PICCOLI GRANDI LIBRI    PIERO GHEDDO
LA MISSIONE CONTINUA
Mezzo secolo a servizio della Chiesa e del terzo mondo

SAN PAOLO

PREFAZIONE di mons. Renato Corti, Vescovo di Novara PRESENTAZIONE di P. Piero Gheddo

Capitolo I:
MISSIONARIO PERCHÉ?

Ricuperare l'identità cristiana
Perché tante religioni?
Religioni amiche o nemiche di Cristo?
La grande decisione del Concilio Vaticano II
Come si svolge il dialogo interreligioso?
Non mitizzare i valori delle religioni
«I valori positivi delle religioni asiatiche»
Il lungo cammino per una «Chiesa dialogante»
In Giappone la missione del futuro?

Capitolo II:
I MIEI CINQUANT'ANNI DI MISSIONE

Capitolo III:
LA MISSIONE NASCE DALL' AMORE DI CRISTO

Capitolo IV:
DALLE MISSIONI ESTERE ALLE CHIESE LOCALI

Capitolo V:
IL VANGELO E LE CULTURE NON CRISTIANE

Capitolo VI:
IL DIALOGO CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE

Capitolo VII:
IL CRISTIANESIMO PROMUOVE LO SVILUPPO DELL'UOMO

Capitolo VIII:
L'ANIMAZIONE MISSIONARIA IN ITALI

Capitolo IX:
PRETI CON PASSIONE MISSIONARIA

Capitolo X:
QUALE FUTURO PER LA MISSIONE ALLE GENTI?

           CAP. VI - IL DIALOGO CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE 

    Fra i 16 documenti del Concilio Vaticano II (costituzioni, decreti, dichiarazioni), quello che ha avuto il più forte impatto sulla missione alle genti ( [1] ) è la "Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane" ("Nostra Aetate"), che è il più breve (cinque soli numeri), ma il più rivoluzionario di tutti ( [2] ). Nel senso che ha sconvolto, capovolto l'atteggiamento del mondo cattolico verso le altre fedi e culti religiosi: un tempo considerate ostacolo alla vera fede da combattere (a volte anche opera del demonio), oggi viste come preparazione dei popoli all'incontro con Cristo.
Poiché la storia è guidata dallo Spirito Santo e nulla avviene per caso, probabilmente proprio questa svolta rivoluzionaria nella prassi ecclesiale rappresenta il punto di partenza per la nuova missione del terzo millennio. Infatti, duemila anni dopo Cristo, dobbiamo prendere coscienza di due dati di fatto:
     1) Il messaggio cristiano ha oggi molte più possibilità che non in passato di diffusione "fino agli estremi confini della terra": il tempo della globalizzazione, quando "il mondo diventa un solo villaggio", è il più propizio per la missione universale della Chiesa. E noi siamo convinti, per fede e per esperienza, che Gesù Cristo è l'unico vero Salvatore dell'umanità e che tutti gli uomini e tutti i popoli hanno bisogno di Cristo.
     2) Con i metodi usati finora nell'attività missionaria, abbiamo combinato poco di fronte alle grandi religioni tradizionali e organizzate, quelle nate e ancor vive nel continente asiatico; che oggi danno prova di una nuova vitalità. Così la missione, che in passato era realizzata dai missionari cristiani presso i fedeli di altre religioni, oggi avviene anche qui nel nostro Occidente cristiano, dove un certo numero di battezzati sono sedotti dalle saggezze e religioni dell'Oriente.
La conclusione sembra logica. All'inizio del terzo millennio Giovanni Paolo II chiama la Chiesa a «un rinnovato impegno missionario" e proclama "l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria, che costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno» ("Redemptoris Missio", n. 2).
Giusto: se la Chiesa perde lo slancio missionario, vuol dire che perde la fede e non è più la Chiesa fondata da Gesù Cristo. Ma oggi più che mai dobbiamo interrogarci sul metodo dell'evangelizzazione (
[3]). Se la missione ad gentes non ha prodotto effetti sulle grandi masse popolari in Asia (dove vivono, non dimentichiamolo, il 60-62% di tutti gli uomini!), certo non è colpa del Vangelo o dello Spirito Santo, ma del metodo, dei metodi che noi usiamo per annunziare Cristo ai popoli. Forse, ripeto, proprio l'incontro fraterno con le grandi religioni dell'uomo, il dialogo ben inteso, l'inculturazione nelle civiltà create da culture e religioni, può aprire alla Chiesa prospettive nuove di attività missionaria (ma di questo diremo meglio nel capitolo XII). Rispondiamo ora a questi interrogativi: perchè tante religioni? Quali sono stati gli atteggiamenti della Chiesa di fronte alle religioni? Quando è nato e come si è sviluppato il dialogo inter-religioso? Che frutti ha prodotto fino ad oggi? 

      Ricuperare l'identità cristiana   

      La plurimillenaria storia dell'umanità ha prodotto molte religioni, come molte lingue (circa 3.000 parlate oggi nel mondo): l'induismo risale ad almeno 4.000 anni fa, il buddhismo a 2.500, l'islam a 1.400. Ma in passato erano realtà lontane da noi. Oggi ci provocano direttamente: nella nostra stessa Italia ci sono circa 400.000 musulmani (la seconda religione in Italia dopo il cattolicesimo), 200.000 buddhisti, 80.000 indù, ecc.
Nel 1990 in Sri Lanka ho intervistato il monaco Thera Piyadassi, abate della pagoda Vajirama nel centro della capitale Colombo, il capo delle "missioni buddhiste" in Occidente, vissuto a lungo in Inghilterra e spesso intervistato da radio e televisioni di lingua inglese. Mi diceva: «Il buddhismo è la religione del fai-da-te, senza autorità nè dogmi, basato sull'esperienza che ciascuno fa. E' la religione laica dell'uomo moderno, che ignora il problema di Dio e finirà per trionfare in tutto il mondo.»
Al Cairo, nel 1995, un giovane insegnante dell'Università Al Azhar mi ripeteva convinto quanto i giornali e le riviste culturali in lingua araba scrivono spesso: «Voi europei siete cristiani decadenti. Non pregate più, avete dimenticato Dio. Noi siamo popoli più giovani e preghiamo molto. L'Europa diventerà musulmana nello spazio di due o tre generazioni: è l'unica via che avete per uscire dalla crisi morale in cui siete precipitati.»
In Marocco, nel 1974, ho visitato una moschea del centro di Rabat, con un centro studi islamici e una grandiosa biblioteca dove prevalevano i libri e le riviste in lingua francese. L'anziano bibliotecario attribuiva agli studi e alla pubblicistica francese sull'islam, molto seguiti dalle classi colte marocchine, uno dei motivi di rinascita dell'islam in Marocco nell'ultimo secolo; e aggiungeva che « la nostra identità islamica era ferma, bloccata: un secolo fa non c'erano studi, non c'era coscienza delle nostre ricchezze, guardavamo più all'Occidente cristiano che alla tradizione islamica. Tutto è cambiato con le ultime guerre mondiali e con gli scambi culturali del tempo presente, che sono stati per noi un forte stimolo a conoscere e apprezzare l'islam.»
Anche in Sri Lanka mi dicevano che la rinascita del buddhismo è venuta da studiosi americani, inglesi, tedeschi ed europei, che sono stati i primi a promuovere gli studi critici sui testi buddhisti e a sollecitare una modernizzazione della via di Buddha. In Occidente, cent'anni fa le grandi religioni erano per noi nient'altro che una curiosità, un impegno culturale. Oggi non è più possibile ignorarle.
La sfida attuale per l'Europa è appunto questa: l'incontro con le altre religioni e culture non deve suscitare reazioni e scontri, ma promuovere la conoscenza, il confronto e lo scambio; ma prima ancora, il ricupero della nostra fede e identità cristiana. Il razzismo viene da una chiusura mentale di fronte all'altro: dal rifiuto di considerare il diverso uomo come noi. Oggi chi non vuol trovarsi ad essere razzista, deve interessarsi in modo aperto e fraterno degli altri, delle altre religioni e culture. Ma se vuole incontrare popoli profondamente religiosi, deve anche ritornare al Vangelo, convertirsi a Cristo; o, come minimo, almeno come conoscenza culturale di quel grande forziere di identità europea e occidentale che è la Chiesa cattolica.
Il laicismo ateo e l'anticlericalismo nell'Europa d'oggi non hanno alcun senso (ammesso l'abbiano avuto in passato!): tentano di distruggere l'unica forza storica, culturale e religiosa, senza la quale noi italiani, noi europei siamo un contenitore vuoto che tutti possono occupare e colonizzare, culturalmente e religiosamente, come già almeno in parte stanno facendo. Altro che togliere i crocifissi da scuole e locali pubblici: bisognerebbe rimetterli dove non ci sono, come segno dell'identità religiosa e culturale del nostro paese! Uno può anche non credere, personalmente, alla divinità di Cristo; ma se non ammette che il cristianesimo è il fondamento della cultura e identità italiana ed europea, vada a vivere alcuni anni in un paese non cristiano (o non cristianizzato) e capirà la differenza. Le leggi contro l'islamizzazione delle società europee servono poco o nulla e possono anche essere moralmente ingiuste: dobbiamo tornare noi ad essere più autentici cristiani!
Il monaco don Giuseppe Dossetti, fondatore della "Piccola Famiglia dell'Annunziata" di Bologna, in una omelia pronunziata nel 1990 parlava del dialogo con le religioni, riaffermando con vigore la centralità di Gesù Cristo, come condizione di ogni dialogo e antidoto di una "fede debole". Dossetti esamina il passo della Lettera ai Colossesi (
[4]) in cui S. Paolo parla di Gesù Cristo che è venuto a comunicarci la salvezza e aggiunge: «Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
Dossetti così commenta (
[5]):

