René Voillaume
PREGARE PER VIVERE
CITTADELLA EDITRICE ASSISI
PERMANENTI IN PREGHIERA |
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PERMANENTI IN PREGHIERA
Presenti al mondo invisibile
Ogni uomo è naturalmente e totalmente presente alla realtà del mondo visibile in mezzo al quale vive e al quale aderisce con tutti i sensi. Il cristiano e, a titolo particolare, il contemplativo, deve inoltre essere presente alla realtà invisibile. Caratteristica dell'uomo di preghiera è l'essere presente a tutto l'universo, quello delle cose visibili, ch'egli raggiunge con i sensi, e quello delle cose invisibili, che tocca mediante la fede. Queste ultime, devono essergli più presenti in quanto sono più reali, nel pieno senso del termine. Questa dualità di vita e di prospettive tormenta l'uomo di fede e ne fa, in un certo modo, un estraneo in mezzo ai suoi fratelli, i quali non portano dentro se stessi questa visione di un altro universo. In mezzo agli uomini, qualunque siano, compagni di lavoro, passanti, anche parenti e amici, ci sentiremo al tempo stesso molto vicini e molto lontani, e questa sensazione sarà, certi giorni, abbastanza forte da divenire dolorosa. Sarà come un senso di solitudine, d'impotenza a comunicare ai nostri compagni questa visione che il nostro amore ci fa tuttavia desiderare di ottenere loro. Il Cristo fu così tra gli uomini: nello stesso tempo totalmente presente e misteriosamente assente, con un senso di solitudine infinitamente più doloroso e profondo di quanto noi possiamo provare. Sarebbe grave errore voler sopprimere in noi questa sensazione e le conseguenze esterne che essa porta; il giorno in cui non fossimo più per gli uomini, sotto un certo aspetto, un punto interrogativo, potremmo dire di aver cessato di portare tra loro la presenza del grande invisibile. Non saremmo più per loro i testimoni della vita e della luce.
Si tratta, dunque, di realizzare in noi questa totale presenza al mondo invisibile. È questa l'opera della fede, che sarà sviluppata al punto da divenire abitualmente attiva nella nostra vita e sarà in noi un occhio sempre aperto sulle cose divine e pronto a riceverne le illuminazioni interiori. Questa visione di fede trova la sua sorgente e la sua espressione nella preghiera. Un Piccolo Fratello deve essere un permanente in preghiera. Mi sembra che questo
termine, preso in tutta la sua ricchezza del senso concretissimo che gli si dà oggi nelle varie organizzazioni sindacali e professionali, caratterizzi perfettamente quello che deve essere il nostro atteggiamento interiore di fronte a Dio e agli uomini, ed esprima esattamente la nostra vocazione alla preghiera, con le sue caratteristiche.
Un permanente è, prima di tutto, un uomo che è stato reso disponibile per un compito specializzato, al quale deve consacrare una parte del suo tempo, in vista del bene comune di tutti; analogamente il Piccolo Fratello deve es.. sere in stato interiore costante di disponibilità per la preghiera.
Un permanente, come lo indica il termine stesso, deve anche assicurare una permanenza, ciò che suppone una certa continuità nella presenza; così il Piccolo Fratello deve essere presente a Dio e al Cristo, in modo permanente, attraverso lo stato di preghiera che tende a stabilirsi in lui.
Infine, un permanente è sempre un delegato dei suoi compagni; e deve conservarne il senso, se vuoI lavorare in spirito di servizio, a eseguire perfettamente il mandato che gli è stato affidato. È esattamente lo stesso per il Piccolo Fratello sul piano delle responsabilità spirituali che egli, in virtù dell'unità del corpo mistico di Cristo, si assume, e che fanno di lui, alla lettera, un delegato alla preghiera dai suoi fratelli.
