René Voillaume
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CON GESÙ NEL DESERTO


CON GESÙ NEL DESERTO

La necessità del ritiro

Anche noi, come Gesù durante la sua vita terrena, abbiamo bisogno di periodi di ritiro e di deserto, che' non devono sembrarci periodi sottratti agli uomini. Non è valida l'obiezione che gli altri non potrebbero concedersi tali ritiri e che quindi non possiamo separarci dai poveri e dai lavoratori ritirandoci, così, per periodi un po' lunghi, perché essa deriva da un ragionamento troppo materialistico. Gesù avrebbe dunque avuto torto nel dire ai suoi apostoli di abbandonare le loro reti, i loro parenti, i loro compagni di lavoro per condurre al suo seguito, e spesso nel deserto, una vita, tutto sommato, meno faticosa della pesca notturna sul lago? I nostri ritiri sono un lavoro con Gesù. Dobbiamo essere molto rigorosi quanto alle condizioni di silenzio, di isolamento, di sospensione di ogni corrispondenza e attività umana da osservare durante questi periodi.

I periodi di deserto

I periodi di deserto sono essenziali per approfondire la nostra vita di preghiera. Deserto non è sinonimo di ritiro: non ogni luogo di ritiro è un deserto e ciò che normalmente si chiama esercizio di ritiro spirituale non è paragonabile a un periodo di deserto. Ogni luogo porta in sé un significato spirituale nella misura in cui, attraverso i nostri sensi, contribuisce a imprimere un segno sul nostro spirito. San Giovanni della Croce aveva capito l'importanza dei luoghi come mezzo per disporre alla contemplazione. Il deserto non è solamente un luogo solitario e silenzioso, come se ne possono trovare molti nel mondo e persino nel cuore delle nostre città. Il deserto è più di un luogo di ritiro, perché nella sua estensione e nel suo vuoto porta dei valori che gli sono propri. In quanto tale, il deserto non serve a nulla all'uomo e lo spazio occupato da queste solitudini aride sembra senza senso di fronte agli spazi più ristretti riservati alle regioni fertili e sovrappopolate. Come la preghiera di pura adorazione, di cui èl'immagine, il deserto non è apparentemente di alcuna utilità per l'uomo. Il deserto porta l'uomo al limite della sua debolezza e della sua impotenza e lo obbliga a cercare forza in Dio solo. Porta in sé il segno della povertà, dell'austerità, dell'estrema semplicità, della totale impotenza dell'uomo che scopre la sua debolezza, poiché l'uomo non è in grado di autosussistere di per se stesso di fronte al deserto. D'altronde, è Dio che conduce al deserto, poiché lo spirito non può rimanervi senza essere nutrito direttamente da Dio. :È in questo, che un periodo di deserto differisce da un ritiro in cui è bene, al contrario, cercare tutti i mezzi esteriori possibili per rinnovare e raccogliere la fede: conferenze, partecipazione alla liturgia, preghiere in comune, colloqui con un direttore spirituale. Questi ritiri sono necessari e d'altronde possono richiedere, secondo la maturità spirituale di ciascuno, dei vari gradi di solitudine. Il deserto, al contrario, è un tentativo di avanzare nudi, deboli, privi di ogni appoggio umano, nel digiuno del cibo terrestre e anche spirituale, verso l'incontro con Dio. E non potremmo andare lontano, se Dio stesso non ci mandasse il suo cibo come ha fatto per Israele, per Elia, coricato e spossato sotto il ginepro. La nostra preghiera, anche quando è il risultato di una attività delle virtù teologali, comporta sempre una rispettosa- attesa del cibo divino. Il periodo di deserto è una prova, un test} come un tentativo pieno di fiducia per sollecitare Dio a venire verso di noi, nella nostra impotenza, per condurci a lui. Ciò che, dunque, è essenziale, in un periodo di deserto, èlo spogliamento totale e l'attesa serena e silenziosa di Dio in una certa inattività delle nostre capacità. Questa attesa passiva, senza una risposta di Dio sarebbe nociva se si prolungasse molto, ma è piena di vantaggi se èbreve, come un grido di aiuto lanciato verso Dio e di cui noi abbiamo bisogno, di tanto in tanto, per sostenere la nostra preghiera. Non bisogna intraprendere ritiri prolungati nel deserto sconsideratamente, senza direzione spirituale e, comunque, bisogna sapersi comportare in modo tale da essere pronti, seguendo la risposta di Dio, a mescolare all'attesa silenziosa e allo spogliamento il cibo spirituale necessario per non indebolirsi e non ridursi all'inerzia, con il pretesto di aver voluto raggiungere, con le nostre forze, la montagna sulla quale solo Dio può condurci. Per andare nel deserto, bisogna dunque credere che Dio può venirci a trovare nella preghiera e, per ottenere la grazia di questa visita, bisogna desiderarla con fiducia e gioia. La giornata nel deserto viene a ricordarci regolarmente la necessità di questa attesa. Ci ricorda le condizioni di preparazione necessarie per ricevere questa grazia: l'umiltà del cuore, il non fare affidamento su se stessi, accettare l'assenza delle consolazioni sensibili e l'austerità di questo modo di incontrarci con Dio; perché, se lo Spirito Santo ci visita, ciò non accadrà se prima non ci saremo dimenticati di noi stessi. Per diventare un cammino verso Dio, il deserto deve essere accettato con spirito di assoluta povertà. Senza spogliamento e silenzio interiore, il deserto non sarebbe che un ostacolo alla preghiera. È anche nella nudità del deserto che cadranno le illusioni di tutto ciò che ingombra il nostro cuore. Non si può sopportare di camminare a lungo, soli nel deserto, se non si ha il cuore semplice e povero e se dalla vita ci si aspetta ancora qualcos'altro che Dio solo. È per questo che le tentazioni di renderci utili agli uomini, in modo diverso, dall'affermazione vitale della trascendenza divina o dell'amore divino, la tentazione di instaurare il regno di Dio con mezzi diversi da quelli usati da Gesù stesso, non saranno definitivamente vinte se non nel deserto, come fu per Gesù. L'esperienza ci porta a costatare che noi siamo molto più tentati nel deserto, e saremmo inclini a concludere che è meglio evitare di andarvi. No, non siamo più deboli nel deserto che altrove: siamo posti nella condizione di fare una scelta più assoluta e radicale, scelta le cui alternative, durante la nostra vita abituale, vengono sbiadite dalla molteplicità delle attività quotidiane e da innumerevoli compromessi più o meno coscienti.