«In Cristo, dichiara Paolo, abita la pienezza della divinità e non c'è altro essere, dopo la sua incarnazione, la sua morte e la sua resurrezione, che possa mediare il nostro rapporto con Dio. Noi ci possiamo rivolgere a Dio con assoluta libertà, senza più nessun vincolo e nessun passaggio intermedio. Dunque, il servizio agli elementi del mondo non solo non è più necessario, ma diventa illecito, perchè riduttivo della potenza assoluta conquistata dal Cristo attraverso il sangue della sua Croce....
Una teologia delle religioni che si fondi sulle grandi lettere di San Paolo, su questa sintesi della Lettera ai Colossesi, mi pare realizzi perfettamente che non solo Cristo è il fine dei tempi e la fine dei tempi, ma è la fine di ogni religione: la fine di ogni religione. Ogni rapporto religioso costruito più o meno completamente attraverso osservanze di tradizioni umane, stando a quanto dice la Lettera ai Colossesi, si può veramente dire che prende fine: non ha più senso ed è distrutto, se noi sappiamo accogliere il messaggio della fede della Chiesa, della fede che Paolo professava, che ha consegnato alla Chiesa e che la Chiesa consegna a noi.
Poi, dopo, potremo costruire i rapporti, che possono essere anche di dialogo o di una certa collaborazione, ma una volta realizzata la perfetta identità del cristiano nuovo: sappiamo chi siamo, sappiamo soprattutto che siamo liberi di fronte a Dio. E sappiamo che come cristiani non abbiamo più nessun condizionamento che quello di Cristo e del suo battesimo
». 

    Perchè tante religioni?

    Chiediamoci: perchè tante religioni? Rispondo in tre punti:  
1) Le religioni sono tutte espressione del "senso religioso" naturale in ogni uomo. "I veri atei non esistono", diceva il grande teologo Karl Rahner, che aggiungeva: "Anche chi si dichiara ateo adora un suo dio". Non esistono popoli atei. Nel secolo scorso, quando iniziava la moderna etnologia (studio dei popoli senza scrittura), nacquero teorie secondo le quali i popoli che vivevano "secondo natura", lontani da influssi esterni, erano atei. Un missionario della Società del Divin Verbo, il padre Wilhelm Schmidt, fondò all'Università di Vienna una scuola scientifica d'indagine sui popoli "primitivi" ("La Scuola di Vienna") e, utilizzando i contributi di molti missionari, dimostrò in un'opera poderosa in dodici volumi ("Der Ursprung der Gottesidee", L'origine dell'idea di Dio) che i popoli, quanto più vivono secondo natura, tanto più sono religiosi e vicini al monoteismo.
Tutte le religioni sono quindi rispettabili e riflettono la forte tensione di ogni popolo verso Dio. Tutti i popoli pregano. I "negritos" delle Filippine (isola di Mindanao) dopo la caccia pregano così: «O Dio del cielo e della terra, noi ti offriamo un pezzo di questo cinghiale, affinchè tu sia benevolo con noi e ci conceda presto di uccidere un altro cinghiale.»
Ecco il bel canto di un "sufi" musulmano del XIII secolo:

Dio del cielo, unico Dio,
a Te tutte le cose debbono la vita.
Saggio e forte senza pari,
sia lode a Te, o Dio, ora e sempre.
Lo splendore del sole mattutino scaccia l'oscurità;
leggera spande la luna argentea la sua luce;
l'invisibile Creatore le sue opere rivela.
Grande e Infinito Dio, che tu sia lodato nei nostri cuori.

Sul piano umano non esiste una religione migliore o peggiore, come non esiste una lingua più bella o più brutta, una cultura più nobile e un'altra meno nobile. Ciascuna religione, come ciascuna cultura e ciascuna lingua, svolge la sua funzione in un determinato popolo, rispondendo alle sue esigenze in un certo ambiente naturale e tempo storico.
Il problema nasce quando i popoli, nel tempo della globalizzazione ("il mondo diventa un solo villaggio"), sono costretti a vivere in un tempo storico diverso dal proprio, cioè nel mondo moderno a cui spesso non sono preparati perchè hanno avuto una storia diversa da quella dell'Occidente cristiano, che il moderno sistema di vita e di produzione ha inventato ed esportato in tutto il mondo. I popoli sono costretti a incontrarsi, scontrarsi, confrontarsi con altri popoli, culture, religioni, a vivere assieme.
Questo, dal punto di vista religioso e culturale, suscita reazioni anche violente: noi viviamo nel 2000 dopo Cristo, i musulmani nel 1400 dopo Maometto. E' come se, nel nostro 1200-1400, i popoli islamici si fossero affacciati sulle scena europea non più o meno allo stesso livello di sviluppo che avevano gli europei, ma con un livello tecnico scientifico di civiltà incomparabilmente superiore, con aerei, televisione, auto, carta dei diritti dlel'uomo e della donna! Ecco perchè oggi il dialogo fra le religioni è indispensabile per la pace nel mondo: o diventiamo davvero fratelli o ci allontaniamo sempre più e finiamo inevitabilmente nel terrorismo e nella guerra. 

