MARIA
Donna dei nostri giorni
SAN PAOLO
Maria, donna obbediente
Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché?
Per spiegarvelo devo ricorrere all' etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica.
Obbedire deriva dal latino ob-audire, Che significa: ascoltare stando di fronte.
Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch' io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari.
Chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell' offerta.
Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo.
C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell' obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione.
In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora.
Teresa, per esempio, che è costretta a dire sì a tutte le voglie del marito e non può uscire mai di casa perché lui è geloso, e la sera, quando torna ubriaco e i figli piangono, lei si prende un sacco di botte senza reagire, è una donna repressa, non è una donna obbediente. Il Signore un giorno certamente la compenserà, ma non per la sua virtù, bensì per i patimenti sofferti.
L'obbedienza, insomma, non è inghiottire un sopruso, ma è fare un' esperienza di libertà.
Non è silenzio rassegnato di fronte alle vessazioni, ma è accoglimento gaudio so di un piano superiore. Non è il gesto dimissionario di chi rimane solo coi suoi rimpianti, ma una risposta d'amore che richiede per altro, in chi fa la domanda, signorilità più che signoria.
Chi obbedisce non smette di volere, ma si identifica a tal punto con la persona a cui vuoI bene che fa combaciare, con la sua, la propria volontà.
Ecco l'analisi logica e grammaticale dell' obbedienza di Maria.
Questa splendida creatura non si è lasciata espropriare della sua libertà neppure dal creatore. Ma dicendo" sì", si è abbandonata a lui liberamente ed è entrata nell' orbita della
storia della salvezza con tale coscienza responsabile, che l'angelo Gabriele ha fatto ritorno in cielo recando al Signore un annuncio non meno gioioso di quello che aveva portato sulla terra nel viaggio di andata.
Forse non sarebbe sbagliato intitolare il primo capitolo di Luca come l'annuncio dell'angelo a Jahvé, più che l'annuncio dell' angelo a Maria.
Santa Maria, donna obbediente, tu che hai avuto la grazia di «camminare al cospetto di Dio», fa' che anche noi, come te, possiamo essere capaci di «cercare il suo volto».
Aiutaci a capire che solo nella sua volontà possiamo trovare la pace. E anche quando egli ci provoca a saltare nel buio per poterlo raggiungere, liberaci dalle vertigini del
vuoto e donaci la certezza che chi obbedisce al Signore non si schianta al suolo, come in un pericoloso spettacolo senza rete, ma cade sempre nelle sue braccia.
Santa Maria, donna obbediente, tu sai bene che il volto di Dio, finché cammineremo quaggiù, possiamo solo trovarlo nelle numerose mediazioni dei volti umani, e che le sue parole ci giungono solo nei riverberi poveri dei nostri vocabolari terreni. Donaci, perciò, gli occhi della fede perché la nostra obbedienza si storicizzi nel quotidiano, dialogando con gli interlocutori effimeri che egli ha scelto come segno della tua sempiterna volontà.
Ma preservaci anche dagli appagamenti facili e dalle acquiescenze comode sui gradini intermedi che ci impediscono di risalire fino a te. Non è raro, infatti, che gli istinti idolatrici, non ancora spenti nel nostro cuore, ci facciano scambiare per obbedienza evangelica ciò che è solo cortigianeria, e per raffinata virtù ciò che è solo squallido tornaconto.
Santa Maria, donna obbediente, tu che per salvare la vita di tuo figlio hai eluso gli ordini dei tiranni e, fuggendo in Egitto, sei divenuta per noi l'icona della resistenza passiva e della disobbedienza civile, donaci la fierezza dell' obiezione, ogni volta che la coscienza ci suggerisce che «si deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».
E perché in questo discernimento difficile non ci manchi la tua ispirazione, permettici che, almeno allora, possiamo invocarti così: «Santa Maria, donna disobbediente, prega per noi».
Maria, donna di servizio
Può sembrare irriverente. E qualcuno avvertirà perfino odore di sacrilegio. Non saprei bene se per l'impressione di vedere un appellativo così povero attribuito alla Regina degli Angeli e dei Santi, o per la scarsa considerazione verso la categoria di coloro che si guadagnano il pane faticando in casa d'altri.
A dire il vero, anche il costume moderno ha ravvisato qualcosa di avvilente nel linguaggio antico: sicché, invece che parlare di serva o persona di servizio, il vocabolario, passando attraverso la trafila lessicale di domestica o cameriera, si trastulla con termini più alla moda, e parla di lavorante alla pari o, addirittura, di colf, che poi non è altro che una sigla furbesca ricavata dalle iniziali di collaboratrice familiare.
Eppure, quell'appellativo, Maria se 1'è scelto da sola.
Per ben due volte, infatti, nel Vangelo di Luca, lei si autodefinisce serva. La prima volta, quando, rispondendo all' angelo, gli offre il suo biglietto di visita: «Eccomi, sono la serva del Signore». La seconda, quando nel Magnificat afferma che Dio «ha guardato l'umiltà della sua serva».
Donna di servizio, dunque.
A pieno titolo.
Un titolo che lei si porta incorporato per diritto di nascita, e al quale sembra gelosamente tenerci come a un antico blasone nobiliare. Era o non era, se non proprio discendente come Giuseppe, almeno coinvolta con la «casa di Davide suo servo»? Un titolo che, per una specie di simmetria speculare, le fa riconoscere a colpo sicuro una pari qualifica professionale nel vecchio Simeone, e la induce a consegnare il bambino Gesù nelle braccia di quel «servo», che ora può, finalmente, andarsene in pace.
Un titolo che, durante il banchetto di Cana, visto che tra colleghi ci si intende meglio, l'autorizza a rivolgersi «ai servi» con quelle parole che, essendo rimaste un' esigente consegna anche per noi, sembrano un invito ad andarci a iscrivere tutti allo stesso sindacato: «Fate quello che vi dirà».
Un titolo, insomma, che legittimerebbe la richiesta delle competenti organizzazioni per avere la Vergine Santa come protettrice di coloro che, pur con diversità di prestazioni, dalla governante alla baby-sitter, dalla nurse alla fantesca, con livrea o senza livrea, esprimono dei servizi alle dipendenze di una famiglia.
Eppure, quell' appellativo, così autoreferenziato, non trova posto nelle litanie lauretane! Forse perché, anche nella Chiesa, nonostante il gran parlare che se ne fa, l'idea del servizio evoca spettri di soggezione, allude a declassamenti di dignità, e sottintende cali di rango, che sembrano incompatibili col prestigio della Madre di Dio. La qual cosa fa sospettare che perfino la diaconia della Vergine sia rimasta un concetto ornamentale che intride i nostri sospiri, e non un principio operativo che innerva la nostra esistenza.
Santa Maria, serva del Signore, che ti sei consegnata anima e corpo a lui, e hai fatto l'ingresso nel suo casato come collaboratrice familiare della sua opera di salvezza, donna veramente alla pari, che la grazia ha introdotto nell'intimità trinitaria e ha reso scrigno delle confidenze divine, domestica del Regno, che hai interpretato il servizio non come riduzione di libertà, ma come appartenenza irreversibile alla stirpe di Dio, noi ti chiediamo di ammetterci alla scuola di quel diaconato permanente di cui ci sei stata impareggiabile maestra.
Al contrario di te, facciamo fatica a metterci alle dipendenze di Dio, e stentiamo a capire che solo la resa incondizionata alla sua sovranità ci può fornire l'alfabeto primordiale per la lettura di ogni altro umano servizio. L'affido nelle mani del Signore ci sembra un gioco d'azzardo. La sottomissione a lui, invece che collocarla in un quadro di alleanza bilaterale, la sentiamo come una variabile della schiavitù. Siamo gelosi, insomma, della nostra autonomia. E l'affermazione solenne che servire Dio significa regnare non ci persuade più di tanto.
Santa Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e custodirla, l'hai accolta incarnata nel Cristo, aiutaci a mettere Gesù al centro della nostra vita. Fa' che ne sperimentiamo le suggestioni segrete. Dacci una mano perché sappiamo essergli fedeli fino in fondo. Donaci la beatitudine di quei servi che egli, tornando nel cuore della notte, troverà ancora svegli, e che, dopo essersi cinte le vesti, lui stesso farà mettere a tavola e passerà a servire.
Fa' che il Vangelo diventi la norma ispiratrice di ogni nostra scelta quotidiana. Preservaci dalla tentazione di praticare sconti sulle sue esigenti richieste. Rendici capaci di obbedienze gaudiose. E metti, finalmente, le ali ai nostri piedi perché alla Parola possiamo rendere il servizio missionario dell' annuncio, fino agli estremi confini della terra. Santa Maria, serva del mondo, che, subito dopo esserti dichiarata ancella di Dio, sei corsa a farti ancella di Elisabetta, conferisci ai nostri passi la fretta premurosa con cui tu raggiungesti la città di Giuda, simbolo di quel mondo di fronte al quale la Chiesa è chiamata a cingersi il grembiule. Restituisci cadenze di gratuità al nostro servizio così spesso contaminato dalle scorie dell'asservimento. E fa' che le ombre del potere non si allunghino mai sui nostri offertori.
Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo. Rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde il Re. Apri il nostro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci occhi gonfi di tenerezza e di speranza.
Gli occhi che avesti tu, quel giorno. A Cana di Galilea.
Maria, donna vera
Vi confesso che rimango sconcertato anch' io.
Quando penso alla Madonna (questo sogno incredibile sognato dal Signore), e poi vedo alla televisione le lacrime delle madri palestinesi, o scorgo sulle riviste missionarie i volti denutriti delle donne dell' Amazzonia, o apprendo da certi impietosi reportages le condizioni subumane delle ragazze del Bangladesh, io mi chiedo se abbia qualcosa da spartire con queste infelici creature la storia di Maria.