Necessità vitale della preghiera
Dobbiamo essere totalmente disponibili per la preghiera. Ora, è assolutamente certo che non saremo veramente disponibili se non crediamo effettivamente all'importanza vitale della preghiera. Come esigere che qualcuno sia disponibile per un compito all'importanza del quale non crede nel suo intimo? Non è perché siamo stati fedeli a osservare, con un massimo di buona volontà, un regolamento che ci impone delle ore di preghiera, che crediamo all'importanza della preghiera. Fintanto che non avremo compromesso nella preghiera il nostro essere e la nostra vita, in modo del tutto personale, impegnando la nostra responsabilità, malgrado le fatiche del lavoro, le sollecitazioni delle cose e delle persone, è probabile che non si sia ancora del tutto disponibili alla preghiera.
La nostra vita di preghiera riveste due aspetti: vi sono, in primo luogo, i momenti di pura preghiera, momenti di ritiro, di silenzio e di arresto totale di ogni attività terrena, e vi è anche la permanenza dello stato di preghiera, durante tutte le nostre attività umane di lavoro e di relazione.
Bisogna parlare innanzi tutto della prima forma di preghiera, che d'altronde, qualunque cosa se ne pensi, condiziona la seconda. Nell'epoca attuale, gli uomini vivono in mezzo a una intensa superattività, né vi sfuggono i sacerdoti e i religiosi che si trovano sollecitati da compiti apostolici urgenti e così numerosi, da non poter affrontarli tutti. In mezzo a questo dilagare di vita e di attività, i periodi di preghiera tenderanno a presentarsi come dei vuoti, delle soste, che forse si osservano per un residuo di scrupoli, oppure perché c'è stato ripetuto che cesseremmo di essere dei veri apostoli se non ci arricchissimo durante questi momenti di orazione o di meditazione. Ora, molto spesso, non abbiamo affatto. questa impressione, mentre, l'attività apostolica e il dedicarsi agli altri ci dà un reale senso di arricchimento. Considerando l'urgenza delle sollecitazioni esterne, si arriverà a guardare a questi momenti di ritiro e di silenzio come a reali perdite di tempo, e si finirà con il ritenere «più perfetto» il darsi interamente alla attività esterna, purché l'unione permanente con Dio la trasformi in una preghiera incessante. Ma, se non è errato il pretendere di fare di tutta la propria vita una preghiera permanente, è errore assai grave il pensare che la pura preghiera possa divenire inutile. Essa è obbligatoria, non solo come sorgente di ciò che oggi si è convenuto chiamare « orazione diffusa », ma come attività superio re, indispensabile alle nostre relazioni con Dio e dalla quale nessuna potenza del mondo potrebbe dispensarci.
Chi, più del Cristo, fu permanentemente in stato di adorazione e di preghiera davanti al Padre, poiché la visione di Dio dimorava nell'anima sua in mezzo a tutte le sue attività di uomo? Tuttavia, vediamo Gesù cogliere, appena può, le occasioni per immergersi nel silenzio e nella solitudine di una pura preghiera: « E, avendo congedate le folle, salì sul monte, in disparte, per pregare» (Mt. 14, 23). « Il mattino, molto prima dell'alba, egli si levò, uscì e andò in un luogo solitario. E là pregava»(Mt. 1, 35). Questi momenti di preghiera Gesù li sottraeva alle giornate massacranti, durante le quali non cessava di appartenere ai suoi discepoli, ai malati, alla folla che gli si accalcava intorno e lo cercava. Alla sera, di notte, al mattino, fugge per pregare. Gesù, come uomo, sentiva il bisogno di istanti di preghiera, liberi da ogni attività umana.
Per un'anima che ha il senso di Dio, una simile necessità non offre dubbi, ed è, nella misura in cui l'uomo perde il senso del divino, e, di conseguenza, quello del suo essere di creatura, che perde anche il senso della preghiera come « pura perdita di sé» davanti a Dio. La preghiera di adorazione, che è l'essenziale della preghiera, non serve a nulla nel senso proprio del termine e, finché non si sarà attuato a fondo questo, non si potrà pregare veramente. Che utilità può derivare dalle prime tre domande del Padre nostro?