Il conforto di un incontro con Dio nella nudità del deserto ci apparirà, allora, come la sorgente e la garanzia della nostra fedeltà alle esigenze della contemplazione nel pieno ritmo della vita, di un rinnovamento nella nostra vocazione di permanenti in preghiera; essa si inserisce pure nella nostra vocazione di essere salvatori con Gesù mediante una preghiera di intercessione la cui intensità richiede, di per se stessa, l'assoluto del deserto.

La chiamata al deserto

Per un Piccolo Fratello la chiamata a vivere nel deserto non deriva da una vocazione permanente di solitario, né da una vocazione monastica che comporti la separazione dal mondo come elemento essenziale e permanente nella ricerca della santità, ma si colloca nella realizzazione stessa della sua vocazione a una missione di preghiera di adorazione e di intercessione. Anche qui, l'atteggiamento fondamentale di un figlio del padre de Foucauld si riallaccia a quello di santa Teresa del bambino Gesù. È un'opera di amore derivante dalla presa in carica quasi pastorale degli uomini che ci sono stati affidati, al fine di portare davanti a Dio la loro angoscia e le loro suppliche, in unione con Gesù orante nel deserto. È lo stesso Spirito che spinge il Piccolo Fratello a scendere per mescolarsi alla folla degli uomini, a salire sulla montagna, solo, di fronte al Dio che salva.
I soggiorni di Gesù nel deserto si inseriscono pienamente nella sua missione di Salvatore. Con l'adorazione del Padre, vi è la preghiera pura del Redentore, in tutta l'estensione della sua missione e della sua responsabilità della salvezza di tutti gli uomini. Le tentazioni che subisce da parte di Satana ne sono una prova, così come certe notti di preghiera: quella che precedette la scelta degli apostoli e quella nel giardino del Getsemani. È uno stato estremo di preghiera. Certi apostoli e certi santi, scelti da Dio per una grande opera di evangelizzazione, conobbero stati analoghi di preghiera: san Paolo nel deserto di Arabia, san Francesco di Assisi in molti dei suoi eremitaggi e, soprattutto, a La Verna.
Fatte le debite proporzioni, è proprio nello stesso senso della preghiera spoglia e solitaria di colui che, per vocazione, si è impegnato nel mistero della redenzione degli uomini, che si inserisce la chiamata di un Piccolo Fratello alla preghiera solitaria nel deserto. Si tratta perciò di un vero compimento della sua vocazione apostolica che suppone la morte a se stessi e una grande disponibilità interiore alla carità di Gesù, cosicché tutta la vita sia come dominata dalla preoccupazione della salvezza di tutti gli uomini. Noi avremmo sempre bisogno di rinnovare la nostra fedeltà alla grazia della vocazione, e per questo andremo nel deserto. Inoltre, in alcuni momenti, sentiremo, come frutto di una fedeltà generosa alla grazia della vocazione, il bisogno di una preghiera pura di intercessione, come Gesù nella sua vita pubblica, sia che provi l'angoscia della salvezza di coloro ai quali è mandato, sia che abbia coscienza che anche l'azione evangelica è quasi impotente dinanzi alla vastità del male e che solo la preghiera pura può sradicare. «Questa specie di demoni -lo spirito impuro - può essere cacciata soltanto con la preghiera» (Me. 9,29). Quest'ultima forma di preghiera si innesta e conduce alla passione di Gesù. Molti santi sono passati di qui, e questo è nella linea della vocazione redentrice delle fraternità.

CONCLUSIONE

La vita contemplativa, di clausura o no, non è altro che una anticipazione di quello che dovrà essere un giorno lo stato di vita di ogni creatura umana: è la sua ultima e autentica giustificazione. Senza questo, essa non ha alcun senso. Noi anticipiamo, quaggiù, quello che dovrà essere il destino di ogni uomo salvato e glorificato dal Cristo.

Sappiamo benissimo che alcune delle giustificazioni umane, che troppo spesso si invocano, non rendono veramente conto della legittimità del voto di castità: unica valida è quella dell'anticipazione.È nel disegno di Dio che lo stato di castità sia un giorno quello di ogni uomo. Per lo stesso motivo, nessuna ragione è più giustificativa di una vita consacrata - in quello che essa ha di più essenziale, il guardare e contemplare con amore il Cristo, nostro Dio e salvatore - che il fatto di essere semplicemente un'anticipazione della visione beatifica. Malgrado la nostra debolezza e la maniera miserabile con cui noi portiamo una tale vocazione, il nostro stato di vita resta l'affermazione di una vocazione soprannaturale dell'umanità.

Il mondo ha bisogno di vedere queste realtà, non solamente affermate da una predicazione, ma realmente anticipate, sotto i suoi occhi, in alcune vite umane.