PICCOLI GRANDI LIBRI  ROGER SCHUTZ
Priore di Taizé

DINAMICA DEL PROVVISORIO

MORCELLIANA 1965

Titolo originale dell'opera: Dynamique du provisoire  Les Presses de Taizé - France 1965
Traduzione delle BENEDETTINE DI SAN MAGNO

Ai Padri dell'Oratorio di Brescia 

PER UNA NUOVA DIMENSIONE DELL'ECUMENISMO

EVITARE LA FRATTURA TRA LE GENERAZIONI

ANDARE INCONTRO A COLORO CHE NON POSSONO CREDERE

RAGGIUNGERE
IL MONDO DEI POVERI

VIVERE IL MISTERO
DELLA CHIESA

RESTARE NELL'ATTESA CONTEMPLATIVA DI DIO

L'ecumenismo è rimasto angusto
Atti per uscire da noi stessi.
Alle sorgenti della vita contemplativa
Dire di sì all' oggi
Sete di realizzare
Ritrovare il Vangelo nella freschezza primitiva
Creazione comune
L'ecumenismo, un preliminare
Dialogare con ogni uomo
Povertà senza carità; ombra senza chiarezza
Attuare la prima Beatitudine
Vivere lo spirito di povertà
Per una dottrina sociale dell'ecumenismo
Accettare le istituzioni ecclesiali
L'autorità, fattore di unità
Solidarietà con tutti i battezzati
Accorrere, non fuggire
Cancellare la rottura
Inseriti nella storia
Attesa e provvisorietà
Conservare la serenità
Apportatori di ecumenicità
Intimità e solitudine
Attesa contemplativa

RAGGIUNGERE IL MONDO DEI POVERI

Povertà senza carità: ombra senza chiarezza

Povertà è una parola che scortica le labbra. Scrivendo. la Regola di Taizé osavo appena servirmene, sonava male sotto la penna. Pensando che lo spirito di povertà consisteva prima di tutto nella parità semplice e cordiale, ho preferito parlare di impegno alla comunione dei beni che va fino « alla possibile povertà ».

Spesso prevale l'attitudine puritana, che consiste nell'apparenza della povertà, mentre dietro questa facciata scialba si nascondono delle risorse. Se lo spirito di povertà diventa sinonimo di tristezza e di austerità, corrisponde veramente alla prima Beatitudine? Lo spirito di povertà si trova nella gioia dell'uomo la cui sicurezza è in Dio. Ecco perché si distingue con segni esterni di gioia.

Come non essere attenti alla reazione di lavoratori che mal tollerano questo linguaggio del Vangelo? Pensano che, idealizzando la povertà, i cristiani vogliono conservare le classi lavoratrici in uno stato di inferiorità, per renderle soggette alle classi abbienti. Spetta a noi capire la volontà di promozione umana e sociale, che anima questi uomini.

L'espressione « Chiesa dei poveri» s'impone a parecchi in questi tempi. Vuol far colpo e suscitare una coscienza nuova di fronte alle esigenze del Vangelo. Rallegriamoci che in questo modo siano bollati dei gravi compromessi temporali, che affliggono il nostro mondo cristiano. Tuttavia questa espressione non ha che un valore pedagogico e del tutto provvisorio: la Chiesa è quella di tutti, anche se i poveri vi hanno un posto privilegiato.

Appare sempre di più tra i cristiani un vigoroso richiamo alla povertà. Le giovani generazioni sono severe verso tutti i segni di comodità. La forte critica di tanti giovani laici procede da un'intenzione pura, ma se si impone un abbandono sappiamo che non riguarda solo i beni materiali. Il fatto di aver pochi mezzi potrebbe farci cercare un'altra sicurezza, altrove e a nostra insaputa, per esempio nel dominare lo spirito altrui, che vorremmo forzare ad entrare nelle nostre categorie.

Lo spirito di povertà afferra la totalità dell'essere. Non bastano i segni esterni della povertà; essi non impediscono di conservare in sé un'ambizione umana, un bisogno di potenza, un desiderio di dominare il prossimo, appena mascherati dalle apparenze.

Presentare un ideale, che sia irraggiungibile in una società ricca pone coloro, che richiedono di vivere la povertà secondo il Vangelo in una situazione di conflitto permanente: desiderano raggiungere l'irraggiungibile. Il Vangelo non distrugge la personalità, vuole solo destare delle sane inquietudini. Domandare l'impossibile conduce a situazioni critiche. Vi sono delle richieste, che chiudono in conflitti interiori.

Non assistiamo forse in certi ambienti alla instaurazione di un nuovo giansenismo?

Lo stesso impegno alla povertà, se accompagnato da uno spirito di rivendicazione, non solo non edifica nessuno, ma distrugge per l'amarezza che ha in sé. L'uomo o la donna che hanno fatto voto di povertà non dimentichino il padre e la madre di famiglia carichi di bambini. Le nostre esigenze non possono essere le loro. Rischiano di essere un peso per loro e di chiudere la loro intelligenza ai nostri voti. Degli esseri terribilmente poveri fanno paura.