2) Tutte le religioni portano a Dio, ma Dio si è manifestato pienamente agli uomini solo in Gesù Cristo. La differenza sta tutta qui: tra i fondatori di religioni, solo Gesù si è dichiarato Dio ed è risorto dalla morte per dimostrare che è vero Dio. Gli altri si sono presentati come ispirati da Dio, annunziatori della parola rivelata da Dio, profeti che indicavano la via per arrivare a Dio, avendo fatto essi stessi un cammino verso l'Assoluto: ma nessuno ha mai detto di essere Dio! Né Buddha, né Maometto, né nessun altro.
Quindi, pur riconoscendo e apprezzando quanto c'è di buono nelle altre religioni, il cristiano crede che solo Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio fatto uomo in Maria, che ha redento l'uomo dal peccato e dalla morte ed ha manifestato il volto dell'Essere supremo che nessuno ha mai visto. Le religioni dei popoli sono nobili tentativi dell'uomo di conoscere la divinità, il cristianesimo è la risposta di Dio a questa ricerca dell'uomo: Dio stesso si manifesta come Padre che perdona, s'è fatto uomo, quindi ci capisce, condivide da vicino la condizione umana. "Si è fatto in tutto simile a noi, eccetto il peccato" (Lettera agli Ebrei, 4, 15).
Le religioni vedono Dio infinitamente lontano dall'uomo: sconosciuto, inavvicinabile. Fra Dio e l'umanità c'è un abisso che nessuno può superare. Anche l'islam, che pure usa per Dio degli appellativi molto belli, lo concepisce come totalmente altro dall'uomo: non "Dio con noi" (Emanuele) com'è Cristo, il Dio fatto uomo. L'islam nomina Cristo con rispetto, ma solo come uno dei profeti prima di Maometto: non riconosce la sua divinità. Anche nelle religioni orientali spesso Cristo è riconosciuto come un saggio dell'Occidente, un grande profeta, non Dio. A Calcutta, nel tempio dell'induismo moderno della corrente di Vivekananda, il "Belur Math", un monaco mi portò a visitare la sala del culto, dove c'erano tanti busti di profeti religiosi. Uno di questi era Cristo. Quel monaco mi diceva:  «Gesù non lo capisco. Dice delle cose bellissime, ma si proclama anche Dio. Questo sconvolge il nostro concetto della divinità. Un Dio persona noi indù non lo concepiamo nemmeno. Dio che si fa uomo e muore in croce per noi è una bestemmia. Dio è sempre vittorioso, non sconfitto". Viene in mente San Paolo: "Cristo crocifisso scandalo per gli ebrei e follia per i pagani» (1 Cor. 1, 23).
Ricordo questo fatto per dire che fra cristianesimo e altre fedi religiose c'è inconciliabilità assoluta: secondo la nostra fede, Cristo si è fatto uomo per salvarci, nelle altre religioni la divinità rimane sconosciuta al punto da non poter nemmeno dire se è persona oppure una forza impersonale che si identifica o si confonde con la natura. Non possiamo quindi elencare le varie religioni come se, più o meno, l'una vale l'altra; non possiamo immaginare che tutte le religioni a poco a poco si fonderanno, per dar vita ad una religione di sintesi. 

3) Allora, in che senso le religioni non cristiane sono anch'esse salvifiche, cioè portano l'uomo alla salvezza? Nel senso che Dio non fa distinzione di persone: tutti gli uomini sono suoi figli, tutti egli ama allo stesso modo (non uno di più e l'altro di meno!). Quindi Dio vuole la salvezza di tutti ed offre a ciascuno la possibilità di salvarsi, anche attraverso le religioni e la legge morale impressa nel cuore di ogni uomo. Il Concilio Vaticano II dice: «Per vie che lui solo conosce, Dio può portare gli uomini che, senza loro colpa ignorano il Vangelo, a quella fede senza la quale è impossibile piacergli. Tuttavia è compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo, sicché l'attività missionaria conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità» ("Ad Gentes", 7).
Da un lato, ogni uomo si può salvare osservando la legge naturale impressa nel suo cuore e seguendo con sincerità la religione del suo popolo; dall'altro solo in Cristo trova la pienezza della rivelazione di Dio.
«Le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo... Per questo la Chiesa mantiene il suo slancio missionario» (Redemptoris Missio, 8).
«Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa: compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgenti. Evangelizzare infatti è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Evangelii Nuntiandi, 14). 

     Religioni amiche o nemiche di Cristo?         

    «Contro questo mostro dell'idolatria cinese, terribile con le sue tre teste (confucianesimo, taoismo e buddhismo), che tiranneggia da migliaia di anni tanti milioni di anime trascinandole negli abissi dell'inferno, si è levata la nostra Compagnia per fargli guerra... al fine di liberare le anime disgraziate dalla dannazione eterna.»
Così scriveva quattro secoli fa padre Matteo Ricci, pioniere dell'incontro con la cultura cinese. Il suo pensiero non si può certo ridurre a questa sola frase, ma resta vero che il grande apostolo gesuita, accogliente verso la saggezza, la cultura e i costumi cinesi, era radicalmente avverso alle religioni organizzate di questo popolo (
[6]). Un atteggiamento negativo che non  fa meraviglia. Fino a tempi recentissimi, i missionari ed i pensatori cristiani, a parte poche eccezioni, vedevano nelle religioni non cristiane nient'altro che espressioni demoniache, ostacoli all'annunzio di Cristo.
Nella storia del Pime c'è un bell'esempio di come in passato si vedevano le religioni non cristiane. Il vescovo di Nanyang in Cina, mons. Angelo Cattaneo (1844-1910), nei primi anni del novecento, volendo costruire una chiesa in una cittadina cinese, non trova terreni liberi in centro. Ma ci sono diverse pagode buddhiste. Si mette in contatto con i bonzi e chiede di acquistare una loro pagoda. Accettano e la pagoda diventa proprietà della Chiesa: il vescovo la abbatte e costruisce al suo posto una chiesetta. Nessuno si lamenta, anzi San Pio X scrive una breve lettera al vescovo complimentandosi per il coraggio dimostrato. Oggi un fatto simile non sarebbe nemmeno pensabile.
Padre Clemente Vismara, missionario del Pime morto nel l988 a 9l anni, dopo 65 anni di missione in Birmania (è in corso la sua Causa di Canonizzazione), aveva una visione negativa del buddhismo. Era un uomo ottimista, accogliente, apprezzava il suo popolo, lo aiutava ed educava con amore, ma del buddhismo dice che rende l'uomo meno uomo. In varie lettere scriveva (
[7]):

«La gente qui è povera proprio perchè vuol rimanere povera o meglio miserabile. La pigrizia è come incarnata in loro, a volte vien persino lo scrupolo ad aiutarli, spesso aiutandoli vuol dire renderli ancor più pigri. Il nostro scopo è avere ed educare i piccoli, abituarli al lavoro... E per persuaderli lavoro io stesso... Non se la scaldano per nulla. Se hanno da mangiare a sufficienza per due giorni, si fermano un giorno. Il risparmio è sconosciuto: se s'ammalano o capitano infortuni vengono a piangere. Ho promesso loro e cerco di mantenere la promessa (non sempre), che non darò mai un soldo a ufo, ma sempre cercherò di dar loro lavoro per guadagnarsi il pane...
Dicano pure che il buddhismo è una buona religione, da rispettare. Io sono persuasissimo: ricevano pure miliardi e miliardi dall'America e dall'Europa, ma se non cambiano fede saranno sempre allo stesso punto... Non è forse vero che il "karma", il destino dell'uomo, è immutabile? Se uno nasce capo è capo, se è padrone sarà sempre padrone. Il buddhismo non è forse una religione statica?... Io credo che più pigri di così si crepa... La colpa è della cattiva religione che hanno, che li riduce così. Ci vuole una pazienza infinita per abituarli un po' al lavoro, all'economia, nel persuadere i genitori a mandare i figli a scuola. La formazione spirituale produce da sè, come conseguenza, anche il benessere materiale.
»

     San Paolo descrive la situazione degli uomini senza Cristo in termini radicalmente negativi e di aperta condanna ([8]). Però lo stesso "Apostolo delle genti", nel famoso discorso all'Areopago di Atene ([9]), parla in modo positivo delle credenze degli ateniesi e degli sforzi che essi fanno per ricercare il vero Dio.
Le due citazioni di Paolo simboleggiano le due correnti di pensiero che attraversano tutta la storia cristiana, di fronte alle religioni non cristiane: condanna delle religioni e, dove possibile, azione per distruggerle; lettura in senso positivo di queste realtà, come preparazione all'incontro con Cristo, e quindi "dialogo" con i loro fedeli per conoscersi e collaborare. Non c'è dubbio che in passato ha largamente prevalso la prima corrente, mentre nel nostro tempo sta diventando prevalente la seconda, pur tra molte resistenze. Quando Giovanni Paolo II andò in India nel febbraio 1986 fece gesti e discorsi di grande apertura verso le religioni non cristiane e i loro "santi" (come Gandhi), scandalizzando non pochi preti e cristiani locali, e non solo loro. Un vescovo indiano dell'Andhra Pradesh mi diceva: «Il Papa conosce l'induismo dei libri, noi che ci viviamo dentro e vediamo i danni che produce nel buon popolo indiano, non faremmo mai certi discorsi.» 