E quando sulla pubblica strada incrocio "una di quelle", che la miseria, più che lo smarrimento, ha spinto a vendersi per sopravvivere, mi domando se Maria tirerebbe diritto anche lei, come faccio io nella mia intemerata prudenza. Mi risulta, comunque, molto difficile immaginare quali parole, fermandosi, uscirebbero dalla sua bocca.
Così pure ogni volta che ascolto la pena di tante donne violentate dai loro uomini, tenute sotto sequestro dai loro padri, o confiscate nei diritti più elementari dalle prevaricazioni del maschio, faccio una gran fatica a supporre quale rapporto ci possa essere tra Maria e queste creature, la cui mansuetudine sembra spesso dolcezza ma è rassegnazione, si esprime come condiscendenza ma è avvilimento, mostra i lampi del sorriso ma nasconde la malinconia delle lacrime.
Anche, però, quando penso a certe donne apparentemente emancipate, mi ritorna con insistenza il problema del loro confronto con Maria.
Chi sa che la soubrette del varietà di provincia o la soprano della Scala di Milano non invochino il suo nome prima di esibirsi sul palcoscenico? O la fotomodella del rotocalco per adulti e la campionessa di pattini a rotelle non ne avvertano il fascino sovrumano? O che la violinista della filarmonica di Filadelfia e l'entraineuse di un locale notturno d'alta classe non ne percepiscano la dimensione spirituale? Che cosa pensano di lei le hostess dei boeing intercontinentali, o le componenti del corpo di ballo del Bolscioi? A parte la catenina d'argento con la medaglietta di lei appesa al collo, quali reazioni suscita il nome di Maria nelle atlete della Nazionale di pallacanestro in giro per il mondo, o nelle presentatrici della televisione, o nelle eleganti protagoniste dei salotti letterari?
Maria, insomma, è buona solo come punto di riferimento per le monache di clausura e per le ragazze tutte casa e chiesa, o è l'aspirazione struggente di ogni donna che voglia vivere in pienezza la sua femminilità?
Le donne della terra la guardano con tenerezza perché nella sua vita terrena ha riassunto i misteri dolorosi di tutte le loro soggezioni? O perché è il simbolo eloquente di chi sperimenta i misteri gaudiosi dell' esodo dai "laghi amari" dell'antica condizione servile? O perché è l'immagine che sintetizza i misteri gloriosi della definitiva liberazione della donna da tutte le schiavitù che, nel corso della storia, ne hanno sfigurato la dignità?
Sono domande, forse un po' dissennate, alle quali non so dare una risposta, ma per le quali so fare una preghiera.
Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile umiliato in terra d'Egitto, sottomesso alle sevizie dei faraoni di ogni tempo, condannato al ruolo di abbrustolirsi la faccia dinanzi alle pentole di cipolle, e a cuocere i mattoni per la città dei prepotenti, noi ti imploriamo per tutte le donne della terra.
Da quando sul Calvario ti trafissero l'anima, non c'è pianto di madre che ti sia estraneo, non c'è solitudine di vedova che tu non abbia sperimentato, non c'è avvilimento di donna di cui non senta l'umiliazione.
Se i soldati spogliarono Gesù delle sue vesti, il dolore spogliò te dei tuoi prestigiosi aggettivi. E apparisti semplicemente donna, al punto che il tuo unigenito morente non seppe chiamarti con altro nome: «Donna, ecco tuo figlio».
Tu che rimanesti in piedi sotto la croce, statua vivente della libertà, fa' che tutte le donne, ispirandosi alla tua fierezza femminile, sotto il diluvio delle sofferenze di ogni specie, al massimo pieghino il capo ma non curvino mai la schiena.
Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile che ha intrapreso finalmente le strade dell' esodo, fa' che le donne, in questa faticosa transumanza quasi da un' èra antropologica all' altra, non si disperdano come gli Ebrei «nel mare dei giunchi». Ma sappiano individuare i sentieri giusti che le portino lontano dalle egemonie dei nuovi filistei. E perché la tua immagine di donna veramente riuscita possa risplendere per tutte, come la nube luminosa nel deserto, aiuta anche la tua Chiesa a liberarti da quelle caparbie desinenze al maschile con cui ha declinato, talvolta, perfino la tua figura.
Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile approdato finalmente nella Terra Promessa, aiutaci a leggere la storia e a interpretare la vita, dopo tanto maschilismo imperante, con le categorie tenere e forti della femminilità.
In questo mondo così piatto, contrassegnato dall'intemperanza del raziocinio sulla intuizione, del calcolo sulla creatività, del potere sulla tenerezza, del vigore dei muscoli sulla morbida persuasione dello sguardo, tu sei l'immagine non solo della donna nuova, ma della nuova umanità preservata dai miraggi delle false liberazioni.
Aiutaci, almeno, a ringraziare Dio che, se per umanizzare la terra si serve dell'uomo senza molto riuscirei, per umanizzare l'uomo vuol servirsi della donna: nella certezza che stavolta non fallirà.
Maria, donna del popolo
Sì, il Signore se l'è scelta proprio di là.
Oggi diremmo: dai rioni popolari, grevi di sudori e impregnati di stabbio. Dai quartieri bassi, dove i tuguri dei poveri, se rimangono ancora in piedi, è perché si appoggiano a vicenda.
Penso a certe periferie, dove le zanzare brulicano sulle pozzanghere della strada, e le mosche volteggiano sugli escrementi. O a certe zone del centro storico, imbandierate con i panni del bucato, dove vige il condominio degli stessi rumori e degli stessi silenzi.
Il Signore, Maria, l'ha scoperta lì. Nell'intreccio dei vicoli, profumati di minestre meridiane e allietati dal grido dei fruttivendoli. Tra le fanciulle che, dai pianerottoli colmi di gerani, parlavano d'amore. Nel cortile dove i vicini prolungavano nell'ultimo sbadiglio i racconti della sera, prima che si consumasse l'olio della lampada e risonasse il tintinnare dei chiavistelli e si sprangassero gli usci.
L'ha scoperta lì. Non lungo i corsi della capitale, ma in un villaggio di pecorai, sconosciuto nell' Antico Testamento, anzi, additato al pubblico sarcasmo dagli abitanti delle borgate vicine: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?».
L'ha scoperta lì, in mezzo alla gente comune, e se l'è fatta sua.
Maria non aveva particolari ascendenze dinastiche. L'araldica della sua famiglia non vantava stemmi nobiliari come Giuseppe. Lui, sì: benché si fosse ridotto a fare il carpentiere, era del casato illustre di Davide. Lei, invece, era una donna del popolo. Ne aveva assorbito la cultura e il linguaggio, i ritornelli delle canzoni e la segretezza del pianto, il costume del silenzio e le stigmate della povertà. Prima di diventare madre, Maria era, dunque, figlia del popolo. Apparteneva, anzi, all' anima più intima del popolo: agli anawim, alla schiera dei poveri. Al resto d'Israele, sopravvissuto allo sgretolamento delle tragedie nazionali. A quel nucleo residuale, cioè, che teneva vive le speranze dei profeti, nel quale si concentravano le promesse dei patriarchi, e da cui passava il filo rosso della fedeltà: «Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d'Israele». Così aveva profetato Sofonia.
Donna del popolo, Maria si mescola con i pellegrini che salgono al tempio e si accompagna alle loro salmodie. E se in uno di questi viaggi perde Gesù dodicenne, è perché, «credendolo nella carovana», non sa immaginarsi suo figlio estraneo all' ansimare della gente comune.
C'è nel Vangelo di Marco una icona di incomparabile bellezza che delinea la natura, la vocazione e il destino popolare di Maria. Un giorno, mentre Gesù sta parlando alla folla che lo ascolta seduta in cerchio, arriva lei con alcuni parenti. A chi lo avverte della sua presenza, Gesù, girando tutto intorno lo sguardo e additando la folla, esclama: «Ecco mia madre... ».
A prima vista, potrebbe sembrare una scortesia. Invece, la risposta di Gesù, che identifica sua madre con la folla, è il monumento più splendido eretto a Maria, donna fatta popolo.
Santa Maria, donna del popolo, grazie, perché hai convissuto con la gente, prima e dopo l'annuncio dell' angelo, e non hai preteso da Gabriele una scorta permanente di cherubini, che facesse la guardia d'onore sull'uscio di casa tua. Grazie, perché, pur consapevole di essere la madre di Dio, non ti sei ritirata negli appartamenti della tua aristocrazia spirituale, ma hai voluto assaporare fino in fondo le esperienze, povere e struggenti, di tutte le donne di Nazaret.
Grazie, perché d'estate ti univi al coro delle spigolatrici, nelle campagne bruciate dal sole. E nei meriggi d'inverno, quando il tuono brontolava sui monti di Galilea e tu avevi paura, ti rifugiavi nella casa delle vicine. E il sabato, per lodare Jahvé, partecipavi con le tue amiche alle funzioni comunitarie della sinagoga. E quando la morte visitava il villaggio, accompagnandoti ai parenti, intridevi tossendo il fazzoletto di lacrime. E nei giorni di festa, quando passava il corteo nuziale, attendevi anche tu sulla strada, e ti sollevavi sulla punta dei piedi per veder meglio la sposa.
Santa Maria, donna del popolo, oggi più che mai abbiamo bisogno di te. Viviamo tempi difficili, in cui allo spirito comunitario si sovrappone la sindrome della setta. Agli ideali di più vaste solidarietà si sostituisce l'istinto della fazione. Alle spinte universalizzanti della storia fanno malinconico riscontro i sottomultipli del ghetto e della razza. Il partito prevarica sul bene pubblico; la lega sulla nazione; la chiesuola sulla chiesa.
