signore, il tempio. Il luogo santo è inseparabile da questa città. Eppure non sono coincidenti: Gerusalemme è benedetta anche a causa della presenza del tempio. È un elemento determinante, che la qualifica insieme ai suoi abitanti e ai fratelli che si incontrano andando verso di essa.
* ANCHE A GERUSALEMME LA DUREZZA DELLA STORIA SALMI 123 - 124
La città delude
Il pellegrino ha contemplato e benedetto la città. Ora essa è a portata di mano. C'è un'ultima valle da scendere e risalire e, mentre sta risalendo lungo la china, guarda verso Gerusalemme e si accorge che ormai può toccarla. Allora alza lo sguardo ed è come se esso non si fermasse più ad osservare la meta tanto desiderata.
Il v. 1 di questo Salmo è brevissimo, ma densissimo. Precisa che lo sguardo del pellegrino è orientato verso colui che abita nei cieli. Eppure alla fine del Salmo precedente lodava Gerusalemme perché in essa è la casa del Signore! Tra i due brani si nota un salto. È come se il contatto con Gerusalemme disturbasse il nostro viandante. Ora che è così vicino da poterla toccare, un senso di ripulsa lo assale. Non per questo si arresta o perde l'orientamento, ma il suo gesto - gesto di chi distoglie lo sguardo - ha un senso di amaro disincanto. La meta diventa motivo di sofferenza, addirittura di scandalo.
Oltre tutto succede quello che è normale in ogni luogo di pellegrinaggio: chi viene da lontano, povero e devoto, è subito trattato come un cliente da imbrogliare.. con la massima devozione! Nel caso migliore viene deriso e ci si approfitta di lui.
Così il pellegrino si accorge subito che il contesto non è in sintonia con l'intensa partecipazione interiore, con la preparazione affettuosa e devota che ha caratterizzato il suo lungo viaggio. Si accorge di trovarsi in un contesto dove egli è considerato uno straniero e che Gerusalemme è occupata.
Anche questo non è in sé una novità sorprendente. La storia della salvezza parla spesso della città invasa da culti idolatrici e stranieri. Gerusalemme, la Bella, l'Eletta, la Benedetta, è inquinata.
SALMO 123
1 Canto delle ascensioni. Di Davide.
A te levo i miei occhi,
a te che abiti nei cieli.
2 Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni;
come gli occhi della schiava,
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
3 Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
già troppo ci hanno colmato di scherni,
4 noi siamo troppo sazi
degli scherni dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
Devozione a Dio, sospetto e solidarietà
Dopo il v. 1, con il valore introduttivo di una dichiarazione così esplicita di desiderio di Colui che rimane Puro, Libero e Splendente nella Santità, il v. 2 contiene uno svolgimento meditativo. Di nuovo il pellegrino, con prudenza, guarda Gerusalemme, la sua realtà che si impone.
Ripensa e prende posizione. Dice quello che succede; e si descrive in rapporto alla città che vede: un servo che rimane vigilante in attesa di quel gesto con cui il padrone gli comunicherà il da fare. È atteggiamento di grande devozione e affetto, accompagnato da un tono di allarme, da un brivido di sospetto. C'è una tensione che cancella la nota di letizia che aveva accompagnato l'ultimo tratto del viaggio. Gli occhi sono fissi, calamitati. Solo un gesto del padrone e quest'uomo sfodererà gli artigli come un cane fedele in difesa dell'amato.
Così egli guarda al Signore, e non solo lui!
Nel v. 1 si esprimeva in prima persona singolare, nel v. 2 parla in prima persona plurale. Questo passaggio dal singolare al plurale non è indifferente. Non è solo, ci sono altri con lui. È confermata quell'esperienza di comunione che il Salmo precedente ha illustrato ed esaltato, anche se lo è sul versante del sospetto, dell'allarme e della tensione. Comunque il pellegrino anche così si riconosce parte di una realtà comunitaria.