Possa lo spirito di povertà non diventare mai duro, che da esso non venga mai emesso alcun giudizio. Non si potrebbe esaltare una Beatitudine a scapito delle altre. Il povero è mite. Resta il povero di Jahvè, che dipende da Dio solo nel suo oggi.

È indispensabile in questi campi conservare un grande equilibrio. La povertà non è niente senza la carità, è un'ombra senza chiarezza. Colui che, in nome della povertà, giudica con presunzione il prossimo può essere sicuro di sbagliare.

Attuare la prima Beatitudine

Lo spirito di povertà richiede una continua attuazione dinamica. Nell'emisfero nord l'asc~ sa economica e la promozione umana sono un fenomeno costante. Perciò vi sono forme di presenza nel mondo dei poveri che presto saranno sorpassate e anacronistiche.

Invece l'esistenza del mondo dei poveri dell'emisfero sud può diventare, per i cristiani di occidente, l'avvento di Dio che li aiuterà a non chiudersi nella loro società opulenta, ma a sottrarsi invece al processo di ripiegamento su se stessi, che è proprio di tutte le società vecchie.

Ecco perché è importante raggiungere con un gesto ecumenico il mondo dei poveri e legarci ad esso. Altrimenti, a causa dell'aumento demografico che, nell'emisfero sud, si accentua di giorno in giorno, l'incontro dei due mondi potrebbe cambiarsi in un urto apocalittico.

In questo periodo di grandi tensioni, l'aggiornamento è indispensabile. Più che un aggiornamento superficiale è un atteggiamento spirituale che esige le riforme più profonde al livello del pensiero e dell'impegno umano. Per realizzarlo, i poveri di Cristo vengono in nostro aiuto. La loro esistenza ci invita ad una trasformazione della nostra mentalità.

Il contatto con loro ci permette di tornare indietro in rapporto a noi stessi; insieme con loro avverrà la nostra seconda conversione, altrimenti rischieremmo di promuovere in Occidente una famiglia cristiana superattiva e chiusa nel circolo vizioso della sufficienza umana.

Per compiere tutti insieme, cristiani delle varie confessioni, il nostro aggiornamento insieme con i poveri, è possibile mettere in pratica la prima beatitudine in due modi:

Ritrovare al contatto con loro lo spirito di povertà. Ricevere prima di dare, sia che restiamo dove siamo o andiamo dove sono loro. Scoprire di nuovo il senso della Provvidenza di Dio.

Ricercare una dottrina sociale dell'ecumenismo: trovare un denominatore comune per andare tutti insieme incontro al mondo dei poveri.

Perciò non è troppo audace dire che una delle linee di forza dell'ecumenismo passerà attraverso il mondo dei poveri.

Vivere lo spirito di povertà

Nell'Israele di Dio esisteva una comunità di poveri di Jahvè. Stavano davanti a Dio sprovvisti di tutto, nell'attesa della venuta del Messia. Tutto il loro essere era teso verso il compimento imminente della promessa. Accumulare dei beni sarebbe stato smentire la loro speranza. La Vergine Maria faceva parte di questa comunità; sempre disponibile, nell'attesa del suo Signore, ha potuto pronunciare. il sì di un cuore fedele.

Fra tanti diseredati, che oggi soffrono nel mondo, molti appartengono alla comunità dei poveri del Cristo. Vivono più o meno intensamente l'attesa del suo ritorno. A chi vuole essere solidale con loro è concesso di trovare presso di loro dei grandi tesori evangelici: il senso della Provvidenza di Dio che i cristiani occidentali, snervati dalla rapidità delle evoluzioni, vanno perdendo. A contatto con i poveri noi riscopriamo certo il senso dell'urgenza, ma nello stesso tempo la dinamica dell'attesa, e diventiamo capaci di capire, attraverso di loro, quello che i nostri spiriti ottusi non afferravano più.

Avere un'anima di povero, sentirsi povero di tutto, significa essere debole con chi è debole e mettersi nelle disposizioni di essere rialzati noi stessi nei giorni delle cadute. Chi è debole - vicino o lontano, lontanissimo nel mondo - che io non sia debole? Chi cade nella mia famiglia ecclesiale o in quella di un'altra confessione - che io non sia disposto ad andargli incontro? Per troppo tempo non si è forse creduto che la solidarietà doveva realizzarsi solo nel proprio ambiente confessionale al punto da restare indifferenti se l'uno o l'altro, in un'altra confessione, vacillava?

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Lo spirito di povertà esige la semplicità nell'uso dei beni temporali. La nostra relazione con Dio diventa più libera. Accettare con semplicità quello che ci viene dato oggi, senza tuttavia cedere alla tentazione di accumulare riserve.

Nel deserto, il popolo di Israele cercava di conservare per il giorno dopo la manna caduta dal cielo, ma essa già imputridiva.