Dacci, ti preghiamo, una mano d'aiuto perché possiamo rafforzare la nostra declinante coscienza di popolo. Noi credenti, che per definizione ci chiamiamo popolo di Dio, sentiamo di dover offrire una forte testimonianza di comunione, sulla quale il mondo possa cadenzare i suoi passi. Tu, «honorificentia populi nostri», rimanici accanto in questa difficile impresa. Non per nulla ti ripetiamo nel canto: «Mira il tuo popolo, o bella Signora».
Santa Maria, donna del popolo, insegnaci a condividere con la gente le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce che contrassegnano il cammino della nostra civiltà. Donaci il gusto di stare in mezzo, come te nel cenacolo. Liberaci dall'autosufficienza. E snidaci dalle tane dell'isolamento.
Tu che sei invocata nelle favelas dell' America latina e tra i grattacieli di New York, rendi giustizia ai popoli distrutti dalla miseria, e dona la pace interiore ai popoli annoiati dall'opulenza. Ispira fierezza nei primi e tenerezza nei secondi. Restituiscili alla gioia di vivere. E intoneranno gli uni e gli altri, finalmente insieme, salmi di libertà.
Maria, donna che conosce la danza
Ho cambiato il titolo all'ultimo momento. Ma vi parlerò lo stesso di quel che avevo progettato: del rapporto, cioè, di Maria con la morte.
Che cosa c'entri la morte con la danza, ve lo voglio spiegare subito.
Mi sono messo a leggere in questi giorni un libro sulla Madonna, scritto da una nota docente di antropologia, e sono riuscito ad andare avanti, quasi fino al termine, senza turbarmi granché, quando, proprio nelle ultimissime pagine, ho colto una frase che mi è sembrata pesante come un'ingiuria: «Maria non potrà mai danzare».
O Dio: nel libro c'è di peggio, perché vengono scardinate le verità più salde che i credenti hanno sempre professato sul conto della Madonna.
Però, mentre non mi ha scandalizzato più che tanto il sorriso di sufficienza sul suo immacolato concepimento o sulla sua verginale maternità, mi ha dato invece un fastidio incredibile l'insinuazione che lei non sapesse danzare.
Mi è parso, insomma, un enorme sacrilegio. Un oltraggio alla sua umanità. Un delitto contro ciò che ce la rende più cara: l'irresistibile dolcezza comune alle figlie di Eva.
Che cosa si nasconde, infatti, sotto questa frase, se non l'affermazione che Maria non ha avuto un corpo come le altre donne, e che la sua era una femminilità per modo di dire, o, comunque, così disincarnata ed evanescente, da renderle impossibile il prolungarsi gestuale nel vortice della danza? E non vi sembra una bestemmia il solo sospetto che Maria fosse una creatura svigorita di passioni, povera di slanci, priva di calore umano, macerata solo da digiuni e astinenze, genuflessa sugli specchi frigidi delle contemplazioni, incapace di quegli struggimenti interiori che esplodono appunto nella grazia del canto e nella dilatazione corporea del ritmo?
Che Maria fosse esperta di danza sta a dircelo una parola-spia, presente nel suo vocabolario: "esultare". Viene dal latino ex-saltare, che significa appunto: saltellare qua e là. Sicché, quando lei esclama: «il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore», non solo tradisce la sua straordinaria competenza musicale, ma ci fa sospettare che il Magnificat deve averlo cantato danzando.
Qualcuno forse si chiederà perché mai mi sia tanto ostinato a sottolineare questa particolare attitudine "artistica" di Maria. La risposta è semplice: non può sostenere la morte chi non sa sostenere la danza!
Dire, perciò, che Maria non potrà mai danzare, significa ritenerla estranea a ciò che morte e danza hanno in comune: l'affanno del respiro, lo spasimo dell' agonia, la contrazione dolorosa del corpo.
Significa svuotare di valore salvifico la sofferenza della Madonna, e ridurre il mistero dell' Addolorata, nonostante le sette spade confitte nel cuore, a uno spettacolo appariscente, allestito da Dio per funzionali ragioni scenografiche.
Significa considerarla partner impassibile di un Altro, esperto pure lui di danza, che però Isaia chiama «Uomo dei dolori che ben conosce il patire».
Significa, insomma, radiare Maria dallo scenario del Venerdì santo, sul quale recita da protagonista, accanto a Gesù, il dramma dell'umana redenzione giunto ormai alle ultime battute.
Santa Maria, donna che ben conosci la danza, ma anche donna che ben conosci il patire, intenta, già sotto la croce, a come trasporre nei ritmi della festa i rantoli di tuo figlio, aiutaci a comprendere che il dolore non è l'ultima spiaggia dell'uomo. È solo il vestibolo obbligato da cui si passa per deporre i bagagli: non si danza col guardaroba in mano!
Noi non osiamo chiederti né il dono dell'anestesia, né l'esenzione dalle tasse dell' amarezza. Ti preghiamo solo che, nel momento della prova, ci preservi dal pianto dei disperati.
Santa Maria, donna che ben conosci la danza, se ti imploriamo di starci vicino «nell'ora della nostra morte corporale» è perché sappiamo che tu, la morte, l'hai sperimentata davvero.
Non tanto quella tua: quella l'hai "vissuta" per poco, poiché essa ha fermato le tue membra per pochi attimi appena, prima dell'ultimo leggerissimo slancio verso il Cielo. Ma la morte assurda, violenta, di tuo figlio.
Ti supplichiamo: rinnova per noi, nell'attimo supremo, la tenerezza che usasti per Gesù, quando «da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece gran buio su tutta la terra». In quelle ore tenebrose, disturbate solo dai rantoli del condannato, forse danzasti attorno alla croce i tuoi lamenti di madre, implorando il ritorno del sole.
Ebbene, donna dell' eclisse totale, ripeti la danza attorno alle croci dei tuoi figli. Se ci sei tu, la luce non tarderà a spuntare. E anche il patibolo più tragico fiorirà come un albero in primavera. Santa Maria, donna che ben conosci la danza, facci capire che la festa è l'ultima vocazione dell'uomo.
Accresci, pertanto, le nostre riserve di coraggio.
Raddoppia le nostre provviste di amore.
Alimentaci le lampade della speranza.
E fa' che, nelle frequenti carestie di felicità che contrassegnano i nostri giorni, non smettiamo di attendere con fede colui che verrà finalmente a «mutare il lamento in danza e la
veste di sacco in abito di gioia».
Maria, donna del Sabato santo
Nelle feste c'è Lui.
Nelle vigilie, al centro, c'è Lei.
Discreta come brezza d'aprile che ti porta sul limitare di casa profumi di verbene, fiorite al di là della siepe.
Ci sono, a volte, degli attimi così densi di mistero, che si ha 1'impressione di averli già sperimentati in altre stagioni della vita. E ci sono degli attimi così gonfi di presentimenti, che vengono vissuti come anticipazioni di beatitudini future.
Nel giorno del Sabato santo, di questi attimi, ce n'è più di qualcuno. E come se cadessero all'improvviso gli argini che comprimono il presente. L'anima, allora, si dilata negli spazi retro stanti delle memorie. Oppure, allungandosi in avanti, giunge a lambire le sponde dell' eterno rubandone i segreti, in rapidi acconti di felicità.
Come si spiega, infatti, se non con questo rimpatrio nel passato, il groppo di allusioni che, superata appena la "parasceve", si dipana al primo augurio di buona Pasqua, e si stempera in mille rigagnoli di ricordi, fluenti tra anse di gesti rituali?
La casa, vergine di lavacri, che profuma d'altri tempi. L'amico giunto dopo tanti anni, nei cui capelli già grigi ti attardi a scorgere reliquie d'infanzie comuni. Il dono opulento, là in cucina, tra le cui carte stagnole cerchi invano sapori di antiche sobrietà... quando era viva lei, e la madia nascondeva solo stupori di uova colorate. Il grembo vuoto della chiesa, il cui silenzio trabocca di richiami, e dove nel vespro ti decidi finalmente a entrare, come una volta, per riconciliarti con Dio e sentirti restituire a innocenze perdute.
E come si spiega se non col crollo delle dighe erette dai calendari terreni, quel sentimento pervasivo di pace che, nel Sabato santo, almeno di sfuggita, irrompe dal futuro e ti interpella con strani interrogativi a cui sentì già di poter dare risposte di gioia?
C'è un tempo in cui la gente starà sempre a scambiarsi strette di mano e sorrisi, così come fa oggi? Verranno giorni sottratti all'usura delle lacrime? Esistono spazi di gratuità, dove non smetteremo più gli abiti di festa? Ci sono davvero delle stagioni in cui la vita sarà sempre così?
Fascino struggente del Sabato santo, che ti mette nell' anima brividi di solidarietà perfino con le cose e ti fa chiedere se non abbiano anch' esse un futuro di speranza!
Che cosa faranno gli alberi stanotte, quando suoneranno a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme, come turiboli d'argento, la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in chiesa si canta l'Exultet? Come reagirà il mare, che brontola sotto la scogliera, all'annuncio della Risurrezione? L'angelo in bianche vesti farà fremere le porte anche dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero, sussulteranno sotto il plenilunio le tombe dei miei morti? E le montagne, non viste da nessuno, danzeranno di gioia attorno alle convalli?
Una risposta capace di spiegare il tumulto di queste domande io ce l'avrei. Se nel Sabato santo il presente sembra oscillare su passato e futuro, è perché protagonista assoluta, sia pur silenziosa, di questa giornata è Maria.
