LETTURE PATRISTICHE
Centro Azione liturgica - Roma - 1971 -
EDIZIONI MESSAGGERO DI S. ANTONIO - PADOVA 1972
A | M | |||
B | N | |||
C | O | |||
D | QUARESIMA, Penitenza, Conversione | P | ||
E | Q | |||
F | R | |||
G | S | |||
H | T | |||
I | U |
PREGHIERA: Adorazione, Lode, Azione di grazie, Intercessione |
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J | V | |||
K |
FESTE DI CRISTO: Sacro Cuore" Trasfigurazione, Santa Croce, Cristo Re |
W | CARITÀ | |
L | X | |||
Z |
D1 | Prefazio Mozarabico | DALLE TENEBRE DELL'ERRORE, IL PECCATORE ASPIRA ALLA LUCE ETERNA |
D2 | San Leone Magno | IL TEMPIO DI DIO SIA BELLO IN OGNI SUA PIETRA |
D3 | Papa Giovanni XXIII | IMPEGNO DI AMORE E DI GENEROSITÀ |
D4 | Giovanni Papini | IL DESERTO |
D5 | Isacco della Stella | LA REMISSIONE DEI PECCATI SPETTA INSIEME A CRISTO E ALLA CHIESA |
D6 | Paolo VI | LA PENITENZA NEL NUOVO TESTAMENTO |
D7 | Giulio Bevilacqua | RITORNO A DIO |
D16 | San Leone Magno | PREPARIAMOCI AL PERDONO VICENDEVOLE |
D17 | San Bernardo | IL SEGRETO DELLA PACE INTERIORE |
D18 | San Francesco di Sales | |
D19 | Fénelon | |
D20 | Paolo Evdokimow | |
D21 | Dietrich Bonhoeffer | IL PREZZO DELLA GRAZIA |
D42 | Alessandro Manzoni | UNA CONVERSIONE È SEMPRE UNA NUOVA NASCITA |
D1 DALLE TENEBRE DELL'ERRORE, IL PECCATORE ASPIRA ALLA LUCE ETERNA
Prefazio Mozarabico *
Con il titolo di liturgia mozarabica, si designano i testi e i riti delle comunità cristiane spagnole precedenti l'instaurazione della liturgia romana, adottata in queste regioni sotto il papato di Gregario VII. Questa liturgia, pur rievocando nel nome /'invasione islamica della Spagna, è però anteriore ad essa. All'inizio del secolo XVI fu rimessa in uso in parecchie chiese di Toledo, dove è ancor oggi celebrata.
Questi prefazi, spesso più lunghi dei prefazi romani, sono anche più numerosi. Quello che ora leggeremo si usa il giorno stesso in cui vien letto il Vangelo del cieco-nato.
E' cosa buona e giusta rendere grazie
a Te Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,
per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore.
Egli è colui che ha messo in fuga le tenebre
con la luce della fede;
ha trasformato gli schiavi della legge
in figli della grazia.
Egli è venuto nel mondo per il giudizio,
affinché i ciechi vedano
e quelli che vedono diventino ciechi.
Gli umili riconoscono di essere immersi nelle tenebre dell'errore,
e ricevono la luce eterna che li libera dall'oscurità.
I superbi hanno preteso di possedere in sé la luce della giustizia,
e sono giustamente immersi nelle tenebre;
nell'orgoglio erano sicuri della loro giustizia
e non hanno cercato il medico che li poteva guarire.
Avrebbero potuto andare al Padre,
per mezzo di Gesù che ha detto di essere la porta;
ma si sono valsi sfrontatamente dei loro meriti,
e restano nel loro accecamento.
Perciò noi, nell'umiltà, veniamo a Te, Padre santo,
e senza presumere dei nostri meriti,
dinanzi al tuo altare,
apriamo la nostra ferita,
riconosciamo le tenebre del nostro peccato,
sveliamo il male nascosto nella nostra coscienza.