     La grande decisione del Vaticano II 

    La svolta è avvenuta col Concilio Vaticano II, preparata da vari orientamenti del magistero ecclesiastico e dagli studi teologici. Ad esempio, il Concilio di Trento (1545-1563) insegna che i "pagani" che seguono la coscienza e conducono una vita moralmente buona, manifestano implicitamente il desiderio di far parte della Chiesa e così Dio li salva. Nei secoli successivi la teologia compie il passaggio da: "Extra Ecclesiam nulla salus" (fuori della Chiesa non c'è salvezza) a: "Sine Ecclesia nulla salus" (senza Chiesa non c'è salvezza). Il dilemma da risolvere è rappresentato da queste due affermazioni ambedue vere, ma che non si capisce bene come stiano insieme: da un lato Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, dall'altro la salvezza è data attraverso Cristo e la sua Chiesa (che però raggiungono una minoranza dell'umanità).
La prima enciclica di Paolo VI, "Ecclesiam suam" (6 agosto 1964), pubblicata quando i testi riguardanti il dialogo interreligioso erano ancora in preparazione, era dedicata al dialogo con il mondo e le religioni dell'uomo, presentato come uno degli impegni principali della Chiesa nel nostro tempo ("La Chiesa si fa dialogo").
Secondo la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle religioni non cristiane ("Nostra Aetate") tutti i popoli "hanno una sola origine... costituiscono una sola comunità", con Dio come unica origine e unico fine; le varie religioni, in qualunque stato di evoluzione si trovino, si sforzano di rispondere ai bisogni della condizione umana, proponendo delle "vie", cioè dottrine, precetti di vita, preghiere e riti sacri, per rendere onore a Dio.
«La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annunzia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo che è la sola via, la verità e la vita (Giov. 14, 6) in cui tutti gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sè tutte le cose". Il Concilio invita perciò i figli della Chiesa "con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci di altre religioni", a riconoscere e far progredire "i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano presso di loro» (Nostra Aetate, 2). 
Nel 1964 Paolo VI istituiva il "Segretariato per i non cristiani" (oggi "Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso"), l'organismo ufficiale della Chiesa che ha il compito di promuovere, a livello universale e nelle Chiese locali, il dialogo con le altre religioni. Due suoi recenti documenti, "Dialogo e missione" (1984) e "Dialogo e annunzio" (1991)  precisano bene come l'impegno nel dialogo non esclude l'annunzio di Cristo ai non cristiani. In "Dialogo e Annunzio" si legge (n. 77): «Il dialogo interreligioso e l'annunzio, sebbene non allo stesso livello, sono entrambi elementi autentici della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono ambedue legittimi e necessari. Sono legati ma non intercambiabili: il vero dialogo interreligioso suppone da parte del cristiano il desiderio di far meglio conoscere, riconoscere e amare Gesù Cristo e l'annunzio di Gesù Cristo deve farsi nello spirito evangelico del dialogo. Le due attività rimangono distinte, ma, come dimostra l'esperienza, la medesima Chiesa locale e la medesima persona possono essere diversamente impegnate in entrambe.»
L'esperienza dei trent'anni di post-Concilio ha rivoluzionato la Chiesa: da "nemiche" di Cristo, le religioni sono diventate amiche e alleate per il servizio all'uomo, ai diritti dell'uomo, alla pace nel mondo, allo sviluppo dei popoli poveri. La missione e l'annunzio non sono più soltanto la proclamazione di una verità di fede, ma diventano sempre più testimonianza di vita, dialogo, confronto, scambio di valori ed esperienze spirituali. Una forte impronta l'ha data Giovanni Paolo II con i suoi viaggi, gli incontri con esponenti religiosi, le sue dichiarazioni. Nella "Redemptoris Missio" ha scritto (n. 56): «Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa: la stimolano infatti a riscoprire i segni della presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti.»
Paolo VI scrive nella "Evangelii Nuntiandi" (1975) che la Chiesa nutre rispetto e stima per le altre religioni, perché sono «l'espressione viva dell'anima di vasti gruppi umani. Esse portano in sè l'eco di millenni di ricerca di Dio... Sono tutte cosparse di innumerevoli "semi del Verbo" e possono costituire un'autentica "preparazione evangelica" » (En 53).
Però l'"Evangelii nuntiandi" non usa mai la parola "dialogo" e mette l'accento sulle insufficienze delle religioni non cristiane: per cui la Chiesa, per rispondere alle attese dei popoli, è chiamata ad annunziare il mistero di Cristo con rinnovato slancio missionario. Nel rapporto con le altre religioni, Paolo VI accenna a «questioni complesse e delicate, che conviene studiare alla luce della tradizione cristiana e del magistero della Chiesa, per offrire ai missionari d'oggi e di domani nuovi orizzonti nei loro contatti con le religioni non cristiane. »
In questa espressione di Paolo VI alcuni hanno visto un passo indietro nel cammino del dialogo inter religioso, proprio quando i vescovi, nel Sinodo del 1974 sull'evangelizzazione, avevano chiesto di promuoverlo e dichiararlo parte della missione della Chiesa. Erano i tempi difficili della "contestazione" interecclesiale e della grande confusione di voci anche tra i missionari e nelle giovani Chiese; inoltre, dieci anni dopo il Concilio, gli incontri con i capi e i rappresentanti di altre religioni avevano portato scarsi frutti. Il card. Joseph Tomko, ricordando quei tempi, scrive: «Di fatto, Paolo VI è perplesso, teme che un'interpretazione facile e superficiale dei "semi del Verbo" disseminati nel mondo e nella storia, come della libertà religiosa, finisca per distorcere la verità e creare un alibi per non evangelizzare» (
[10]). 

     Come si svolge il dialogo inter-religioso? 

     Giovanni Paolo II, nella sua tensione di realizzare il Vaticano II, ha promosso decisamente il dialogo con le religioni non cristiane. Ne parla in diverse sue encicliche e poi in moltissimi discorsi e documenti. Ad esempio, chiudendo la riunione plenaria del Segretariato per i non cristiani (3 marzo 1984), afferma: «Il dialogo si inserisce nella missione salvifica della Chiesa: per questo è un dialogo di salvezza... Anche in questa attività ecclesiale bisogna evitare gli esclusivismi e le dicotomie. L'autentico dialogo diventa testimonianza e la vera evangelizzazione si realizza nel rispetto e nell'ascolto dell'altro.»
Ma è soprattutto con i gesti concreti e i discorsi pronunziati in paesi non cristiani che il Papa ha stimolato le Chiese locali sulla via del dialogo, perchè questo è il vero e non facile problema. Basti ricordare l'incontro con i giovani musulmani allo stadio di Casablanca (18 agosto 1985), il viaggio in India nel febbraio 1986 (ricchissimo di aperture ai non cristiani), la visita alla sinagoga di Roma (13 aprile 1986) e specialmente la giornata di Assisi (26 ottobre 1986), che ha fatto nascere "lo spirito di Assisi", di pace, fraternità e collaborazione fra le religioni. Il 24 gennaio 2002, il Papa ha nuovamente convocato i rappresentanti delle religioni ad Assisi per un'altra giornata di preghiera e di riflessione. Si noti che Giovanni Paolo II prima dice che le religioni sono unite per la pace e per un mondo più giusto e solidale; poi afferma che questo dono lo chiediamo a Dio; ma aggiunge: «Unico è lo scopo e medesima è l'intenzione, ma pregheremo secondo forme diverse, rispettando le altrui tradizioni religiose. Anche in questo c'è un messaggio: vogliamo mostrare al mondo che lo slancio sincero della preghiera non spinge alla contrapposizione e meno ancora al disprezzo dell'altro, ma piuttosto ad un costruttivo dialogo, nel quale ciascuno, senza indulgere in alcun modo al relativismo né al sincretismo, prende anzi più viva coscienza del dovere della testimonianza e dell'annunzio» (
[11]).
      Come si svolge il dialogo?
1) Due le vie di attuazione: gli incontri ad alto livello (vescovi, teologi, monaci) e il "dialogo della vita". La prima via non ha fatto molti passi in avanti, soprattutto perchè i non cristiani, in genere, non sentono l'esigenza di discutere i contenuti delle varie religioni. E' una posizione comune che ho sentito esprimere molte volte. Padre Adriano Pelosin del Pime ha studiato il buddhismo in una università americana, è andato in Thailandia e, quando ha imparato bene la lingua thai, è stato alcuni mesi in un monastero buddhista a Chieng-Mai, nel nord Thailandia; ma non è riuscito a stabilire il "dialogo" che sognava e per il quale si era preparato in modo scientifico studiando le scritture e le tradizioni buddhiste (
[12]):