Insieme si noti l'ultimo rigo del v. 2: «finché abbia pietà di noi...». La pietà di cui si parla è l'atto del chinarsi. Dio si piegherà su di noi per occuparsi di noi e sollevarci. Quella tensione che si esprimeva - generata da fervore e intransigente coerenza - si stempera in modo da trasformarsi in una vera e propria invocazione che esprime uno stato di miseria e debolezza estrema. Se il Signore non si piega sulla nostra bassezza nulla sarà possibile ancora per questi pellegrini stranieri in casa e per questo solidali. Si aspettavano pace e solidarietà dalla intera comunità di Israele.
Sono delusi e consolati solo dalla presenza di altri simili a loro. In questo uso del «noi» si percepisce la convinzione profonda che esiste una solidarietà anche nei confronti di coloro che accolgono male o imbrogliano i pellegrini. Questi sono ignari dei raggiri che li coinvolgono, li scoprono quando sono danneggiati e derisi. Allora dicono «noi», si riconoscono tra loro, sfortunati e poveri. Eppure in questo «noi» non sono del tutto assenti anche coloro che fanno da avversari e forestieri.
Il nostro pellegrino incontra a Gerusalemme gente che fa finta di essere straniera in quel luogo. Allora egli si rivolge al Signore e si dichiara totalmente fiducioso, per tutti, nella pietà che viene da Lui.
Un grido
Così gli ultimi due versetti del Salmo riportano un grido. È come se a nome di tutti il pellegrino dicesse: «Basta! Non ne posso più!».
Il Salmo si era aperto con il levare lo sguardo al Signore, ora il pellegrino lo implora di chinarsi su persecutori e perseguitati. La sua sazietà - il non poterne più - è relativa agli scherni subiti, ma anche a quelli restituiti, perché il testo originale - su questo il nostro testo non ci aiuta a capire - fa comprendere che coloro che approfittano di Gerusalemme per i loro bassi interessi non sono le sole fonti di disgusto. Il pellegrino dice anche: «Noi siamo troppo sazi... del disprezzo» per i «superbi» (v. 4): il disprezzo con il quale noi rispondiamo loro. È sazi età per una infame violenza reciproca, di cui ci si ingozza fino alla nausea. In ogni caso il Salmo si conclude con questa semplice e perentoria dichiarazione: "Basta!».
A sua volta anche Gesù dirà «Basta!. (Lc 22,38) a chi lo invita alla violenza.
Siamo così al Salmo 124.
SALMO 124
1 Canto delle ascensioni. Di Davide.
Se il Signore non fosse stato con noi, .
- lo dica Israele -
2 se il Signore non fosse stato con noi,
quando uomini ci assalirono,
3 ci avrebbero inghiottiti vivi,
nel furore della loro ira.
4 Le acque ci avrebbero travolti;
un torrente ci avrebbe sommersi,
5 ci avrebbero travolti
acque impetuose.
6 Sia benedetto il Signore,
che non ci ha lasciati,
in preda ai loro denti.
7 Noi siamo stati liberati come un uccello
dal laccio dei cacciatori:
il laccio si è spezzato
e noi siamo scampati.
8 Il nostro aiuto è nel nome del Signore
che ha fatto cielo e terra.
Un orizzonte di grazia per ogni cammino
Il testo suppone l'intervento di un solista e del coro. "Se il Signore non fosse stato con noi» - dice il solista - e il coro ripete il ritornello «lo dica Israele se il Signore non fosse stato con noi...».
Questa ricostruzione liturgica rinvia a un contesto vivo nel quale si fa udire la voce di un personaggio in una assemblea. Immaginiamo di ricostruirlo così: siamo alla sera di quell'importante giorno dell'arrivo alla città. L'ingresso vero e proprio non è ancora avvenuto. Al bivacco ciascuno dei convenuti racconta le proprie avventure davanti al fuoco, a turno. Anche il nostro pellegrino racconta le sue.