Te ne preghiamo, fa che troviamo
alla ferita un rimedio,
nelle tenebre la luce eterna,
nell'anima il candore dell'innocenza.
Con tutto il nostro desiderio
vogliamo vedere il tuo Volto,
ma la nostra cecità celo impedisce.
Bramiamo vedere il cielo
e non possiamo, perché siamo nell'oscurità del nostro peccato...
Vieni dunque a noi, Gesù, mentre preghiamo nel tuo tempio
e aiutaci in questo giorno,
tu che non hai tenuto conto del sabato per operare prodigi.
Ecco, davanti alla gloria del tuo nome,
noi apriamo le nostre ferite:
metti un rimedio al nostro male.
Aiutaci, come hai promesso a coloro che ti pregano:
tu che ci hai tratti dal nulla.
Prepara l'unguento,
e applicalo sugli occhi del cuore e del corpo,
così non vacilleremo più come ciechi nelle tenebre.
Ecco, versiamo lacrime ai tuoi piedi,
non respingerei
poiché ci siamo umiliati.
Noi non ci allontaniamo dai tuoi passi,
Gesù buono, che, in umiltà, sei venuto sulla terra.
Ascolta la nostra preghiera,
sradica il peccato che ci rende ciechi:
potremo così contemplare la gloria del tuo volto
e lodarti nella pace della beatitudine eterna.
* Praefatio - Dom. II in Quadragesima - P.L. 85, 322 B - 323 A.
D2 IL TEMPIO DI DIO SIA BELLO IN OGNI SUA PIETRA
San Leone Magno *
San Leone fu eletto papa nel 440 e morì nel 461. Sotto il suo pontificato, si manifestarono delle divergenze fra Oriente e Occidente, ma egli seppe far riconoscere da tutti l'autorità della Sede Romana. L'opera letteraria di San Leone si compone di lettere e di una serie di sermoni, in cui questo pastore insegna, con rara efficacia di espressione, la dottrina cristologica tradizionale.
Fra tutti i giorni dell'anno che la devozione cristiana onora in vari modi, non ve n'é uno, che superi per importanza la festa di Pasqua, perché, nella Chiesa di Dio, questa rende sacre tutte le altre solennità. Anche la nascita del Signore è orientata verso questo mistero: il Figlio di Dio non ebbe altra ragione di nascere, che quella di essere inchiodato alla croce. Nel grembo della Vergine, infatti, egli prese carne mortale; in questa carne mortale fu realizzato interamente il disegno della passione; e così avvenne che, per un piano ineffabile della misericordia di Dio, questa diventasse per noi sacrificio redento re, abolizione del peccato e inizio di risurrezione alla vita eterna.
Ora, se consideriamo ciò che l'universo ha ricevuto dalla croce del Signore, noi riconosceremo che, per celebrare il giorno di Pasqua, è giusto prepararci con un digiuno di quaranta giorni, per poter partecipare degnamente ai divini misteri.
Non solo i vescovi, i sacerdoti e i diaconi devono purificarsi da tutte le macchie, ma l'intero corpo della Chiesa e tutti quanti i fedeli: perché il Tempio di Dio, che ha come base il suo stesso fondatore, deve essere bello in tutte le sue pietre e luminoso in ogni sua parte... Certamente non si può intraprendere, né terminare la purificazione di questo tempio senza il suo costrutto re, tuttavia colui che lo ha edificato gli ha dato anche la capacità di trovare il proprio perfezionamento con la propria opera. Infatti per la costruzione di questo tempio è stato usato materiale vivo e dotato di ragione, che lo Spirito della grazia incita a cementarsi spontaneamente in un unico blocco. Questo materiale è stato amato e ricercato da Dio perché imparasse a cercare e ad amare, lui che non sapeva né cercare né amare, come dice l'apostolo Giovanni: Noi perciò amiamoci, poiché Dio per primo ci ha amati (I Gv. 4, 19).