Dopo la sepoltura di Gesù, a custodire la fede sulla terra non è rimasta che lei. Il vento del Golgota ha spento tutte le lampade, ma ha lasciato accesa la sua lucerna. Solo la sua. Per tutta la durata del sabato, quindi, Maria resta l'unico punto di luce in cui si concentrano gli incendi del passato e i roghi del futuro. Quel giorno essa va errando per le strade della terra, con la lucerna tra le mani. Quando la solleva su un versante, fa emergere dalla notte dei tempi memorie di santità; quando la solleva sull'altro, anticipa dai domicili dell' eterno riverberi di imminenti trasfigurazioni.
Santa Maria, donna del Sabato santo, estuario dolcissimo nel quale almeno per un giorno si è raccolta la fede di tutta la Chiesa, tu sei l'ultimo punto di contatto col cielo che ha preservato la terra dal tragico blackout della grazia. Guidaci per mano alle soglie della luce, di cui la Pasqua è la sorgente suprema.
Stabilizza nel nostro spirito la dolcezza fugace delle memorie, perché nei frammenti del passato possiamo ritrovare la parte migliore di noi stessi. E ridestaci nel cuore, attraverso i segnali del futuro, una intensa nostalgia di rinnovamento, che si traduca in fiducioso impegno a camminare nella storia.
Santa Maria, donna del Sabato santo, aiutaci a capire che, in fondo, tutta la vita, sospesa com' è tra le brume del venerdì e le attese della domenica di Risurrezione, si rassomiglia tanto a quel giorno. È il giorno della speranza, in cui si fa il bucato dei lini intrisi di lacrime e di sangue, e li si asciuga al sole di primavera perché diventino tovaglie di altare.
Ripetici, insomma, che non c'è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c'è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c'è peccato che non trovi redenzione. Non c'è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell'alleluia pasquale.
Santa Maria, donna del Sabato santo, raccontaci come, sul crepuscolo di quel giorno, ti sei preparata all' incontro col tuo figlio Risorto. Quale tunica hai indossato sulle spalle? Quali sandali hai messo ai piedi per correre più veloce sull'erba? Come ti sei annodata sul capo i lunghi capelli di nazarena? Quali parole d'amore ti andavi ripassando segretamente, per dirgliele tutto d'un fiato non appena ti fosse apparso dinanzi?
Madre dolcissima, prepara anche noi all' appuntamento con Lui. Destaci l'impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti.
Perché qui le ore non passano mai.
Maria, donna del terzo giorno
Vorrei che fosse Maria in persona a entrare in casa vostra, a spalancarvi la finestra, e a darvi l'augurio di buona Pasqua.
Un augurio immenso quanto le braccia del condannato, stese sulla croce o librate verso i cieli della libertà.
Molti si chiedono sorpresi perché mai il Vangelo, mentre ci parla di Gesù apparso nel giorno di Pasqua a tantissime persone, come la Maddalena, le pie donne e i discepoli, non ci riporti, invece, alcuna apparizione alla Madre da parte del Figlio risorto.
lo una risposta ce l'avrei: perché non c'era bisogno! Non c'era bisogno, cioè, che Gesù apparisse a Maria, perché lei, l'unica, fu presente alla Risurrezione.
I teologi, per la verità, ci dicono che questo evento fu sottratto agli occhi di tutti, si svolse nelle insondabili profondità del mistero, e, nel suo attuarsi storico, non ebbe alcun testimone. lo penso, però, che un' eccezione ci fu: Maria, l'unica, dovette essere presente a questa peripezia suprema della storia.
Come fu presente, l'unica, al momento dell'incarnazione del Verbo.
Come fu presente, l'unica, all'uscita di lui dal suo grembo verginale di carne. E divenne la donna del primo sguardo su Dio fatto uomo.
Così dovette essere presente, l'unica, all'uscita di lui dal grembo verginale di pietra: il sepolcro «nel quale nessuno era stato ancora deposto». E divenne la donna del primo sguardo dell'uomo fatto Dio.
Gli altri furono testimoni del Risorto. Lei, della Risurrezione.
Del resto, se il legame di Maria con Gesù fu così stretto che ne ha condiviso tutta l'esperienza redentrice, è impensabile che la Risurrezione, momento vertice della salvezza, l'abbia vista dissociata dal Figlio.
Sarebbe l'unica assenza: e resterebbe, per di più, un'assenza stranamente ingiustificata.
A darci conferma, comunque, di quanto la vicenda della Madre sia incastrata con la Pasqua del Figlio ci sono nel Vangelo almeno due pagine, in cui la frase «terzo giorno», sigla cronologica che designa la Risurrezione, è riferita alla presenza, se non proprio al protagonismo, di Maria.
La prima pagina è di san Luca. Racconta la scomparsa di Gesù dodicenne nel tempio e il suo ritrovamento al «terzo giorno». Gli studiosi sono ormai concordi nell'interpretare quest'episodio come una profezia velata di quanto sarebbe accaduto in seguito ai discepoli, nel tempo in cui Gesù compì il suo passaggio da questo mondo al Padre, sempre a Gerusalemme, in una Pasqua di tanti anni dopo. Si tratterebbe, cioè, di una parabola allusiva alla scomparsa di Gesù dietro la pietra del sepolcro, e al suo glorioso riapparire dopo tre giorni.
La seconda pagina è di san Giovanni. Riguarda le nozze di Cana, durante le quali l'intervento di Maria, anticipando l'ora di Gesù, introduce sul banchetto degli uomini il vino della nuova alleanza pasquale, e fa esplodere anzitempo la "gloria" della Risurrezione. Ebbene, anche questo episodio è introdotto da un marchio di origine controllata: «il terzo giorno».
Maria, dunque, è colei che ha a che fare col «terzo giorno», a tal punto che non solo è la figlia primogenita della Pasqua, ma in un certo senso ne è anche la madre.
Santa Maria, donna del terzo giorno, destaci dal sonno della roccia. E l'annuncio che è Pasqua pure per noi, vieni a portarcelo tu, nel cuore della notte.
Non aspettare i chiarori dell' alba. Non attendere che le donne vengano con gli unguenti. Vieni prima tu, coi riflessi del Risorto negli occhi e con i profumi della tua testimonianza diretta.
Quando le altre Marie arriveranno nel giardino, con i piedi umidi di rugiada, ci trovino già desti e sappiano di essere state precedute da te, l'unica spettatrice del duello tra la vita e la morte. La nostra non è mancanza di fiducia nelle loro parole. Ma ci sentiamo così addosso i tentacoli della morte, che la loro testimonianza non ci basta. Esse hanno visto, sì, il trionfo del vincitore. Ma non hanno sperimentato la sconfitta dell' avversario. Solo tu ci puoi assicurare che la morte è stata uccisa davvero, perché l'hai vista esanime a terra.
Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che, nonostante tutto, la morte non avrà più presa su di noi. Che le ingiustizie dei popoli hanno i giorni contati. Che i bagliori delle guerre si stanno riducendo a luci crepuscolari. Che le sofferenze dei poveri sono giunte agli ultimi rantoli. Che la fame, il razzismo, la droga sono il riporto di vecchie contabilità fallimentari. Che la noia, la solitudine, la malattia sono gli arretrati dovuti ad antiche gestioni. E che, finalmente, le lacrime di tutte le vittime delle violenze e del dolore saranno presto prosciugate come la brina dal sole della primavera.
Santa Maria, donna del terzo giorno, strappaci dal volto il sudario della disperazione e arrotola per sempre, in un angolo, le bende del nostro peccato.
A dispetto della mancanza di lavoro, di case, di pane, confortaci col vino nuovo della gioia e con gli azimi pasquali della solidarietà.
Donaci un po' di pace. Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare. Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall' egoismo.
E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva, anche per noi come per Gesù, tu possa essere l'arbitra che, il terzo giorno, omologherà finalmente la nostra vittoria.
Maria, donna conviviale
No. Non vi propongo un'ulteriore considerazione sul "segno" delle nozze di Cana e sulla presenza di Maria a quel convito di festa.
Desidero presentarvi, invece, la singolare definizione che uno scrittore medievale, Ildefonso di Toledo, ci dà della Vergine Santa: «Totius Trinitatis nobile triclinium», che vuol dire: «Nobile tavola da pranzo per tutte e tre le persone divine».
Mediante questa immagine splendida e ardita, la Madonna è messa in relazione con la Trinità e viene descritta come la tavola elegante attorno a cui il Padre, il Figlio e lo Spirito esprimono la loro convivialità.
Per associazione di immagini, la fantasia corre alla celebre icona di Rublév. Al centro della scena, una mensa, che raduna insieme le tre persone, in solidarietà di vita e in comunione di opere. Vien da pensare che Maria sia appunto quella nobile mensa.
Fermiamoci qui: non vorremmo perderci in un terreno che è già pieno di insidie dottrinali perfino per i teologi più scaltriti. Gi basta aver intuito che la Madonna, comunque, esercita un ruolo fondamentale all'interno del mistero trinitario.
Però, se è difficile speculare sul ruolo di Maria all'interno della comunità divina che vive nell'alto dei cieli, dovrebbe essere più agevole scorgere la funzione di lei all'interno di ogni comunità umana che vive nel basso della terra. Noi lo sappiamo: dalla famiglia alla parrocchia, dall' istituto religioso alla diocesi, dal gruppo impegnato al seminario... ogni comunità che vuol vivere sulla scorta del Vangelo, porta in sé qualcosa di sacramentale: è per sua natura, cioè, segno e strumento della comunione trinitaria. Deve riprodurne la logica, viverne la convivialità, esprimerne il mistero. Potremmo definire le comunità ecclesiali come dislocazioni terrene, agenzie periferiche, riduzione in scala di quella esperienza misteriosa che il Padre, il Figlio e lo Spirito fanno nel cielo.