«E' stata una grande delusione. Le mie attese, dopo dieci anni di  studi sul buddhismo, erano infinite. La realtà era cento volte più povera e triste... Anche con l'abate del monastero - col quale ogni giorno avevo colloqui privati - il discorso non cadeva mai sulla nostra esperienza religiosa, sulla meditazione, ma sulle migliaia di regolette che ogni buon buddhista deve osservare per essere perfetto... Vedevo il disinteresse totale dei monaci nei miei confronti. I bonzi buddhisti, almeno quelli da me conosciuti, avendo abbandonato il mondo si sentono come in una botte di ferro, sicuri della loro salvezza e inattaccabili... Questa situazione ha creato un grande spirito di tolleranza. I thailandesi dicono: "Tutte le religioni insegnano all'uomo ad essere buono". Per questo lodano il buddhismo, praticano l'animismo, rispettano il cristianesimo.»

I tentativi di dialogo sui contenuti delle varie fedi religiose, fatti da missionari o dalle giovani Chiese in ambiente non cristiano, non hanno portato a risultati di rilievo: quando si realizzano incontri per confrontare i contenuti filosofici e teologici delle fedi religiose, ci sono ancora troppi pregiudizi (ad esempio, che si miri alla loro "conversione"). C'è stato invece un crescendo nelle visite di capi religiosi al Papa e negli incontri fra esponenti religiosi, come quelli di Assisi convocati da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 e il 24 gennaio 2002 per testimoniare assieme la volontà di pace dei popoli e lo spirito di fraternità e di collaborazione fra i seguaci delle religioni. In molti paesi d'Oriente, l'esempio del Papa ha fatto scuola: vi è rispetto e collaborazione fra i capi delle religioni.                                     
2) La seconda via ("il dialogo della vita"), che coinvolge i popoli nel collaborare in spirito di fraternità, ha portato una rivoluzione benefica nelle comunità cristiane e anche nei non cristiani: non più chiusi in se stessi, ma aperti agli altri.
Ricordo che in Vietnam, durante la lunga guerra, buddhisti e cattolici, attraverso le indicazioni del "Consiglio delle religioni" (creato nel 1966 per iniziativa di Paolo VI), nonostante le gravi divergenze del passato erano giunti a collaborare attivamente nella vita pubblica. Ho partecipato a varie riunioni del "Consiglio delle religioni" a Saigon e ho visto sul terreno le opere realizzate in collaborazione fra le sei religioni nazionali (buddhismo, cattolici, protestanti, islam, cao-dai, hoa-hao): assistenza dei profughi dalle zone di guerra e da quelle "liberate", "scuole religiose" nelle campagne (ad es. alfabetizzazione degli adulti, asili), comitati per la difesa dei diritti dell'uomo, manifestazioni per la pace, pubblicazione di giornali, ecc. In nessun altro paese dell'Asia si è realizzata una collaborazione così stretta fra le religioni: il Vietnam è finora un caso unico (
[13]). In Malesia, Corea del sud, Indonesia, Hong Kong, Sri Lanka, Giappone, esistono incontri regolari fra i capi delle religioni, comitati di studio e di collaborazione in difesa della pace e dei diritti dell'uomo. Sono fatti del tutto nuovi, che portano le religioni a collaborare per difendere l'uomo e per custodire il senso religioso della vita nei loro popoli.
Questo incontro di vita è soprattutto diffuso alla base, fra il popolo più umile, con tante iniziative specie in casi di emergenza.  

    Non mitizzare i valori delle religioni 

    Il padre Augusto Colombo in cinquant'anni di vita in Andhra Pradesh ha realizzato molto in campo sociale ed educativo ed anche come fondatore di nuove missioni e parroco. E' un uomo di preghiera, attento alle religioni e culture locali: fin dall'inizio si è completamente immerso nella vita del popolo che evangelizza. Oggi testimonia: «L'India mi ha profondamente cambiato. Quando vengo in Italia vorrei dire a tutti che in India c'è una umanità molto ricca, famiglie unite e numerose, gioia di vivere, un profondo senso religioso che in Italia avete ormai perso. In India ho imparato che non conta tanto quello che fai e che produci, quanto quello che sei. »
I missionari che parlano così sono tanti, in ogni parte del mondo non cristiano: testimoniano i valori delle altre culture e religioni. Allora, che senso ha la missione, se i popoli non cristiani hanno una umanità che noi cristiani stiamo perdendo? Bisogna evitare due estremismi inaccettabili:
a) dire che le religioni non cristiane non hanno valori e se li hanno sono già tutti contenuti nel Vangelo: quindi, il dialogo e lo scambio con i non cristiani non hanno senso;
b) dire che le religioni non cristiane sono già pienamente soddisfacenti per la vita dei popoli, per cui questi non hanno più bisogno di Cristo.
La verità sta nel mezzo:
a) i popoli che non conoscono Cristo, non hanno ancora ricevuto, senza loro colpa, la piena rivelazione di chi è Dio e sono in attesa del Salvatore. Madre Teresa diceva: "I poveri hanno fame di pane, ma soprattutto hanno fame di Dio: la più grande disgrazia dell'India è di non conoscere Gesù Cristo";
b) ma nella loro storia millenaria, sotto l'influsso dello Spirito (che "soffia dove vuole"), hanno maturato valori religiosi e umani, da cui anche noi cristiani possiamo imparare: non perchè non ci sono nella Bibbia, Parola di Dio, ma perchè non li abbiamo ancora capiti o li abbiamo dimenticati.
Cosa dire quindi delle grandi religioni? Anzitutto, diciamo che, come tutte le realtà umane, anche le religioni dei popoli sono ambigue. Secondo il teologo Charles Couturier, «le religioni non cristiane raccolgono il buono col cattivo in un miscuglio inestricabile". La "Lumen Gentium" del Vaticano II (n. 16), mentre riconosce nelle religioni "valori morali, spirituali, religiosi", parla pure di "lacune, errori, inganni del demonio, idolatria».
E' vero, ad esempio, che il buddhismo dà una certa serenità e pace del cuore ai suoi fedeli: è il parere di diversi missionari che ho sentito in paesi buddhisti (in Vietnam, Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Birmania, Hong Kong, Giappone, Taiwan, Corea); uno mi diceva che, secondo lui, a parità di condizioni, l'atteggiamento del buddhista di fronte alla vita è più sereno di quello del cristiano. Ho chiesto: sereno o fatalista o indifferente? E' vero, diceva, il buddhismo rende indifferenti rispetto ai mali del mondo. I monasteri non hanno opere sociali, non insegnano l'impegno per la giustizia, la libertà, i diritti dell'uomo: tutto questo sta nascendo oggi, ad imitazione di quanto fanno le missioni cristiane, ma non ha radici nel buddhismo. Un padre redentorista dello Sri Lanka, specialista di studi buddhisti, mi diceva:

«Il buddhismo non dà stimoli per la giustizia sociale. Tutto va bene così com'è, non bisogna darsi da fare per cambiare, perchè secondo la legge eterna del "karma" ciascuno ha già quello che è bene per lui in questa vita: nella prossima potrà cambiare, ma adesso è bene che il ricco sia ricco e il povero povero. E' bene per il paria rimanere paria, non cerchi di migliorare la sua situazione: questo porta ad accettare tutto senza moti di ribellione, di rivolta. Oggi le cose cambiano anche fra i buddhisti per influsso delle missioni cristiane e del mondo moderno, ma c'è schizofrenia totale fra la religione nazionale e la vita moderna che stimola all'impegno per cambiare il mondo: questa è una novità portata dal cristianesimo, il buddhismo non giustifica nè la democrazia nè la giustizia sociale né qualsiasi idea nuova».