Dunque, poiché tutti i fedeli, nel loro insieme, e ciascuno in particolare, sono un solo e identico tempio di Dio, è necessario che questo sia perfetto in ciascuno, come deve essere perfetto nel suo insieme. E anche se la bellezza non è uguale in tutte le membra, né i meriti sono identici in una così grande varietà di parti, il legame della carità crea tuttavia la comunione nella bellezza. Coloro che sono uniti da un amore santo, anche se non partecipano ai medesimi doni di grazia, si allietano tuttavia reciprocamente dei loro beni; ciò che essi amano non può essere loro estraneo, perché trovare la gioia nel progresso degli altri è un modo per accrescere la ricchezza del proprio essere.
* Sermo XLVIII, 1 - P.L. 54, 298 A - 299 A.
D3 IMPEGNO DI AMORE E DI GENEROSITÀ
Papa Giovanni XXIII *
Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963) viene preparato da una lunga successione di responsabilità a salire sulla cattedra di san Pietro come successore di Pio XII. Anche quest'ultima missione affidatagli da Dio è illuminata e vivificata da quel motto «Oboedientia et pax» che è stato il programma di tutta la sua vita.
Eccoci ora alla Quaresima. Ecco dunque il tempo accettevole - scriveva san Paolo ai Corinti - ecco il giorno della salute (2 Cor. 6, 2) per condurre a più immediata attuazione .Ia legge dell'amore: di un amore, che ha come principio e fine ultimo il Creatore e Legislatore dell'universo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (2 Coro 1,3); di un amore che per edificare gli uomini vuoi dare ad essi la conoscenza di quelle verità che rischiarano il cammino, dissipano i dubbi, vincono ogni debolezza; di un amore che si offre in esempio di austerità di costume, di gaudio sereno, di armoniosa convivenza domestica e sociale. Questo vuoi essere la Quaresima..., questo vuoi essere altresì il punto più alto, cui si volge l'attenzione di ogni uomo, sul quale batte il raggio della prima e massima verità rivelata, e al tempo stesso accessibile alla ragione umana; la verità che attraversa i secoli, e tutto illumina ed accende: Deus est: Dio è: Ego sum qui sum (Es. 3,14). A lui la gloria e l'amore...
Vogliamo, diletti figli, anzitutto esortarvi ad approfittare della Quaresima con l'applicarvi al gravissimo dovere della istruzione religiosa, e per dare alla penitenza vera ed efficace il posto che le compete, secondo la vocazione e le condizioni di ciasouno. Studio e meditazione delle verità eterne, che Dio ha voluto comunicare all'uomo nobilitandone l'intelligenza, ed aprendogli allo sguardo l'orizzonte infinito del suo disegno di salvezza e di amore...
Con l'istituzione della Quaresima, la Chiesa non conduce i suoi figli a semplice esercizio di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di generosità per il bene dei fratelli, alla luce dell'antico insegnamento dei profeti: Non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell'empietà - ammonisce Isaia - manda liberi gli oppressi e rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all'affamato e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi; se vedi un ignudo, ricopri/o e non disprezzare la tua propria carne. Allora la tua luce spunterà come li mattino e la tua salvezza germoglierà presto, la tua giustizia camminerà innanzi a te, e la gloria del Signore ti accoglierà (Is. 58, 6-8). Questa è la Quaresima. Questo l'esercizio della vera penitenza, ed è quanto il Signore attende da tutti, nel tempo accettevole di grazia e di perdono. O Signore Gesù! che sul limitare della vostra vita pubblica vi ritiraste nel deserto, vogliate attrarre tutti gli uomini al raccoglimento che è inizio di conversione e di salute... voi voleste provare la solitudine, il sonno, la fame; e al tentato re che vi proponeva la prova dei miracoli, voi rispondeste con la fermezza della eterna parola, che è prodigio di grazia celeste.