Animato dallo spirito di povertà, l'uomo dipende da Dio solo. Poveri di capacità, poveri di mezzi: ma è là Colui che ci colma. Moltiplicare le assicurazioni di ogni genere significa rinnegare la nostra fiducia. Abbandonarle significa cercare Iddio e non riporre una sicurezza incrollabile che in Lui.

Per la maggior parte, nel nostro ambiente di abbondanza, è possibile attuare la prima Beatitudine in altro modo che attraverso il semplice uso dei beni materiali, restando alla ricerca di Dio?

È vero che per molti uomini e donne, che hanno fatto voto di povertà, risuona un appello più radicale. Siccome la loro povertà è vissuta senza giudicare gli altri, i laici ne penetrano il senso: è attesa gioiosa del ritorno del Cristo e solidarietà autentica con tutti coloro che, nel mondo intero, non hanno il pane quotidiano. È anche opposizione della coscienza di fronte a tutti quelli che abusano dei beni della terra. La terra è data all'uomo perché se ne serva; è per lui un mezzo di libertà e non di offesa della libertà degli altri.

Per una dottrina sociale dell' ecumenismo.

L'ecumenismo rischia di insabbiarsi nella nostra situazione di cristianità occidentale. A chi conosce quante lotte di supremazia si sono. combattute un tempo e quanti combattimenti continuano anche oggi malgrado certe bonacce" si pone la questione: non scopriremo forse molto lontano da noi il campo di azione, che ci permetterà di uscire dalla nostra mentalità per trovare il cammino della riconciliazione?

Attualmente i due terzi dell'umanità soffrono. la fame. Noi altri che rischiamo di essere resi indifferenti dall'abbondanza e dalla sovrabbondanza o anche scettici ed atoni spiritualmente, ci prepariamo a dividere i beni materiali e spirituali che si riversano su di noi? Lo sappiamo, che nell'America latina, donne e bambini sono talvolta ridotti a condizioni umane, che non accetteremmo per gli animali domestici? Partecipiamo ai grandi sforzi che si impongono,. come conseguenza, alla cristianità?

Di fronte a noi ci sono poveri del Cristo, ai quali le nostre coscienze troppo ottuse sono rimaste indifferenti. Tocca a noi andare loro incontro, e perciò ricercare tutti insieme una dottrina sociale dell'ecumenismo, i titoli dei capitoli del quale saranno: dividere, cooperare, associarsi, partecipare alla promozione dell'uomo.

Oggi si esige da noi qualche cosa di più della generosità e del distacco. La comunione con le miserie del mondo è anche partecipazione alla lotta del mondo contro la sua miseria.

Partire per il Terzo Mondo suppone una specializzazione tecnica; la buona volontà non basta; le partenze sono brutalmente limitate. Quello che si attende da noi è prima di tutto il partecipare alla promozione umana restando dove siamo e permettere ai giovani del Terzo Mondo di ricevere una formazione, preferibilmente nel loro Paese, perché divengano essi stessi promotori di uno sviluppo nei loro Paesi.

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Se i soli cristiani fossero già capaci di tradurre in atto la parola di :Pietro: «non ho né oro né argento» (4) non ho riserve, niente di superfluo, il corso di molte evoluzioni storiche sarebbe rovesciato. Basterebbe perché si stabilisse sulla terra una maggiore giustizia. Le generazioni che salgono si allontanano da noi cristiani che parliamo volentieri di sicurezza in Dio, mentre abbiamo spesso bisogno di tante assicurazioni in oro ed argento.

Non esiste comunione fraterna che in una divisione materiale tangibile. Ecco perché una rottura intollerabile sconvolgerà un giorno tutto l'equilibrio occidentale, se la nostra preoccupazione non si volge verso quei due miliardi di uomini la cui povertà non fa che crescere, se non cerchiamo di dividere il nostro pane, attraverso gesti umili ma efficaci.

La pratica di dividere il pane è una realtà evangelica. Noi temiamo di disfarci delle nostre assicurazioni. Tuttavia coloro che sono entrati per questa via devono riconoscere che il pane viene loro dato sempre. La messa in comune dei beni rende attuale ogni giorno la richiesta del pane quotidiano, ci fa entrare nel senso del provvisorio, nello spirito di infanzia delle Beatitudini.

Mettendo in pratica una tale dottrina sociale, avremo in mano una potente leva di ecumenismo. Con uno stesso gesto, i cristiani separati d'occidente saranno associati gli uni agli altri in stretta cooperazione, e saranno legati ai poveri dell'emisfero sud.

Associandoci per apportare una promozione umana a degli uomini che non potevano più sperarla, saremo restituiti alla nostra vocazione comune di battezzati attraverso il mondo. Saremo ben lontani dal nostro passato, dalle nostre sorde lotte per la supremazia, dalla nostra inconfessata sete di aver ragione contro gli altri. In cambio, coloro con cui avremo diviso il pane, ci renderanno il centuplo di quello che avremo tentato di dar loro; ci restituiranno la unità visibile, ritrovata attraverso gesti di solidarietà, compiuti in comune.