I valori delle religioni non cristiane, pur autentici, non essendo fondati sulla Parola di Dio, possono diventare disvalori. Nel 1982 a Faisalabad (Pakistan) ho incontrato un missionario domenicano toscano, padre Schiavone, che aveva vissuto più di quarant'anni fra i musulmani in Pakistan e Afghanistan. Ero stato a Peshawar e avevo visitato i villaggi dei profughi dall'Afghanistan assistiti dalla Caritas italiana, lungo la frontiera col Pakistan. Raccontandomi la sua esperienza, Schiavone mi dice:

«Adesso tu torni in Italia e  scrivi articoli contro i russi che colonizzano l'Afghanistan. Per carità, non farlo, i russi portano un inizio di liberazione per il popolo afghano che conosco bene. Tu non hai l'idea di come l'islam sia oppressivo per le donne, i bambini, i giovani, per tutti. Li mantiene in uno stato di schiavitù, in una società bloccata in cui non si muove nulla, che schiaccia la persona. Io ci vivo da più di quarant'anni: il comunismo è pur sempre un'eresia cristiana ed è un passo avanti rispetto all'islam praticato sulle montagne afghane».

Negli ultimi decenni, le "teologie locali" delle giovani Chiese (non tutte), nel tentativo di valutare positivamente le religioni non cristiane e i "semi del Verbo" che lo Spirito ha seminato nei loro popoli, hanno dato l'idea di abbandonare il "cristocentrismo" in favore del "regnocentrismo", il passaggio da Cristo al Regno di Dio da instaurare nei vari popoli e paesi. La tendenza giunge a considerare come pienamente valide per la salvezza le religioni non cristiane ([14]).
«
Si crea così una grande confusione nei missionari, - ha detto il card. Tomko, prefetto di Propaganda Fide, - che si lanciano nelle opere sociali o vanno a cercare la fede tra i non cristiani, piuttosto che portare la fede in Gesù Cristo. Si diffonde anche tra i cristiani la convinzione che tutte le religioni sono uguali e buone vie di salvezza. Ovviamente la missione soffre».
Nelle nostre società occidentali, l'infatuazione per le religioni non cristiane non ha motivo di esistere. Siamo passati da un estremo all'altro: prima le religioni non cristiane erano demoniache, adesso sembra siano meglio del cristianesimo! In un Occidente in cui domina l'ateismo pratico e la gente spesso ignora quasi tutto di Cristo e della Chiesa ([15]), si favoleggia di santoni indiani, di tecniche di meditazione, di monaci buddhisti che avrebbero la soluzione ideale per rimediare ai danni causati dalla secolarizzazione e dall'ateismo. Solo Gesù Cristo salva l'uomo, i popoli, l'umanità. Dice san Pietro: «In nessun altro si trova la salvezza, poichè non c'è sulla terra nessun'altra persona inviata tra gli uomini, per la cui opera è necessario che siamo salvati » ([16]). 

      "I valori positivi delle religioni asiatiche" 

   Che contributo portano le religioni non cristiane al miglioramento dell'umanità? Pur bisognose di essere purificate dall'incontro con Cristo, hanno però conservato le esperienze religiose dei popoli, in parte positive: Dio infatti ama tutti gli uomini e si rende «presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo lacune, insufficienze ed errori » ([17]).
Il salesiano don Giovanni Shirieda (membro del "Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso") racconta che all'inizio della sua conversione,

«affascinato dalla novità sconvolgente del cristianesimo, avevo abbandonato tutto il buddhismo fino allora vissuto. Il distacco fu radicale. Ma col passare del tempo incominciai a ripensare al mio buddhismo, perchè mi accorgevo sempre più che quella fede vissuta in Buddha, in cui ero stato formato, non era un ostacolo, ma un vero arricchimento per la fede in Cristo, che mi aiutava ad esprimere il Vangelo in un linguaggio più fecondo. Per questo mi laureai in buddhismo e nello stesso tempo in teologia. Da allora, mi sono servito della mia esperienza buddhista per arricchire il cristianesimo e per edificare la Chiesa di Cristo... Alla luce delle altre religioni si scoprono delle dimensioni mancanti o atrofizzate della nostra fede» ([18]).

Gandhi diceva che "l'Oriente è la riserva di spiritualità per il mondo intero". In Asia la Chiesa si sente provocata sul piano della fede, della preghiera e della ricerca di Dio. Mentre in Europa e in America Latina molti contestano la Chiesa perchè poco impegnata, dicono, sul piano sociale, in Asia la "contestazione" assume un significato totalmente opposto.
Un'ottantina di vescovi asiatici, riuniti a Calcutta nel 1978 (19-25 novembre) per discutere il tema: "La preghiera della Chiesa in Asia" (
[19]), pubblicano un documento in cui dicono che per evangelizzare l'Asia la Chiesa deve dare più importanza alla preghiera e alla contemplazione; inoltre, «considerando i molti valori positivi delle forme contemplative asiatiche di preghiera... si intraprendano passi per studiare in profondità le scritture sacre delle altre religioni, le varie forme asiatiche di preghiera, di meditazione, di religiosità popolare».
La storia dei popoli orientali non è simile a quella dell'Occidente: i popoli vivono in epoche storiche diverse, in culture e religioni diverse. L'Occidente cristiano ha aperto il cammino verso il "mondo moderno", inventando scienze, tecniche, produzione industriale, libero mercato, medicina moderna, democrazia, diritti dell'uomo e della donna, giustizia sociale: abbiamo dominato il cosmo per metterlo a servizio dell'uomo. Ma il crescere della ricchezza ci ha allontanati da Dio: il nostro "modello di sviluppo" è caratterizzato dall'ateismo pratico e dal consumismo, è staccato dalla vita (intellettualismo), con tutte le conseguenze negative che conosciamo. L'Oriente non cristiano, nella sua tradizione (cioè prima dell'incontro con l'Occidente), era rimasto bloccato nello sviluppo economico, tecnico-scientifico e dei diritti dell'uomo, ma ha conservato valori umani e religiosi che a volte noi abbiamo perso.
Oggi il rischio è che l'Oriente (come pure l'Africa) diventi una cattiva copia dell'Occidente. Ecco il compito della missione e del dialogo interreligioso: le religioni debbono collaborare per costruire assieme una civiltà rispettosa dell'uomo e dei suoi diritti, ma anche aperta alla ricerca di Dio e alla Legge che il Creatore ha impresso nel cuore di ogni uomo. Inoltre, nella ricerca di un "modello di sviluppo"  più umanizzante noi cristiani testimoniamo e proclamiamo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo, che è venuto a salvare tutti gli uomini.
In Pakistan ho visitato i due centri cattolici di dialogo con l'islam, il "Christian Study Centre" a Rawalpindi (tenuto dal missionario olandese di Mill Hill padre Matthew Geijbels) e la "Loyola Hall" di Lahore del gesuita svizzero padre Robert Butler; producono due riviste ("Al Mushir" di Rawalpindi, in inglese e urdu, è molto diffusa nelle università e centri di studio islamici in Pakistan) e volumi di dialogo con l'islam e di teologia incarnata nel mondo islamico. Ambedue questi centri, almeno nel 1982 quando li ho visitati, con le loro biblioteche ed iniziative culturali coinvolgevano studiosi, universitari e personalità del mondo musulmano in incontri, conferenze, dibattiti filosofici ed etici. P. Butler a Lahore, attraverso la "Società di Metafisica" della locale università islamica (una delle più importanti nel mondo islamico), incontrava le maggiori personalità dell'islam e diceva:

«I risultati migliori che abbiamo ottenuto con questi incontri è di conoscerci a vicenda, eliminando i rispettivi pregiudizi, che sono moltissimi da una parte e dall'altra. Se a livello di studiosi si possono stabilire contatti e scambi, a livello di Chiesa e di comunità islamica non siamo ancora nemmeno ai primi passi. In realtà noi cristiani qualche passo in avanti verso l'apertura agli altri l'abbiamo fatto, specie dopo il Concilio, mentre la comunità islamica non mostra finora segni di apertura. In Pakistan noi cristiani siamo una minoranza trascurabile ed è quasi come se non esistessimo.
Piuttosto che di dialogo si può parlare di presenza e di disponibilità vicendevole. In Occidente avete un'idea del dialogo non realistica in Oriente. Non si tratta di mettersi attorno ad un tavolo per discutere di contenuti religiosi, quanto di essere amici e disponibili all'altro e da questo può nascere uno scambio di esperienze religiose. Io credo che la miglior forma del dialogo con l'islam è la carità, interessarsi dei più poveri e dei più piccoli. L'islam è ancora impreparato al vero dialogo filosofico-religioso, ma è molto sensibile alla testimonianza di carità, anche se lo scambio e il confronto intellettuale non vanno affatto abbandonati».