Tempo di Quaresima. O Signore! non permettete che accorriamo alle fontane dissipate, né che imitiamo il servo infedele, la vergine stolta; non permettete che il godimento dei beni della terra renda insensibile il nostro cuore al lamento dei pover,i, deg.li ammalati, dei bimbi orfani, degli innumerevoli fratelli nostri che tuttora mancano del minimo necessario per mangiare, per ricoprire le ignude membra, per radunare la famiglia sotto un solo tetto. Le acque del Giordano scesero anche su di voi, o Gesù, sotto lo sguardo della folla, ma ben pochi allora poterono riconoscervi: e questo mistero di ritardata fede, o di indifferenza, prolungatosi nei secoli, resta motivo di dolore per quanti vi amano ed hanno ricevuto la missione di farvi conoscere al mondo. Concedete ai successori degli apostoli e dei discepoli e a quanti prendono nome da voi e dalla vostra croce, di portare innanzi l'opera della evangelizzazione, di sostenerla con la preghiera, con la sofferenza, con !'intima fedeltà al vostro volere. E come voi, agnello di innocenza, vi presentaste a Giovanni in atteggiamento di peccatore, attraete anche noi, Gesù, alle acque del Giordano. Là, vogliamo accorrere per confessare i nostri peccati e purificare le nostre anime.
* Radiomessaggio per il giorno delle Ceneri - L'Osservatore Romano - 1 marzo 1963 - p. 1.
Giovanni Papini *
Giovanni Papini (Firenze 1881-1956) è poeta e scrittore. Temperamento paradossale, esuberante e battagliero, contribuisce largamente a rinnovare la letteratura e il pensiero italiano. Dopo essere passato attraverso le più disparate esperienze intellettuali e morali, il suo spirito - in perpetua ricerca - trova finalmente la via della luce. Ed è proprio la "Storia di Cristo» - che si chiude con la preghiera che stiamo per leggere, vivificata dal suo caratteristico stile veemente e lirico - l'opera che rivelerà inequivocabilmente la conversione del Papini al cattolicesimo.
Appena uscito dall'acqua Gesù va nel deserto: dalla moltitudine alla solitudine. Era stato fin allora tra l'acqua e i campi della Galilea e sulle sponde appratite del Giordano - ora va sui monti sassosi, dove fonte non nasce, dove grano non spiga, ma crescono soltanto rettili e rogaie. Era stato fin allora tra i braccianti di Nazaret, tra i penitenti di Giovanni - ora va sui monti solitari, dove non si vedono facce né si odono voci umane. L'uomo nuovo mette fra sé e loro il deserto. Chi disse: guai al solo! non misurò che la propria paura. La società è un sacrificio, tanto più meritorio quanto più ripugnante. La solitudine, per quelli di ricca anima, è premio e non espiazione. Un'antivigilia di bene certo, una creazione della bellezza interna, un libero riconciliarsi con tutti gli assenti. Soltanto nella solitudine viviamo coi nostri pari: con quelli che trovarono, soli, i magnanimi pensieri che ci consolano d'ogni altro bene lasciato. Non può sopportare la solitudine il mediocre, il piccolo. Chi non ha da offrire. Chi ha spavento di sé e del suo vuoto. Chi è condannato all'eterna solitudine del proprio spirito, desolato deserto interiore dove non crescono che l'erbe velenose de' luoghi incolti. Chi è irrequieto, annoiato, avvilito quando non può dimenticarsi negli altri, stordirsi nell'altrui parole, illudersi vivo nella vita fittizia di quelli che s'illudono in lui al pari di lui...