Vedremo la forza e la luce che ci darà questa verità, quando ne saremo praticamente convinti e avremo cominciato ad agire in conseguenza. Malgrado tutto ciò che pensiamo teoricamente della preghiera di adorazione e dei nostri rapporti con Gesù e con Dio, vi sono forti probabilità che, più o meno inconsciamente andiamo ancora all'orazione per ricavare qualcosa di tangibile, per prendere coraggio, per alimentarci e, come si direbbe oggi, per rifornirci alle fonti.
Perciò, quando improvvisamente si inserirà in noi un'orazione di fede, nell'aridità dei sensi e con il vuoto dell'intelligenza, ci sarà uno sconcerto: e per questo, basterà un cambiamento di quadro, di ambiente, nella pesantezza e nella fatica del lavoro. Basterà per questo, che Gesù sospenda semplicemente di attirarci con attrattive esterne a lui stesso. Allora ci sarà lo scoraggiamento, la stanchezza nell'orazione, e non crederemo più abbastanza, nella sua importanza per restarvi fedeli. Non saremo più disponibili per la preghiera.
Impegnarsi concretamente nel distacco
Bisogna assolutamente che ci convinciamo che andiamo all'adorazione non per ricevere, ma per dare, e per dare spesso senza comprendere, senza vedere ciò che diamo. Vi andiamo per abbandonare a Dio, nella notte interiore, tutto il nostro essere. Bisogna che comprendiamo tutto ciò che le parole « abbandonare a Dio tutto il nostro essere », racchiudono di fede oscura, talvolta di sofferenza e sempre di ricchezza d'amore. L'adorazione, la preghiera, non è in primo luogo un sentimento né un pensiero, ma è il riconoscere la presa di possesso di Dio su di noi, sul più intimo di noi stessi; è un'opera più grande e più assoluta di quanto possiamo averne coscienza. È un atto che suppone molto coraggio e abbandono di sé a una attività del Cristo in noi: è spesso terribilmente dolorosa. Capiremo meglio, con l'esperienza, fino a che punto l'orazione suppone un distacco radicale da tutto il creato. Al momento stesso della preghiera deve, in modo veramente attuale determinarsi una specie di morte a tutto quello che non è Dio. È per questo, che molti, fra cui preti e religiosi, rifuggono dalla vera preghiera per rifugiarsi in una semplice formalità di preghiere vocali che illudono, o nel surrogato di una riflessione meditata su un soggetto morale. Spesso, coscientemente o no, si ricorre a queste scappatoie, quando non si compie l'atto sostanziale del dono di sé, che si dovrebbe fare come condizione preliminare dell'orazione. Il che non vuol dire che si debbano trascurare le preghiere vocali o le riflessioni di fede sul Vangelo e sulle verità cristiane. In certi casi, esse possono servire da alibi a un'anima che si rifiuta.
La nostra disponibilità per la preghiera suppone dunque, non solo la fede nell'importanza della preghiera, ma un vero lavoro di distacco interiore che, in linea di massima, dovrebbe essere radicale e senza limiti, della misura stessa del nostro amore. Quanto alla fede nell'importanza della preghiera, essa dovrà tradursi per noi in atteggiamenti molto concreti.