Nel cielo più persone uguali e distinte vivono a tal punto la comunione da formare un solo Dio. Sulla terra, più persone uguali e distinte devono vivere la comunione, così da formare un solo uomo: l'uomo nuovo, Cristo Gesù.
Ogni aggregazione ecclesiale, quindi, ha il compito di presentarsi come icona della Trinità. Luogo di relazioni vere, cioè, in cui si riconoscano i volti delle persone, se ne promuova l'uguaglianza, e se ne impedisca l' omologazione nell'anonimato della massa.
Ora, se Maria è la nobile tavola attorno a cui siedono le tre persone divine, è proprio difficile intuire che ella gioca un ruolo di primo piano anche all'interno di quelle comunità terrene che abbiamo chiamato agenzie periferiche del mistero trinitario?
Ed è davvero spericolato pensare che senza questo "nobile triclinio" costituito dalla Vergine, attorno a cui siamo chiamati a sederci, ogni tentativo di comunione sarà destinato a naufragare?
Santa Maria, donna conviviale, tu ci richiami la struggente poesia dei banchetti di un tempo, quando, nei giorni di festa, a tavola c'era lei, l'altra madre, che ci covava con gli occhi a uno a uno, e, pur senza parole, ci supplicava con l'umido sguardo perché andassimo d'accordo tra fratelli e ci volessimo bene, trepida se mancava qualcuno, e finalmente felice solo quando rincasava l'ultimo dei figli... Forse solo in cielo scopriremo fino in fondo quanto tu sei importante per la crescita della nostra umana comunione.
Nella Chiesa, soprattutto. È vero: essa si costruisce attorno all'Eucaristia. Ma non è meno vero il fatto che sei tu la tavola attorno a cui la famiglia è convocata dalla Parola di Dio e sulla quale viene condiviso il Pane del cielo. Come nell'icona di Rublev, appunto. Facci sperimentare, pertanto, la forza aggregante della tua presenza di madre.
Santa Maria, donna conviviale, alimenta nelle nostre Chiese lo spasimo di comunione. Per questo Gesù le ha inventate: perché, come tante particole eucaristiche disseminate sulla terra, esse abbiano a introdurre nel mondo, quasi con una rete capillare di pubblicità, gli stimoli e la nostalgia della comunione trinitaria.
Aiutale a superare le divisioni interne. Intervieni quando nel loro grembo serpeggia il demone della discordia. Spegni i focolai delle fazioni. Ricomponi le reciproche contese. Stempera le loro rivalità. Fermale quando decidono di mettersi in proprio, trascurando la convergenza su progetti comuni. Convincile profondamente, insomma, che, essendo le comunità cristiane punti-vendita periferici di quei beni di comunione che maturano in pienezza solo nella Casa trinitaria, ogni volta che frantumano la solidarietà, vanno contro gli interessi della Ditta.
Santa Maria, donna conviviale, guarda alle nostre famiglie in difficoltà. Vittime degli uragani prodotti dai tempi moderni, tante hanno fatto naufragio. Molte, in crisi profonda di comunicazione, stanno andando alla deriva. Ebbene, se ti accorgi che la tua immagine pende su di un talamo nuziale che non dice più nulla, staccati da quella parete divenuta ormai fredda, e riconvoca alla tua tavola lui e lei. E una volta che Angelo ed Enza si saranno poggiati sulle tue spalle, ricomponi gli antichi amori, ridesta i sogni di un tempo, riaccendi le speranze perdute, e fa' capire che si può ancora ricominciare daccapo.
Ti preghiamo, infine, per tutti i popoli della terra, lacerati dall' odio e divisi dagli interessi. Ridesta in loro la nostalgia dell'unica mensa, così che, distrutte le ingordigie e spenti i rumori di guerra, mangino affratellati insieme pani di giustizia. Pur diversi per lingua, razza e cultura, sedendo attorno a te, torneranno a vivere in pace. E i tuoi occhi di madre, sperimentando qui in terra quella convivialità delle differenze che caratterizza in cielo la comunione trinitaria, brilleranno finalmente di gioia.
Maria, donna del piano superiore
Icona. Con questo termine si indicano le immagini sacre dipinte su legno, che gli orientali venerano con particolare devozione. Avvolte di luce, imprigionano una scintilla del mistero divino, per cui, giustamente, qualcuno le ha definite finestre del tempo aperte sull' eterno.
Icona. Con questo termine, forse per il tratteggio nitido con cui vengono schizzate, oggi si usano chiamare anche quelle scene bibliche che racchiudono, con la forza rapida dei medaglioni celebrativi, un importante messaggio di salvezza.
Ebbene, di queste icone, il primo capitolo degli Atti, ne registra una di straordinario splendore, quando dice che gli apostoli, dopo l'ascensione, in attesa dello Spirito Santo «salirono al piano superiore, dove abitavano». E con loro c'era anche Maria, la madre di Gesù.
È l'ultima sequenza biblica in cui compare la Madonna. Ella si sottrae definitivamente alle luci della ribalta così. Dall'alto di questa postazione. Dal piano superiore. Quasi per indicarci i livelli spirituali su cui deve svolgersi l'esistenza di ogni cristiano.
In verità, tutta la vita di Maria si è sviluppata, per così dire, ad alta quota.
Non che abbia disdegnato il domicilio della povera gente. Tutt' altro. Le mogli dei pecorai, per un panno cucito dalle sue mani, barattavano con lei lane e formaggi. Le vicine di casa non si accorsero mai del mistero nascosto in quella vita apparentemente così terra terra. Né le contadine di Nazaret sperimentarono in lei quelle prese di distanza con cui spesso chi fa carriera mortifica i compagni di un tempo. Andava con loro al mercato. Tirava come loro sui prezzi. Usciva con le altre sulla strada, dopo gli acquazzoni d'estate, per arginare i torrenti di pioggia. E nelle sere di maggio, la sua voce risuonava nel cortile, accompagnandosi ai cori delle antiche cantilene orientali, ma senza sovrastare nessuno.
Maria, insomma, pur consapevole del suo sovrumano destino, non ha mai voluto vivere nei quartieri alti. Non si è mai costruita piedistalli di gloria. E ha sempre rifiutato le nicchie che potessero impedirle la gioia di vivere a piano terra con la gente comune.
Si è, però, riservata una specola altissima, questo sì, da cui contemplare non solo il senso ultimo della sua vicenda umana, ma anche le traiettorie lunghe della tenerezza di Dio.
Ci sono due punti strategici, nella vita di Maria, che ci danno la conferma di come lei fosse inquilina abituale di quel piano superiore che lo Spirito Santo l'aveva chiamata ad abitare: l'altura del Magnificat e l'altare del Golgota.
Da quell' altura ella spinge lo sguardo fino agli estremi confini del tempo. E, cogliendo il distendersi della misericordia di Dio di generazione in generazione, ci offre la più organica lettura che si conosca della storia della salvezza.
Da quell' altare ella spinge lo sguardo fino agli estremi confini dello spazio. E, stringendo il mondo con un unico abbraccio, ci offre la più sicura garanzia che gli angoli sfiorati dai suoi occhi materni saranno raggiunti anche dallo Spirito, sgorgato dal fianco di Cristo.
Santa Maria, donna del piano superiore, splendida icona della Chiesa, tu, la tua personale Pentecoste, l'avevi già vissuta all' annuncio dell' angelo, quando lo Spirito Santo scese su di te, e su di te stese la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Se, perciò, ti fermasti nel cenacolo, fu solo per implorare su coloro che ti stavano attorno lo stesso dono che un giorno, a Nazaret, aveva arricchito la tua anima. Come deve fare la Chiesa, appunto. La quale, già posseduta dallo Spirito, ha il compito di implorare, fino alla fine dei secoli, l'irruzione di Dio su tutte le fibre del mondo.
Donale, pertanto, l'ebbrezza delle alture, la misura dei tempi lunghi, la logica dei giudizi complessivi. Prestale la tua lungimiranza. Non le permettere di soffocare nei cortili della cronaca. Preservala dalla tristezza di impantanarsi, senza vie d'uscita, negli angusti perimetri del quotidiano. Falle guardare la storia dalle postazioni prospettiche del Regno. Perché, solo se saprà mettere l'occhio nelle feritoie più alte della torre, da dove i panorami si allargano, potrà divenire complice dello Spirito e rinnovare, così, la faccia della terra.
Santa Maria, donna del piano superiore, aiuta i pastori della Chiesa a farsi inquilini di quelle regioni alte dello spirito da cui riesce più facile il perdono delle umane debolezze, più indulgente il giudizio sui capricci del cuore, più istintivo l'accredito sulle speranze di risurrezione. Sollevali dal pianterreno dei codici, perché solo da certe quote si può cogliere l'ansia di liberazione che permea gli articoli di legge. Fa' che non rimangano inflessibili guardiani delle rubriche, le quali sono sempre tristi quando non si scorge l'inchiostro rosso dell' amore con cui sono state scritte.
Intenerisci la loro mente, perché sappiano superare la freddezza di un diritto senza carità, di un sillogismo senza fantasia, di un progetto senza passione, di un rito senza estro, di una procedura senza genio, di un logos senza sophìa.
Invitali a salire in alto con te, perché solo da certe postazioni lo sguardo potrà davvero allargarsi fino agli estremi confini della terra, e misurare la vastità delle acque su cui lo Spirito Santo oggi torna a librarsi.