Gesù è stato fra gli uomini e tornerà fra gli uomini perché li ama. Ma spesso si nasconderà per star solo, lontano dai discepoli. Per amare gli uomini bisogna di tanto intanto abbandonarli. Lontani da loro ci riaccostiamo. Il piccolo ricorda soltanto il male che gli hanno fatto; la sua notte è agitata dal rancore e la sua bocca attossicata dall'ira. Il grande non rammenta che il bene e in grazia di quel poco bene si scorda del tanto male che ha ricevuto. Anche ciò che non fu perdonato sull'atto si cancella dal cuore. E ritorna fra i fratelli coll'amore della prima volta. Per Gesù questi quaranta giorni di solitudine sono l'ultima preparazione. Per quarant'anni il popolo ebreo - figurazione profetica del Cristo - dovette errare pel deserto prima di entrare nel regno promesso da Dio; per quaranta giorni Mosè dovette rimanere presso Iddio ad ascoltare l'e sue leggi; per quaranta giorni dovette camminare Elia nel deserto per sfuggire la vendetta della cattiva regina. Anche il nuovo liberatore, deve attendere quaranta giorni prima di annunziare il regno promesso e rimaner con Dio. Quaranta giorni per riceverne le supreme ispirazioni.
* Storia di Cristo, Vallecchi Editore, Firenze 1961 - pp. 68-70.
D5 LA REMISSIONE DEI PECCATI SPETTA INSIEME A CRISTO E ALLA CHIESA
Isacco della Stella *
Isacco della Stella nacque in Gran Bretagna. Teologo e filosofo, è uno scrittore spirituale cistercense di prim'ordine. Andò a studiare in Francia con i più celebri maestri della sua epoca. In seguito entrò nell'abbazia della Stella nel Poitou e ne divenne Abate nel 1147. Circa vent'anni dopo, a capo di un piccolo gruppo, stabilì la vita monastica nell'isola di Re, allargo di La Rochelle. Nei suoi sermoni, Isacco unisce armoniosamente la sostanza teologica della tradizione patristica, le nuove esigenze di un rigoroso approfondimento intellettuale e la sensibilità umana caratteristica della scuola cistercense del XII secolo.
Due cose sono riservate esclusivamente a Dio: l'onore della confessione e il potere della remissione. A lui noi dobbiamo fare la nostra confessione, da lui dobbiamo aspettare la remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati, e perciò solo a lui dobbiamo confessarli. Ma l'Onnipotente ha voluto prendersi una sposa piena di difetti, l'Altissimo si è preso una sposa di bassa condizione: di una serva ha fatto una regina, e colei che stava umilmente ai suoi piedi, l'ha posta al suo fianco. Dal suo fianco infatti è uscita la Chiesa: è lì che Cristo l'ha fidanzata a sé. E come tutto ciò che appartiene al Padre appartiene al Figlio,e tutto ciò che appartiene al Figlio appartiene al Padre, poiché per natura essi sono uno, così lo sposo ha dato alla sposa tutti i suoi beni, e ha voluto condividere tutto ciò che era della sposa, rendendola una cosa sola con se stesso e col Padre. «Voglio - dice il Figlio al Padre nella sua preghiera per la sposa - che come io e tu siamo uno, così essi siano uno con noi» (cfr. Gv. 17, 21).
Lo sposo dunque, che è uno col Padre e uno con la sposa, ha distrutto in lei tutto ciò che vi ha trovato di estraneo, inchiodandolo alla croce: ha portato i peccati di lei sul legno e attraverso il legno li ha annullati. Quello che è proprio alla natura della sposa, lo ha assunto e rivestito, quello che appartiene alla sua natura divina, ce lo ha dato in dono: ha infatti distrutto il diabolico, ha assunto l'umano, ha donato il divino, così che tutto ciò che è della sposa è anche dello sposo. Colui che non ha commesso peccato e nella cui bocca non troviamo inganno (cfr. 1. Piet. 2, 22), può ben dire allora: Pietà di me, Signore, sono sfinito, guarisci la mia anima, perché ho peccato contro di te (Sal. 6, 3; 40, 5). Condivide così non solo ,la debolezza, ma anche il pianto: tutto è comune allo sposo e alla sposa, l'onore della confessione e il potere della remissione. Per questo il Signore dice: Va', presentati al sacerdote (Mt. 8,4)...