Dobbiamo, per prima cosa, desiderare la preghiera. È evidente che, se i momenti di adorazione rappresentano veramente per noi il dono totale al Cristo, il nostro amore per lui ne accrescerà il desiderio. Non crediamo, tuttavia, che questo desiderio nasca da solo. Esso non è naturale nella condizione in cui è l'uomo, ed è facile e spontaneo solo in caso di grazia veramente soprannaturale. Normalmente è un esercizio di fede. Atto di fede vuol dire atto di volontà che impone a tutto il nostro essere, e spesso malgrado la sua resistenza e nell'oscurità, di assumere un atteggiamento che risponda alla realtà delle cose invisibili: perciò niente è più vero di un atteggiamento interiore o di un atto comandato dalla volontà alla luce della fede. Bisogna evitare di pensare che un atteggiamento è vero solo quando è naturalmente spontaneo. Solo la fede ci farà desiderare i momenti di preghiera. Questo desiderio si radicherà in noi a poco a poco, preparando così la strada all'orazione. Ma il modo migliore di desiderare l'incontro con Gesù nell'adorazione è di andarvi effettivamente. Più pregheremo e più desidereremo la preghiera. È allora che sentiremo accentuarsi e rafforzarsi in noi questa divisione tra Gesù e gli uomini, tra l'amore di Dio e l'amore degli uomini, che è il segno dell'anima contemplativa.
Bisogna dunque passare alla pratica diventando, non solo interiormente, ma effettivamente, disponibili per la preghiera.
Se ci limitiamo a dare a Dio solo il tempo rigorosamente prescritto e non sentiamo il bisogno di passare, di tanto in tanto qualche momento in preghiera gratuita solo per amore di Gesù che ci aspetta, significa che non siamo ancora dei veri disponibili alla preghiera. Sta di fatto che un'anima di preghiera trova sempre, di quando in quando, il tempo per pregare.
L'amore, legame fra l'azione e la preghiera
Vi è troppo spesso una reale frattura fra la preghiera e la vita. Non basta, per soddisfare la nostra vocazione, consacrare all'orazione dei momenti determinati delle nostre giornate; bisogna tendere costantemente a osservare il precetto del Cristo sulla preghiera continua. Tutta la nostra vita deve essere preghiera. Per prepararsi a ciò, mi pare necessario un triplice sforzo: acclimatare la nostra preghiera alla vita concreta nella quale deve inserirsi, impegnarci affinché essa sia veramente un atto vivo di amore e di dono di sé, e sforzarci di fare, delle nostre azioni, una preghiera autentica.
Per pregare, abbiamo bisogno di un certo numero di disposizioni psicologiche e di mezzi per esercitare la nostra fede, e questo in misura tanto maggiore, quanto meno la nostra preghiera è sotto l'azione dello Spirito Santo. È in questo campo, che deve farsi ciò che ho chiamato l'acclimatarsi all'ambiente reale. Ora, assai spesso, la nostra vita spirituale, è adattata a un quadro troppo intellettuale e, benché passi sovente del tutto inavvertita, è questa una delle principali cause di molti squilibri, soprattutto nei preti e nei religiosi, e di molti abbandoni della preghiera.
Non bisogna perdere di vista che l'amore è il legame - il solo legame - che può fare unità in noi e nelle nostre giornate, e più particolarmente tra la preghiera e l'azione. Lo si dimentica troppo spesso; la preghiera è l'opera dell'amore e così pure il servizio del prossimo. Ciò che Gesù ci comanda, è di amare Dio e gli uomini, nostri fratelli, fino alla morte di noi stessi: questa è la perfezione. È dunque essenziale, per colui che ha ricevuto da Dio la chiamata a una vita contemplativa, e più ancora per gli altri, vegliare affinché la sua preghiera sia opera d'amore, sia autentica e vivente. Non bisogna credere che questo succeda da solo. Anche nell'atto dell'orazione è utile ricordarci delle forti parole di san Paolo: «Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli e non avessi l'amore, non sarei che un bronzo risonante o un cembalo squillante; e se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede così da trasportare le montagne, e poi mancassi di amore, non sarei nulla» (1 Co. 13, 1-2).
Troppo spesso, le nostre preghiere non sono che esercizi senza vita! Come stupirsi, poi, che vi sia una frattura tra la vita e una tale forma di preghiera?