Santa Maria, donna del piano superiore, facci contemplare dagli stessi tuoi davanzali i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi della vita: la gioia, la vittoria, la salute, la malattia, il dolore, la morte. Sembra strano: ma solo da quell'altezza il successo non farà venire le vertigini, e solo a quel livello le sconfitte impediranno di lasciarsi precipitare nel vuoto.
Affacciàti lassù alla tua stessa finestra, ci coglierà più facilmente il vento fresco dello Spirito con il tripudio dei suoi sette doni. I giorni si intrideranno di sapienza, e intuiremo dove portano i sentieri della vita, e prenderemo consiglio sui percorsi più praticabili, e decideremo di affrontarli con fortezza, e avremo coscienza delle insidie che la strada nasconde, e ci accorgeremo della vicinanza di Dio accanto a chi viaggia con pietà, e ci disporremo a camminare gioiosamente nel suo santo timore. E affretteremo così, come facesti tu, la Pentecoste sul mondo.
Maria, donna bellissima
È vero. Il Vangelo non ci dice nulla del volto di Maria. Come, del resto, non ci dice nulla del volto di Gesù.
Forse è meglio. Così a nessuno di noi viene tolta la speranza di sentirsi dire un giorno, magari da un arcangelo di passaggio: «Lo sai che a tua madre e a tuo fratello rassomigli tanto?».
Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima.
La quale, senza neppure 1'ombra del peccato, era limpida a tal punto che Dio vi si specchiava dentro. Come le montagne eterne che, lì sulle Alpi, si riflettono nella immobile trasparenza dei laghi.
Parlo, anche, del suo corpo di donna.
La teologia, quando arriva a questo punto, sembra sorvolare sulla bellezza fisica di lei.
La lascia celebrare ai poeti: «Vergine bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sì che in te sua luce ascose...».
La affida alle canzoni degli umili: «Mira il tuo popolo, o bella Signora...».
O agli appassionati ritornelli della gente: «Dell' aurora tu sorgi più bella... non vi è stella più bella di te».
O al rapido saluto di un' antifona: «Vale, o valde decora». Ciao, bellissima!
O alle allusioni liturgiche del Tota pulchra. Tutta bella sei, o Maria. Sei splendida, cioè, nell' anima e nel corpo!
Essa però, la teologia, non va oltre. Non si sbilancia. Tace sulla bellezza umana di Maria. Forse per pudore. Forse perché paga di aver speso tutto speculando sul fascino soprannaturale di lei. Forse perché debitrice a diffidenze non ancora superate circa la funzione salvifica del corpo. Forse perché preoccupata di ridurre l'incanto di lei a dimensioni naturalistiche, o timorosa di dover pagare il dazio ai miti dell' eterno femminile.
Eppure, non dovrebbe essere difficile trovare nel Vangelo la spia rivelatrice della bellezza corporea di Maria. C'è una parola greca molto importante, carica di significati misteriosi che non sono stati ancora per intero esplicitati. Questa parola, che fonda sostanzialmente tutta la serie dei privilegi soprannaturali della fanciulla di Nazaret, risuona nel saluto dell'angelo: «Kecharitomène». Viene tradotta con l'espressione «Piena di grazia». Ma non potrebbe trovare il suo equivalente in "graziosissima", con allusioni evidenti anche all'incantevole splendore del volto umano di lei?
Credo proprio di sì. E senza forzature. Così come senza forzature Paolo VI, in un celebre discorso del 1975, ha avuto l'ardire di parlare per la prima volta di Maria come «la donna vestita di sole, nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrumani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale».
Santa Maria, donna bellissima, attraverso te vogliamo ringraziare il Signore per il mistero della bellezza. Egli l'ha disseminata qua e là sulla terra, perché, lungo la strada, tenga deste, nel nostro cuore di viandanti, le nostalgie insopprimibili del cielo.
La fa risplendere nella maestà delle vette innevate, nell'assorto silenzio dei boschi, nella forza furente del mare, nel brivido profumato dell' erba, nella pace della sera. Ed è un dono che ci inebria di felicità perché, sia pure per un attimo appena, ci concede di mettere lo sguardo nelle feritoie fugaci che danno sull' eterno.
La fa rifulgere nelle lacrime di un bambino, nell' armonia del corpo di una donna, nell'incanto degli occhi suoi ridenti e fuggitivi, nel bianco tremore dei vegliardi, nella tacita apparizione di una canoa che scivola sul fiume, nel fremito delle magliette colorate dei corridori che passano veloci in un' alba di maggio. Ed è un dono che ci dispera perché, come ha detto qualcuno, questa ricchezza si gioca e si perde al tavolo verde del tempo.
Santa Maria, donna bellissima, splendida come un plenilunio di primavera, riconciliaci con la bellezza. Tu lo sai che dura poco nelle nostre mani rapaci. Sfiorisce subito sotto i nostri ingordi contatti. Si dissecca improvvisamente al soffio maligno delle nostre roventi cupidigie. Si contamina presto all'urto delle nostre latenti lussurie. Non la sappiamo trattare, insomma. E lo scavo struggente che ci produce nell' anima, invece che avvertirlo come anfora di felicità che ci fa cantare di gioia, lo avvertiamo come ferita inguaribile che ci fa gridare di dolore.
Aiutaci, ti preghiamo, a superare le ambiguità della carne. Liberaci dal nostro spirito rozzo. Donaci un cuore puro come il tuo. Restituiscici ad ansie di incontaminate trasparenze. E toglici la tristezza di dover distogliere gli occhi dalle cose belle della vita, per timore che il fascino dell' effimero ci faccia depistare i passi dai sentieri che portano alle soglie dell' eterno.
Santa Maria, donna bellissima, facci comprendere che sarà la bellezza a salvare il mondo. Non lo preserveranno dalla catastrofe planetaria né la forza del diritto, né la sapienza dei dotti, né la sagacia delle diplomazie. Oggi, purtroppo, nella deriva dei valori, stanno affondando anche le antiche boe che un tempo offrivano ancoraggi stabili alle imbarcazioni in pericolo. Viviamo stagioni crepuscolari.
Però, in questa camera oscura della ragione c'è ancora una luce che potrà impressionare la pellicola del buon senso: è la luce della bellezza. È per questo, santa Vergine Maria, che vogliamo sentire il fascino, sempre benefico, anche del tuo umano splendore, così come sentiamo la lusinga, talvolta ingannatrice, delle creature terrene. Perché la contemplazione della tua santità sovrumana ci aiuta già tanto a preservarci dalla palude. Ma sapere che tu sei bellissima nel corpo, oltre che nell' anima, è per tutti noi motivo di incredibile speranza. E ci fa intuire che ogni bellezza della terra è appena un ruvido seme destinato a fiorire nelle serre di lassù.
Maria, donna elegante
Il Vangelo non dice nulla. Ma i riferimenti biblici che alludono all' eleganza di Maria sono tantissimi.
Basterebbe pensare a quel passo del Cantico dei Cantici nel quale la liturgia intravede, come in filigrana, la figura della Madonna che lotta in nostro favore contro le forze del male: «Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?»,
Il testo latino dice: «Electa ut sol».
Electa vuol dire "elegante". Ha la stessa radice verbale.
Elegante come il sole! Non c'è chi non veda come, di fronte a lei, i modelli disegnati da Valentino sembrano ciarpame, e le creazioni di Giorgio Armani scampoli da rigattieri.
Ma c'è anche l'Apocalisse che riprende gli elementi cosmici del sole, della luna e delle stelle, con cui l'arte di tutti i secoli ha imbastito le cose più leggiadre sulla eleganza di Maria: «Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle»,
E poco più avanti ricorre un altro celebre testo, che si riferisce, è vero, alla nuova Gerusalemme, ma nel quale la tradizione, attraverso quel gioco di dissolvenze teologiche per cui spesso realtà e segni si scambiano le parti, ha scorto la presenza di lei: «Sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino pura, splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei Santi».
La Vergine, quindi, questa anticipazione meravigliosa della Chiesa, scende dal cielo, adorna di monili e palpitante di veli, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. È tutto un inno all' eleganza di Maria.
Una eleganza, chiaramente, da leggere in termini di finezza interiore, e non certo sulla base delle sue frequentazioni presso le boutique di Nazaret o gli atelier di alta moda di Gerusalemme.
Benché, a meditare attentamente il Vangelo, non sembrano del tutto fuori posto le allusioni anche all' eleganza fisica di Maria.
lo non so se nell'intimità della casa, dove fioriscono i vezzeggiativi della tenerezza, Gesù si divertisse a chiamare sua madre con i nomi delle piante più profumate, come un giorno avrebbe fatto la Chiesa: rosa di Gerico, giglio delle convalli, cedro del Libano, palma di Cades... C'è da supporre, però, che pensasse proprio a lei, fiore di bellezza, quando un giorno disse alle folle: «Osservate come crescono i gigli del campo... io vi dico che neppure Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro».
Come pure c'è da supporre che pensasse proprio a lei quando disse: «Lucerna del corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce». In quel momento dovettero balenargli gli occhi di sua madre. Quegli occhi in cui non solo traluceva la trasparenza dell' anima, ma che davano spessore di santità anche all' eleganza del suo corpo.
Santa Maria, donna elegante, dal momento che vestivi così bene, regalaci, ti preghiamo, un po' dei tuoi abiti. Aprici il guardaroba. Abituaci ai tuoi gusti. Lo sai bene, ci riferiamo a quei capi di abbigliamento interiore che adornarono la tua esistenza terrena: la gratitudine, la semplicità, la misura delle parole, la trasparenza, la tenerezza, lo stupore. Ti assicuriamo: sono abiti che non sono ancora passati di moda. Anche se sono troppo grandi per le nostre misure, faremo di tutto per adattarli alla nostra taglia.