    Il lungo cammino per una "Chiesa dialogante" 

    Nel febbraio 1981, durante il suo viaggio in Oriente (febbraio 1981), Giovanni Paolo II ha fatto una breve sosta a Karachi, che ha scomodato le massime autorità dello stato. L'entusiasmo popolare è stato travolgente e si trattava in gran parte di musulmani: hanno riempito lo stadio di Karachi in modo imprevisto. L'anno seguente mons. John Joseph di Faisalabad mi diceva:

«La visita del Papa è stata per noi, cattolici pakistani, l'avvenimento più importante in tutta la storia della nostra giovane Chiesa ([20]). Noi cristiani siamo cittadini di seconda categoria, ma lo straordinario successo popolare della visita del Papa ha dimostrato a tutti che la Chiesa cattolica ha un capo religioso capace di attirare anche le folle islamiche. Un giornale scriveva che non si è mai sentito dire che un rappresentante dell'islam, visitando un paese cristiano, abbia richiamato folle di cristiani come capo religioso carismatico! Tutto questo per noi non è un vanto, ma una responsabilità ed è servito per farci prendere in maggior considerazione a tutti i livelli.»

Il vescovo mi mostrava i giornali pakistani di quei giorni della visita papale (in lingua urdu e inglese), con grandi titoli, articoli e foto dell'avvenimento e diceva che mai prima di allora i cristiani erano arrivati, per qualsiasi motivo, sulle prime pagine dei giornali. Uno degli effetti a più lunga scadenza si è avvertito tempo dopo, quando il governo ha concesso ai cristiani di essere rappresentati in parlamento con alcuni deputati. Lo stesso impatto nella visita ad un paese islamico si è avuto il 19 agosto 1985, quando il Papa ha riempito di giovani lo stadio di Casablanca in Marocco.
I viaggi del Papa, come gli incontri di vertice, non sono quindi affatto superflui. Nel clima del Vaticano II sono sorti in quasi tutte le Chiese locali degli organismi per il dialogo che promuovono incontri con i non cristiani. Subito dopo il Concilio, questi incontri erano di cortesia e conoscenza reciproca, ma tendevano a diventare confronti ravvicinati sulla fede, la dottrina, i testi sacri e i riti. La prima esperienza di dialogo interreligioso non ha fatto molti passi, come già s'è detto: la Chiesa stessa e soprattutto le grandi religioni non erano, e non sono, preparate.
Giovanni Paolo II ha dato una svolta, soprattutto incontrando esponenti di altre religioni nei suoi viaggi: ha orientato il dialogo verso l'intesa per pregare e programmare insieme documenti e iniziative su temi come la pace, la libertà, la promozione dei diritti umani, la verità e la giustizia nei rapporti sociali, l'abolizione della violenza e, ultimamente (Assisi, gennaio 2002), del terrorismo, la salvaguardia dell'ambiente e la sobrietà della vita.
Le espressioni usate nell'incontro di Assisi (26 ottobre 1986) e nella "Sollicitudo rei socialis" (1987, n. 47) con le quali il Papa invita ebrei, musulmani e "tutti i seguaci delle grandi religioni del mondo" a pregare e operare assieme per la pace e la solidarietà tra gli uomini, ho visto che in diverse Chiese dell'Asia sono state tradotte nelle lingue locali e inviate a tutti i responsabili del mondo religioso, come dichiarazione d'intenti della Chiesa cattolica; sono diventate quasi il manifesto per il dialogo fra i membri delle varie religioni a tutti i livelli. Il cammino per una "Chiesa dialogante" è ancora lungo. Giovanni Paolo II scrive: «Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a  praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma» (
[21])
E' un orientamento preciso soprattutto per le giovani Chiese in ambienti non cristiani, ma anche per le Chiese antiche, che oggi si trovano confrontate con le masse di immigrati dai paesi non cristiani, specie dall'islam, spesso animate da un profondo senso religioso della vita e abituate più di noi alla preghiera quotidiana. Il dialogo non solo è missione (il dovere di annunziare Cristo ai non cristiani resta valido anche in Italia!), ma anche stimolo alla conversione: nell'incontro con i non cristiani certamente possiamo imparare qualcosa. 

    In Giappone la missione del futuro?

    Nel 1982 ho visitato in Pakistan la diga di Tarbela sul fiume Indo, una delle più grandi del mondo, costruita da 7.000 tecnici italiani della Lodigiani-Impregilo. Accanto alla diga la "città italiana", perchè molti avevano portato le loro famiglie: palazzi d'abitazione, scuole, ristoranti, cinema, una grande bella chiesa e un ospedale che farebbe invidia a qualsiasi città italiana, con personale locale ben preparato. Mi accoglie il direttore prof. Raja, chirurgo laureato in Inghilterra, che ha operato centinaia di italiani (i parenti di chi lavora vengono anche dall'Italia per farsi operare in un ospedale moderno e funzionante). Mi dice: « Voi italiani siete un popolo meraviglioso, cordiale, lavoratore. Qui in Pakistan vi siete fatti una grande fama, più di tutti gli altri stranieri. Però una cosa non capisco di voi: perchè non pregare mai?»
Naturalmente cerco di replicare, dico che non è vero, ma Raja conferma: «Vede, io sono musulmano e prego cinque volte al giorno. Anche qui nel mio ufficio ho un piccolo tappeto rivolto alla Mecca, sul quale mi inginocchio durante la giornata per pregare: mi sarebbe impossibile vivere senza il tempo della preghiera. Ma qui a Tarbela la chiesa cattolica è sempre vuota. Anche la domenica gli italiani vanno pochissimo in chiesa. Come fate a vivere senza pregare? »
Dunque, quale ruolo hanno le religioni non cristiane nella salvezza dell'umanità? Quando il Papa attuale scrive nella "Redemptoris Missio" che "l'attività missionaria è solo agli inizi", egli dice una grande verità anche riguardo al rapporto con le religioni non cristiane: stiamo appena iniziando a penetrare il mistero di queste religioni, in cui certo è presente l'azione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma che ancora attendono la pienezza della rivelazione in Cristo. Il vescovo di Kandy, nello Sri Lanka, mi diceva: «Di fronte al buddhismo, noi vescovi e preti dello Sri Lanka siamo come Cristoforo Colombo quando sbarcava nelle Americhe nel 1492. Credeva di dover esplorare un'isoletta e aveva davanti un immenso continente».
E aggiungeva che le scritture sacre del buddhismo sono 11 volte più lunghe della Bibbia. Non conosciamo i piani della Provvidenza, ma penso che oggi la missione ai non cristiani è orientata dai "segni dei tempi", tra l'altro dalle situazioni create dal movimento di globalizzazione, verso due linee operative: da un lato l'attività missionaria che abbiamo sempre fatto, da continuare e potenziare: primo annunzio di Gesù Cristo, catechesi, battesimo, fondazione delle prime comunità cristiane e maturazione della Chiesa locale; dall'altro, con pari forza, il dialogo con le altre culture e religioni per testimoniare i valori del Vangelo che umanizzano i costumi e preparano all'incontro con Cristo, quando Dio vorrà.
Nei viaggi che ho fatto in Giappone ho sentito parecchi missionari affermare che proprio in quel paese, molto evoluto ed istruito, la missione alle genti è diventata il modello della missione del futuro. La presenza cristiana fra i 126 milioni di giapponesi è minima (meno dell'uno per cento), ma il Vangelo è il libro più venduto e più letto: 1-1,5 milioni di copie l'anno vendute; pochissimi si convertono alle Chiese cristiane, ma la società giapponese, nell'ultimo mezzo secolo, è molto cambiata in senso evangelico. Il padre Fedele Giannini dice (
[22]):