Ora è possibile trovare degli interlocutori attenti o almeno gentili. Ciascuno si apre e un coro commenta, sommesso: "Se il Signore non fosse stato con noi non saremmo qui...".
I racconti sono diversi: ciascuno ha percorso una sua strada e le situazioni sono originali, eppure il ritornello ricapitola e fonde in un orizzonte di grazia ciascuna vicenda. Così esse si re interpretano l'una con l'altra: « Tutti siamo qui perché il Signore è stato con noi!».
L'aneddotica personale e di gruppo, le barzellette, le fantasie, i racconti che ingigantiscono avventure... tutto serve a dire che si è lì ed è possibile raccontarsi e ascoltarsi perché «il Signore è stato con noi». In contatto con le mura di Gerusalemme ci si ritrova tutti condotti alla meta.
Si noti l'espressione alla prima persona plurale: «con noi». Si potrebbe anche tradurre diversamente: «Se il Signore non fosse stato per noi» oppure «in noi» (così il testo greco e la Vulgata: «in nobis»). Non solo il Signore è colui che ha accompagnato con il suo intervento prodigioso il viaggio. Egli era presente nei viandanti.
In questa direzione suggerivano di pensare anche i Salmi 121 e 122, che abbiamo già letto. Ora è possibile dichiararlo espressamente: era Lui che sosteneva i passi, che gestiva il quotidiano della fatica; Lui rendeva prodigiosa la piatta realtà di ogni momento. Se non fosse stato così non si sarebbe arrivati. Non c'è nessun momento - neppure il più trascurabile e non raccontato - che non sia stato pieno di valore impagabile, perché il Signore ne ha pagato il prezzo.
La liberazione dagli inferi genera benedizione
La prima sezione del Salmo, fino al v. 5 dice come il nostro pellegrino racconta di sé. La seconda sezione si sviluppa in forma di preghiera e di benedizione.
Noi che abbiamo letto il Salmo 121 possiamo pensare che il suo viaggio non sia stato ricco di quegli incontri spaventosi di cui parla adesso. Può darsi anche che tenda a ingigantire le cose, ma importa poco: anche se non fosse successo niente, la ragione per cui il viaggio si è compiuto è intrinsecamente straordinaria. È una ragione che non ha una consistenza autonoma indipendentemente dal fatto che il Signore vi si è impegnato e manifestato. Lui ha riempito, in modo gratuito, di senso e di valore quell'itinerario grigio che si era intrapreso.
Dice allora che «uomini ci assalirono» con la «loro ira...». Racconta un'aggressione, in due immagini: una belva feroce digrigna i denti e una massa d'acqua esce dal proprio alveo. Sono immagini anche contraddittorie: la furia della fiamma dell'ira e una marea travolgente. Sono entrambe immagini infernali, comunque.
L'inferno della vita avrebbe racchiuso in sé il viandante, lo avrebbe bloccato, insabbiato e intrappolato. Gli uomini sono da esso ridotti a misurarsi come protagonisti di una sua iniziativa fallita. Il Signore strappa da questo inferno; un inferno sperimentato e ricordato con pena. Il Signore non ha permesso che fosse questa l'esperienza disperante e definitiva.
Allora «Sia benedetto il Signore...». Egli ci ha liberati. Queste sono le cose grandi del Signore, eppure tanto semplici. Le scene invocate sono quasi infantili: un uccellino liberato, un frullio d'ali e non c'è più. Le grandi cose sono semplici: «non ci ha lasciati, in preda ai loro denti.. .».
Tutti concludono come nel Salmo 121. Si passa ancora da «Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,2) al «nostro aiuto». Lui ha condotto tutti in uno spazio libero, per volar via. Lui fa di questa piccola storia mia una storia raccontabile. Essa diventa parte della storia comune, commento alla storia degli altri e comprensibile solo con la loro, davanti allo sguardo di Dio. Tutti sono così al termine di un viaggio che si è compiuto solo perché «il Signore è stato con noi».