Una preghiera è vivente quando è un atto vitale di ciò che è vivo in noi: la fede è l'amore. Bisogna anche che la preghiera sia vera perché sia un incontro tra noi - così come siamo, con le nostre fatiche, le nostre misèrie, i nostri peccati, le nostre tentazioni - e il Cristo che èlà tra Dio e noi. Si noterà che sottolineo soprattutto lo sforzo, quasi sempre oscuro e arido, di una fede alla ricerca di Dio, senza menzionare l'azione più o meno permanente dei doni dello Spirito Santo. In effetti, solo la fede esige da noi questo sforzo attivo, 'mentre non possiamo che subire l'azione dello Spirito Santo che viene, da se stesso, a concludere il nostro sforzo, spesso, così miserabile nei suoi risultati.
Con la stessa purezza di intenzione e nello stesso movimento di amore andremo dunque alla preghiera, al lavoro e al servizio degli uomini. Allora ci sarà unità in tutta la nostra vita. Resterà in noi, nell'intimo dell'anima nostra, un perpetuo desiderio di amare e di testimoniare questo amore, e sarà ora pregando in silenzio, ora lavorando, ora conversando. Ciò suppone, come acquisita, una certa padronanza di sé in una spogliazione reale di ogni nostro desiderio. Solo a questa condizione potremo dominare l'insieme delle nostre attività di preghiera o di lavoro per farne l'espressione multipla di un unico moto d'amore.
Tutta la nostra vita deve essere preghiera
Si deve ancora imparare a pregare in permanenza, al di fuori dei momenti di preghiera pura. Sono necessarie qui delle precisazioni, perché talvolta ci si fa delle idee più o meno esatte a questo proposito, che sono causa di scoraggiamenti perché ci portano a ricercare un fine inaccessibile.
Quando si parla di preghiera, di presenza, si tratta sempre, più o meno, di un atto di fede e non solo di un atto di amore. Tutto questo è strettamente connesso e, nella realtà, non si ha l'uno senza l'altro; ma non si può dire che le nostre azioni e le nostre giornate siano una preghiera, solo perché le viviamo per amore. Vi è qui un abuso di linguaggio e si finisce con il non sapere più ciò che le parole significano. Pregare è un atto in cui entra sempre, più o meno, !'intelligenza e la fede che adora o chiede con parole o senza parole. Pregare è almeno guardare; è pensare, parlare, supplicare con lacrime, sia con parole pronunciate, con idee e immagini che semplicemente con lo sguardo infinitamente più profondo, ma oscuro, della contemplazione. Se non vi è questo, non si può dire che vi sia preghiera nel senso proprio del termine.
Come dunque si può fare per prolungare l'orazione durante tutta la nostra giornata, come fare di tutte le nostre azioni una continua preghiera? Un sacrificio può essere considerato come una preghiera in azione, in senso lato. In questo senso la nostra vita può dunque già essere una preghiera se è semplicemente offerta soprattutto in una unione al sacrificio eucaristico. Una tale disposizione di offerta, rinnovata esplicitamente a ogni messa, conferisce realmente a tutte le azioni della nostra giornata un carattere di offerta che ne fa una vera preghiera vivente.
Di qui, l'importanza dello spirito di immolazione per fare della nostra vita una vera preghiera. La nostra vita può essere una preghiera, se in ogni occasione conserviamo la libertà di spirito che è la prima condizione per la preghiera. Restiamo cosi in costante disponibilità in rapporto alla preghiera. Tocchiamo ancora con mano la necessità di una ascesi interiore, perché la libertà di spirito è sinonimo del distacco da ogni creatura, da ogni attività. Dobbiamo imparare a conservare questa libertà pur sapendo di donarci semplicemente e gioiosamente al nostro lavoro, ai nostri amici, ai nostri compagni, ai nostri fratelli. È al momento di metterci in preghiera che ci accorgeremo se abbiamo o no conservato questa libertà interiore, che chiamerei anche silenzio interiore. È l'amore della croce di Gesù che ci permetterà di conservarla.