«In Giappone l'obiettivo della Chiesa è anche di convertire le singole persone, cosa che diventa sempre più ardua in una società sempre più secolarizzata; quanto piuttosto di inserire dei valori evangelici nella società, a tutti i livelli, specialmente l'amore al prossimo, così raro in una società non cristiana, contrariamente a quanto si può credere. I giapponesi hanno imparato dai cristiani a fare collette per gli handicappati, gli orfani, i poveri, gli emarginati, i disastrati dai tifoni! Prima, i giapponesi ignoravano bellamente tutta questa povera gente. Col loro esempio i cristiani sono riusciti a cambiare un comportamento sociale che escludeva i poveri e i deboli. In questo modo, con la concretezza e le iniziative che si inseriscono dentro la vita della società giapponese, i cristiani possono arrivare ad infondere un'anima nuova in questo popolo».

I valori del Vangelo stanno cambiando dall'interno le culture e le religioni dei popoli: è un fatto che non viene mai ricordato, l'opinione pubblica in Italia non avverte la differenza fra il vivere in un paese cristiano e in un paese di altra religione. Si dice che una religione vale l'altra, che tutte sono più o meno uguali. Non è vero, assolutamente non è vero. Nel 1980 sono andato in Thailandia per la Caritas italiana, con mons. Motolese, arcivescovo di Taranto (allora presidente della Caritas italiana), a visitare i "campi profughi" dal Vietnam e dalla Cambogia, i famosi "boat people". L'assistenza  era realizzata soprattutto dalla Chiesa e da infermiere e volontari cattolici, fra i quali anche la mia segretaria a Milano, suor Franca Nava, missionaria dell'Immacolata già infermiera in Bangladesh e in India.
In quella tragica emergenza (un milione e mezzo di profughi in pochi anni), la popolazione thailandese lungo i confini e sulla riva del mare non voleva accogliere quella povera gente, a volte la rapinava, la ricacciava in mare. Il Re di Thailandia fece un discorso alla televisione, dicendo ai suoi compatrioti (buddhisti al 98%) che dovevano imparare dalla piccola minoranza cattolica il senso di apertura a questi fratelli che fuggivano da due dittature comuniste... A me questi fatti riempiono il cuore di gioia: è l'azione dello Spirito che si manifesta, attraverso la testimonianza concreta di Vangelo!

 



[1]. Con il decreto "Ad gentes" sulla missione fra i non cristiani e quello sull'ecumenismo "Unitatis redintegratio".

[2]. Si noti: non "Dichiarazione della Chiesa sulle religioni non cristiane", ma "Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane". La Chiesa non giudica le altre religioni, ma si preoccupa di stabilire rapporti di fraternità, dialogo, collaborazione.

[3]. Era la tesi di padre Paolo Manna nel 1929 quando, di ritorno dal suo viaggio di visita alle missioni dell'Asia durato più d'un anno, scrive il pro-memoria per Propaganda Fide intitolato "Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione": il fallimento delle missioni in Asia viene essenzialmente dal "metodo" di evangelizzazione usato. Vedi: Butturini G., "Le missioni cattoliche in Cina tra le due guerre mondiali", Emi 1998.

[4]. Lettera ai Colossesi, 2, 6-15.

[5]. Pubblicato inedito da "Mondo e Missione" dopo la morte di Dossetti (1913-1996), col titolo "Quale teologia delle religioni, se Cristo finisce in un angolo?", marzo 1997, pagg. 11-14.

[6]. Si legga il capitolo I della Lettera ai Romani, dove san Paolo descrive in termini radicalmente negativi e di aperta condanna la situazione degli uomini senza Cristo. Però lo stesso "Apostolo delle genti", nel famoso discorso all'Aeropago di Atene (Atti degli Apostoli 17, 16-31), parla in modo positivo delle credenze degli ateniesi e dei tentativi che essi fanno per ricercare il vero Dio.

[7]. P. Gheddo, "Prima del sole, L'avventura missionaria di padre Clemente Vismara", Emi 1998 (II ediz.), pagg. 113-117.

[8]. "Lettera ai Romani", cap. I.

[9]. "Atti degli Apostoli", 17, 16-31.

[10]. Joseph Tomko, "La missione verso il terzo millennio, Attualità, fondamenti, prospettive", Urbaniana University Press, Edizioni Dehoniane 1998, pag. 291.

[11]. Vedi in "La Traccia - L'insegnamento di Giovanni Paolo II", febbraio 2002, pagg. 52-53.

[12]. Pelosin A., "Thailandia, Primi passi con Buddha", "Mondo e Missione", aprile 1984, pagg. 243-266.

[13]. Dagli incontri fra le religioni è nata la "terza forza" politica del Vietnam del sud, formata da cooperative, sindacati, partiti, gruppi per i diritti dell'uomo, associazioni studentesche, ecc. La terza forza ha avuto un peso notevole nel far cessare la guerra: tanto che venne riconosciuta dagli "accordi di Parigi" del 27 gennaio 1973, che determinarono la partenza degli americani, il decadimento del regime di Thieu, il dilagare delle armate nord-vietnamite e la conquista di Saigon nell'aprile 1975. Gli accordi di Parigi riconoscevano alla "terza forza": libertà di stampa e di religione, elezioni libere e pluraliste, ecc. Nessuno di questi patti venne mantenuto. I mass media occidentali non hanno più parlato della "terza forza"; i bonzi buddhisti che dopo il 1975 si sono immolati dandosi fuoco per protestare contro la dittatura comunista, non hanno più avuto fotografi e televisioni a riprenderli: il Vietnam era ormai tutto "liberato"! Con l'aprile 1975 iniziò per buddhisti e cattolici una vera persecuzione, che continua ancor oggi.

[14]. A questa tendenza teologica risponde la "Redemptoris Missio" nel capitolo II, "Il Regno di Dio".

[15]. Un grande "opinionista" di quotidiano, affermava che con l'Immacolata Concezione la Chiesa esalta la verginità di Maria! Un altro, scrive che nella festa della Visitazione si ricorda quando Gesù andò a visitare le sorelle Marta e Maria a Betania. In un dibattito televisivo, un terzo giornalista, anche lui fra i più rinomati, per rispondere ad uno che citava la "Summa Theologica" di San Tommaso d'Acquino, dice: "L'ho letta anch'io, non dice questo". Il conduttore gli chiede: "Ma lei cosa ricorda di San Tommaso?". Risposta: "Quella volta che disse a Gesù di voler toccare le piaghe della Passione...". "Ah, ma quello è San Tommaso Apostolo, non San Tommaso dottore della Chiesa". "Non importa, non c'è molta differenza...". Piccoli esempi di quanto colossale è l'ignoranza religiosa in chi "fa opinione" sui giornali e alla televisione!

[16]. Atti degli Apostoli, 4, 12.

[17]. "Redemptoris Missio", n. 55.

[18]. Shirieda G. "I valori positivi delle religioni orientali", "Mondo e Missione", febbraio 1977, pag. 119-123.

[19]. Vedi: Domenico Colombo, "Preghiera: l'Asia interroga la Chiesa", "Mondo e Missione", agosto-settembre 1979, pagg. 451-475.

[20]. Quando si dice, in Italia, che "il Papa viaggia troppo", non si tiene conto del fatto che in molti paesi non cristiani le sue brevi visite hanno impatti straordinari di annunzio evangelico. Si veda: Cazzaniga P., "Come i giapponesi hanno visto il Papa", "Mondo e Missione", 1981, pagg. 366-394 (specie "I risultati della visita papale", 387-394).

[21]. "Redemptoris Missio", n. 56.

[22]. Toaldo E., "Il missionario nel Giappone d'oggi", "Mondo e Missione", febbraio 1973, pagg. 96-121.