Svelaci, ti preghiamo, il segreto della tua linea. Innamoraci del tuo esprit de finesse. Preservaci da quelle cadute di stile che mettono così spesso a nudo la nostra volgarità. Donaci un ritaglio del tuo velo di sposa. E facci scoprire nello splendore della natura e dell' arte i segni dell' eleganza di Dio.
Santa Maria, donna elegante, liberaci da quello spirito rozzo che ci portiamo dentro, nonostante i vestiti raffinati che ci portiamo addosso, e che esplode tante volte in termini di violenza verbale nei confronti del prossimo.
Come siamo lontani dalla tua eleganza spirituale! Indossiamo abiti con la firma di Trussardi, ma i gesti del rapporto umano rimangono sgraziati. Ci spalmiamo la pelle con i profumi di Versace, ma il volto trasuda ambiguità. Ci mettiamo in bocca i più ricercati dentifrici, ma il linguaggio che ne esce è da trivio. Il vocabolario si è fatto greve. L'insulto è divenuto costume. Le buone creanze sono in ribasso. Anzi, se in certi spettacoli televisivi mancano gli ingredienti del turpiloquio, sembra che cali perfino l'indice di ascolto.
Donaci, perciò, un soprassalto di grazia che compensi le nostre intemperanze. E facci capire che, finché non vedremo in colui che ci sta accanto un volto da scoprire, da contemplare e da accarezzare, le più sofisticate raffinatezze rimarranno sempre formali, e i più costosi abbigliamenti non riusciranno a mascherare la nostra anima di straccioni.
Santa Maria, donna elegante, tu che hai colto con tanta attenzione il passaggio di Dio nella tua vita, fa' che anche noi possiamo captare la sua brezza. Anche lui è molto elegante, e difficilmente irrompe nella nostra storia con la potenza del fuoco o dell'uragano o del terremoto; ma, come sul monte Oreb, si fa sentire nello stormire leggerissimo delle fronde. Occorrono antenne delicate per registrare la sua presenza. C'è bisogno di un orecchio sensibile per percepire il frusciare dei suoi passi quando, al meriggio, come faceva con Adamo, scende ancora nel nostro giardino.
Aiutaci a intuire tutta la delicatezza di Dio in quella espressione biblica con la quale egli, il Signore, esprime quasi il pudore di disturbarci (forse a Giovanni, mentre scriveva 1'Apocalisse, quelle parole gliele hai dettate tu): «Ecco, io sto alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui, ed egli con me».
Rendici pronti a rispondere, con la tua stessa finezza di stile, al suo discreto bussare. Così che possiamo aprirgli subito la porta, e fargli festa, e condudo a tavola con noi.
Anzi, visto che lui si ferma, perché non rimani a cena anche tu?
Maria, donna dei nostri giorni
Maria, la vogliamo sentire così. Di casa. Mentre parla il nostro dialetto. Esperta di tradizioni antiche e di usanze popolari. Che, attraverso le coordinate di due o tre nomi, ricostruisce il quadro delle parentele, e finisce col farti scoprire consanguineo con quasi tutta la città.
Vogliamo vederla così. Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra. Donna di ogni età: a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine.
Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d'estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza, portandosi negli occhi limpidi un frammento dell'Adriatico verde. E d'inverno, con lo zaino colorato, va in palestra anche lei. E passando per corso Umberto, saluta la gente con tenerezza. E ispira in chi la guarda nostalgie di castità. E conversa nel cerchio degli amici, sul viale Pio XI, la sera. E rende felici gli interlocutori, che la ripagano con sorrisi senza malizia. E va a braccetto con le compagne, e ne ascolta le confidenze segrete, e le sprona ad amare la vita.
Vogliamo darle uno dei nostri cognomi: Salvemini, Tattoli, Minervini, Gadaleta, Carabellese, Altomare, De Candia, Pansini... e pensarla come alunna di un nostro liceo, o come operaia in un maglificio della nostra città, o dattilografa nello studio del commercialista di fronte, o commessa in una boutique di corso Margherita.
Vogliamo sperimentarla mentre passa per le strade del centro storico e si ferma a conversare con le donne di via Amente. O incontrarla al cimitero, la domenica, mentre depone un fiore ai suoi morti. O mentre il giovedì si reca al mercato, e tira sul prezzo anche lei. O quando alla mezza, con tutte le altre madri davanti al Manzoni, attende che il suo bambino esca da scuola per portarselo a casa e ricoprirlo di baci.
Non la vogliamo ospite. Ma concittadina. Interna ai nostri problemi comunitari. Preoccupata per il malessere che scuote Molfetta. Ma contenta anche di condividere la nostra esperienza spirituale, contraddittoria ed esaltante. Fiera per lo spessore culturale della nostra città: per le sue chiese, per la sua arte, per la sua musica, per la sua storia. E gioiosa di appartenere al nostro ceppo di contadini, di naviganti, di esuli inguaribilmente stregati dalla loro terra natale.
Maria, la vogliamo sentire così. Tutta nostra, ma senza gelosie. Molfettese puro sangue. Che a Natale canta la "Santa Allegrezza", e in Quaresima il Vexilla Regis: con le stesse cadenze delle nostre donne che sfilano in processione con le lampade accese.
La vogliamo nelle nostre liste anagrafiche. Nei sogni festivi e nelle asprezze feriali. Sempre pronta a darci una mano. A contagiarci della sua speranza. A farci sentire, con la sua struggente purezza, il bisogno di Dio. E a spartire con noi momenti di festa e di lacrime. Fatiche di vendemmie e di frantoi. Profumi di forno e di bucato. Lacrime di partenze e di arrivi.
Come una vicina di casa, dei tempi antichi. O come dolcissima inquilina che si affaccia sul pianerottolo del nostro condominio. O come splendida creatura che ha il domicilio sotto il nostro stesso numero civico. E riempie di luce tutto il cortile.
Santa Maria, donna dei nostri giorni, vieni ad abitare in mezzo a noi. Tu hai predetto che tutte le generazioni ti avrebbero chiamata beata. Ebbene, tra queste generazioni c'è anche la nostra, che vuole cantarti la sua lode non solo per le cose grandi che il Signore ha fatto in te nel passato, ma anche per le meraviglie che egli continua a operare in te nel presente.
Fa' che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grazia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che, gli stessi problemi, li vive anche lei sulla sua pelle, e ne conosce l'inedita drammaticità, e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l'alta quota di tribolazione.
Santa Maria, donna dei nostri giorni, liberaci dal pericolo di pensare che le esperienze spirituali vissute da te duemila anni fa siano improponibili oggi per noi, figli di una civiltà che, dopo essersi proclamata postmoderna, postindustriale e postnonsoché, si qualifica anche come postcristiana.
Facci comprendere che la modestia, l'umiltà, la purezza sono frutti di tutte le stagioni della storia, e che il volgere dei tempi non ha alterato la composizione chimica di certi valori quali la gratuità, l'obbedienza, la fiducia, la tenerezza, il perdono. Sono valori che tengono ancora e che non andranno mai in disuso. Ritorna, perciò, in mezzo a noi, e offri a tutti l'edizione aggiornata di quelle grandi virtù umane che ti hanno resa grande agli occhi di Dio.
Santa Maria, donna dei nostri giorni, dandoti per nostra madre, Gesù ti ha costituita non solo conterranea, ma anche contemporanea di tutti. Prigioniera nello stesso frammento di spazio e di tempo. Nessuno, perciò, può addebitarti distanze generazionali, né gli è lecito sospettare che tu non sia in grado di capire i drammi della nostra epoca.
Mettiti, allora, accanto a noi, e ascoltaci mentre ti confidiamo le ansie quotidiane che assillano la nostra vita moderna: lo stipendio che non basta, la stanchezza da stress, l'incertezza del futuro, la paura di non farcela, la solitudine interiore, l'usura dei rapporti, l'instabilità degli affetti, l'educazione difficile dei figli, l'incomunicabilità perfino con le persone più care, la frammentazione assurda del tempo, il capogiro delle tentazioni, la tristezza delle cadute, la noia del peccato. ..
Facci sentire la tua rassicurante presenza, o coetanea dolcissima di tutti. E non ci sia mai un appello in cui risuoni il nostro nome, nel quale, sotto la stessa lettera alfabetica, non risuoni anche il tuo, e non ti si oda rispondere: «Presente!».
Come un' antica compagna di scuola.
Maria, donna dell'ultima ora
«Nunc et in hora mortis nostrae».
In latino suona meglio. Soprattutto quando l'Ave Maria viene cantata. Sembra allora che la corrente melodica dilaghi in un estuario di tenerezza, e concentri nelle ultime quattro parole le più sanguinanti implorazioni dell'uomo.
«Adesso e nell'ora della nostra morte».
Anche in italiano non è da meno. Soprattutto quando, irrompendo le ombre della sera, l'Ave Maria viene recitata dal popolo dei poveri, nei banchi di una chiesa, con le cadenze del rosario.
Sembrano cadenze monotone. Ma dal centro di quelle scarne parole si sprigionano viluppi di sensazioni intraducibili, che non si capisce bene se ti spingano sul discrimine che separa il tempo dall' eterno, o ti arretrino invece negli spazi di un passato remoto carico di ricordi. Certo è che, man mano che quelle parole vengono ripetute, la mente si affolla di immagini dolcissime, tra le quali predomina l'immagine di lei, l'altra madre, che nelle sere d'inverno, vicino al ceppo acceso, o sotto le stelle nelle notti d'estate, attorniata dai familiari e dai vicini di casa, ripeteva con la corona tra le mani: «Santa Maria, Madre di Dio... ».