Ma sentiremo tutti il bisogno di qualcosa di più: della pratica di una vera orazione diffusa. Questa consisterà nel disseminare le nostre giornate di istanti di preghiera più o meno frequenti. Imparare a pregare il più semplicemente possibile con parole o con un semplice sguardo dell'anima, dappertutto, e ogni volta che Dio ci solleciterà con la sua grazia. Questa permanenza della preghiera, nel senso proprio del termine, assumerà tante forme diverse quante sono le tappe dello sviluppo della fede e quanti sono i diversi caratteri. Potrà essere il richiamo di un versetto evangelico, un semplice sguardo al Cristo, il senso della presenza della Vergine; sarà ancora, nell'intimo del cuore, un moto di offerta per un compagno o per tutti gli uomini, suscitato da un contatto amichevole, dalla vista del male o dallo spettacolo di una folla indifferente. In una parola, si tratta di una reazione della nostra fede che, a poco a poco, tende a essere abitualmente in atto e a farci guardare le realtà invisibili del mondo. Questi atti intermittenti di fede preparano lo stato di semplice contemplazione che può essere realizzato in noi solo dai doni dello Spirito Santo. Dobbiamo esercitarci a ciò. Vi è, infatti, un modo di guardare con gli occhi della fede l'uomo, il lavoro, il piacere e le sue sollecitazioni, che ci mette in piena verità umana e divina, visibile, ed è come una preghiera allo stato iniziale.
Una preghiera redentrice
Un aiuto potente per acquistare questo spirito di fede ci verrà dalla consapevolezza di essere realmente i delegati degli uomini davanti a Dio; bisogna ancorare in noi questa visione del mondo nella fede, ritornandovi incessantemente. In virtù dei legami del corpo mistico di Gesù, siamo solidali gli uni agli altri. Il contatto quotidiano con gli uomini dovrà contribuire a sviluppare in noi il senso di questa solidarietàspirituale. I legami di amicizia, di cameratismo sul lavoro, di aiuto reciproco nel bisogno, saranno per noi la figura di un aiuto scambievole ben più efficace e profondo. Attraverso queste manifestazioni visibili di unità, ci eserciteremo a vedere con gli occhi della fede i legami invisibili che ci fanno partecipi della sofferenza, del peccato, della miseria morale e dei bisogni degli altri uomini. Mediante la preghiera e l'offerta di noi stessi, possiamo dare un senso alla sofferenza senza scopo del mondo. Accettiamo e portiamo questa sofferenza, come Gesù l'ha portata, con lui e in lui, con umiltà, dolcezza e amore. La nostra visione del mondo invisibile, che in un certo senso fa di noi degli estranei, non deve tuttavia renderci lontani e indifferenti; anzi, deve essere il contrario.
Vi è un altro male, la cui presenza e importanza possono sfuggirci se non vi facciamo attenzione. Intendo parlare del peccato e del male morale, di tutti i peccati, compreso quello del rifiuto esplicito di Dio. Dobbiamo conservare il senso del peccato, di quello che è in noi, come di quello che è nel mondo, in ogni uomo, qualunque sia. Se abbiamo il senso di Dio, ma soprattutto se siamo penetrati nel mistero del cuore di Cristo e se viviamo nella sua intimità, non potremo sfuggire alla sua agonia davanti ai peccati dell'umanità tutta. Per amore suo e degli uomini, la preghiera in noi si farà supplice e riparatrice.
In questo senso deve svilupparsi la nostra solidarietà spirituale con l'umanità. Però non facciamoci illusioni: se il contatto con la miseria fisica e morale degli uomini ci è benefico per invitarci al distacco da noi stessi e spronarci sulla via dell'amore, ciò deve servire a portarci ad aderire più intimamente a Gesù. È la nostra unione al Cristo che è primaria ed è in noi la sorgente di ogni fecondità spirituale. Non possiamo essere salvatori con Gesù se prima non siamo salvati da lui.