Sembra che alla Madonna non si sappia chiedere altro: «Prega per noi peccatori». Forse perché, in fondo, l'essenziale sta lì. Tutto il resto è corollario di quell'unica domanda. Ed ecco allora, per cinquanta volte, la stessa supplica struggente: «Adesso e nell'ora della nostra morte».
Viene da chiedersi, comunque, perché mai l'Ave Maria essenzializzi a tal punto l'implorazione da ridurla a una sola richiesta.
Le ragioni possono essere due.
Anzitutto, Maria è esperta di quell'ora. Perché fu presente all' ora del Figlio. Ne visse, cioè, da protagonista la peripezia suprema di morte e glorificazione, verso cui precipita tutta la storia della salvezza. In quell'ora, Gesù le ha consegnato i suoi fratelli simbolizzati da Giovanni, perché li considerasse come suoi figli.
Da quel momento lei è divenuta guardiana della nostra ultima ora, e si rende presente in quella frazione di tempo in cui ognuno di noi si gioca il suo eterno destino.
Il secondo motivo sta nel fatto che l'hora mortis è un passaggio difficile. Un transito che mette paura, per quella carica di ignoto che si porta incorporata. Una transumanza che sgomenta, perché è l'unica che non si può programmare nei tempi, nei luoghi e nelle modalità. È come affrontare un' esile passerella di canne che oscilla sul vortice di un larghissimo fiume, pronto a inghiottirti.
Di qui, il realismo della preghiera: «Ora pro nobis... nunc et in hora mortis nostrae».
Tu, cioè, che sei esperta di quell'ora, dacci una mano perché ognuno, quando essa scoccherà sul quadrante della sua vita, l'accolga con la serenità di Francesco d'Assisi: «Laudato sie, mi Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente può skappare».
Santa Maria, donna dell'ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. È un' esperienza che hai già fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piàntati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell' ora delle tenebre. Liberaci dallo sgomento del baratro. Pur nell'eclisse, donaci trasalimenti di speranza. Infondici nell' anima affaticata la dolcezza del sonno.
Che la morte, comunque, ci trovi vivi!
Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei.
Anzi, l'ultimo istante della nostra vita lo sperimenteremo come l'ingresso nella cattedrale sfolgorante di luce, al termine di un lungo pellegrinaggio con la fiaccola accesa. Giunti
sul sagrato, dopo averla spenta, deporremo la fiaccola. Non avremo più bisogno della luce della fede che ha illuminato il nostro cammino. Ormai saranno gli splendori del tempio ad allagare di felicità le nostre pupille.
Fa', ti preghiamo, che la nostra morte possiamo viverla così.
Santa Maria, donna dell'ultima ora, il Vangelo ci dice che Gesù quando sulla croce emise lo spirito, reclinò il capo. Probabilmente, come molti artisti hanno intuito, il suo capo egli lo reclinò sul tuo: nello stesso atteggiamento di abbandono di quando, ancora bambino, lo coglieva il sonno. Ritta sotto il patibolo, forse su uno sgabello di pietra, diventasti così il suo cuscino di morte.
Ti preghiamo: quando pure per noi giungerà il momento di consegnarci al Padre, e nessuno dei presenti sarà in grado di rispondere ormai ai nostri richiami, e sprofonderemo in quella solitudine che neppure le persone più care potranno riempire, offrici il tuo capo come ultimo guanciale.
Il calore del tuo volto, in quell'estremo istante della vita, evocherà dalle tombe mai aperte della nostra coscienza un altro istante: il primo dopo la nascita, quando abbiamo sperimentato il calore di un altro volto, che rassomigliava tanto al tuo. E forse solo allora, sia pure con le luci fioche della mente che si spegne, capiremo che i dolori dell'agonia altro non sono che travagli di un parto imminente.
Santa Maria, donna dell'ultima ora, disponici al grande viaggio. Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura. Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto. Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere sulla frontiera. Aiutaci a saldare, con i segni del pentimento e con la richiesta di perdono, le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio. Procuraci tu stessa i benefici dell' amnistia, di cui egli largheggia con regale misericordia. Mettici in regola le carte, insomma, perché, giunti alla porta del paradiso, essa si spalanchi al nostro bussare.
Ed entreremo finalmente nel Regno, accompagnati dall'eco dello Stabat Mater che, con accenti di mestizia e di speranza, ma anche con l'intento di accaparrarci anzitempo la tua protezione, abbiamo cantato tante volte nelle nostre chiese al termine della Via Crucis: «Quando corpus morietur, fac ut animae donetur paradisi gloria. Amen».
Santa Maria, compagna di viaggio
Santa Maria,
Madre tenera e forte,
nostra compagna di viaggio sulle strade della vita,
ogni volta che contempliamo
le cose grandi che l'Onnipotente ha fatto in te,
proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze,
che sentiamo il bisogno di allungare il passo
per camminarti vicino.
Asseconda, pertanto, il nostro desiderio di prenderti
per mano,
e accelera le nostre cadenze di camminatori un po' stanchi.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede,
non solo cercheremo il volto del Signore,
ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana
verso coloro che si trovano nel bisogno,
raggiungeremo in fretta la "città"
recandole gli stessi frutti di gioia
che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana.
Santa Maria, Vergine del mattino,
donaci la gioia di intuire,
pur tra le tante foschie dell' aurora,
le speranze del giorno nuovo.
Ispiraci parole di coraggio.
Non farci tremare la voce quando,
a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati
che invecchiano il mondo,
osiamo annunciare che verranno tempi migliori.
Non permettere
che sulle nostre labbra il lamento prevalga mai
sullo stupore,
che lo sconforto sovrasti l'operosità,
che lo scetticismo schiacci l'entusiasmo,
e che la pesantezza del passato
ci impedisca di far credito sul futuro.
Aiutaci a scommettere con più audacia sui giovani,
e preservaci dalla tentazione di blandirli
con la furbizia di sterili parole,
consapevoli che solo dalle nostre scelte di autenticità
e di coerenza
essi saranno disposti ancora a lasciarsi sedurre.
Moltiplica le nostre energie
perché sappiamo investirle
nell'unico affare ancora redditizio sul mercato
della civiltà:
la prevenzione delle nuove generazioni
dai mali atroci che oggi rendono corto il respiro della terra.
Da' alle nostre voci la cadenza degli alleluia pasquali.
Intridi di sogni le sabbie del nostro realismo.
Rendici cultori delle calde utopie
dalle cui feritoie sanguina la speranza sul mondo.
Aiutaci a comprendere
che additare le gemme che spuntano sui rami
vale più che piangere sulle foglie che cadono.
E infondici la sicurezza di chi già vede l'oriente
incendiarsi ai primi raggi del sole.
Santa Maria, Vergine del meriggio,
donaci l'ebbrezza della luce.
Stiamo fin troppo sperimentando
lo spegnersi delle nostre lanterne,
e il declinare delle ideologie di potenza,
e l'allungarsi delle ombre crepuscolari
sugli angusti sentieri della terra,
per non sentire la nostalgia del sole meridiano.
Strappaci dalla desolazione dello smarrimento
e ispiraci l'umiltà della ricerca.
Abbevera la nostra arsura di grazia nel cavo della tua mano.
Riportaci alla fede
che un'altra Madre, povera e buona come te,
ci ha trasmesso quando eravamo bambini,
e che forse un giorno abbiamo in parte svenduto
per una miserabile porzione di lenticchie.
Tu, mendicante dello Spirito,
riempi le nostre anfore di olio
destinato a bruciare dinanzi a Dio:
ne abbiamo già fatto ardere troppo
davanti agli idoli del deserto.
Facci capaci di abbandoni sovrumani in Lui.
Tempera le nostre superbie carnali.
Fa' che la luce della fede,
anche quando assume accenti di denuncia profetica,
non ci renda arroganti o presuntuosi,
ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione.
Soprattutto, però, liberaci dalla tragedia
che il nostro credere in Dio
rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento
sia pubbliche che private,
e corra il rischio
di non diventare mai carne e sangue
sull' altare della ferialità.
Santa Maria, Vergine della sera, Madre dell'ora in cui
si fa ritorno a casa,
e si assapora la gioia di sentirsi accolti da qualcuno,
e si vive la letizia indicibile di sedersi a cena con gli altri,
facci il regalo della comunione.
Te lo chiediamo per la nostra Chiesa,
che non sembra estranea neanch'essa
alle lusinghe della frammentazione,
del parrocchialismo,
e della chiusura nei perimetri segnati dall'ombra
del campanile.
Te lo chiediamo per la nostra città,
che spesso lo spirito di parte riduce così tanto
a terra contesa,
che a volte sembra diventata terra di nessuno.
Te lo chiediamo per le nostre famiglie,
perché il dialogo, l'amore crocifisso,
e la fruizione serena degli affetti domestici,
le rendano luogo privilegiato di crescita cristiana e civile.
Te lo chiediamo per tutti noi,
perché, lontani dalle scomuniche dell'egoismo
e dell'isolamento,
possiamo stare sempre dalla parte della vita,
là dove essa nasce, cresce e muore.
Te lo chiediamo per il mondo intero,
perché la solidarietà tra i popoli
non sia vissuta più come uno dei tanti impegni morali,
ma venga riscoperta come l'unico imperativo etico
su cui fondare l'umana convivenza.
E i poveri possano assidersi, con pari dignità,
alla mensa di tutti.
E la pace diventi traguardo dei nostri impegni quotidiani.
Santa Maria, Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
e irrompe la prova,
e sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni
o il freddo delle delusioni,
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro Calvario,
tu, che hai sperimentato l'eclisse del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari che faticano
in terre lontane
e conforta, col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi la canzone del Magnifìcat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche tu,
Vergine dell'avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
Così sia.