La Chiesa dunque non può rimettere nulla senza Cristo, e Cristo non vuole rimettere nulla senza la Chiesa. La Chiesa non può rimettere nulla se non a chi è pentito, se non cioè a colui che Cristo ha prima toccato con la sua grazia. Cristo non vuole concedere il suo perdono a chi disprezza la Chiesa. Il Cristo onnipotente può tutto da se stesso: battezzare, consacrare l'Eucaristia, conferire gli ordini, rimettere i peccati, tutto insomma. Ma, sposo umile e fedele, non vuole fare nulla senza la sposa. Dunque, quello che Dio ha unito, l'uomo non lo separi (Ml. 19, 6). Questo mistero è grande: lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa (Ef. 5,32)... Bada di non separare il capo dal corpo; non impedire che Cristo esista tutto intero. Perché Cristo non è mai intero senza la Chiesa, e la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale, il Cristo perfetto, è capo e corpo insieme. Per questo Gesù dice: Nessuno è mai salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv. 3,13). E' soltanto quest'uomo che può rimetterei peccati.
* Sermo XI, 8-14 - Sources chrétiennes 130, I - pp. 240-246.
D6 LA PENITENZA NEL NUOVO TESTAMENTO
Paolo VI *
Cristo, che nella sua vita fece sempre ciò che insegnò, prima di dare inizio al suo ministero, trascorse quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno. Inaugurò poi la sua missione pubblica con un messaggio colmo di gioia: Il regno di Dio è vicino; ma aggiunse subito il comando: Fate penitenza e credete al Vangelo (Mc. 1,15). Si può dire che queste parole sono come il compendio di tutta la vita cristiana.
Non si può accedere al regno di Cristo se non per mezzo della metànoia, cioè attraverso quell'intimo e totale cambiamento e rinnovamento dell'uomo, dei suoi pensieri, giudizi, modi di vivere. Questo rinnovamento si attua nell'uomo alla luce della santità 'e dell'amore di Dio, che negli ultimi tempi si sono manifestate e comunicate a noi in pienezza nel Figlio.
L'invito del Figlio di Dio alla metànoia ci stimola in modo più incalzante, in quanto egli non solo ce la predica, ma ce ne offre l'esempio in se stesso. Cristo infatti è modello supremo per coloro che fanno penitenza, lui che volle portare la pena non per il suo peccato, ma per quello degli altri.
Dinanzi a Cristo, l'uomo viene illuminato da una luce nuova e, riconoscendo la santità di Dio, prende coscienza della gravità del peccato. La parola di Cristo gli trasmette il messaggio che invita a ritornare a Dio, e gli concede il perdono dei peccati. L'uomo riceve in pienezza questi doni nel battesimo, che lo configura alla passione, alla morte e alla risurrezione del Signore. Tutta la vita del battezzato si pone così sotto il sigillo di questo mistero.
Dunque ogni cristiano, seguendo il Maestro, deve rinnegare se stesso, prendere la sua croce e partecipare alle sofferenze di Cristo. Trasformato così ad immagine della sua morte, è reso capace di meritare la gloria della risurrezione. Sempre al seguito del Maestro, deve vivere non più per sé, ma per Dio che lo ha amato e ha dato se stesso per lui; deve vivere anche per ,i suoi fratelli «per completare nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa» (Cfr. Col. I, 24).
Inoltre, poiché la Chiesa è legata a Cristo con un vincolo strettissimo, la penitenza del singolo cristiano ha un suo intimo rapporto con tutta la comunità ecclesiale. Infatti non solo per mezzo del battesimo egli riceve nella Chiesa il dono fondamentale della metànoia, ma sempre nella Chiesa, questo dono viene rinnovato e rafforzato, per mezzo del sacramento della penitenza, in quelle membra del corpo di Cristo che sono cadute in peccato. «Coloro che si accostano al sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono dell'offesa che gli hanno fatto e, nello stesso tempo, si riconciliano con la Chiesa che è stata ferita dal loro peccato e che coopera alla loro conversione con l'amore, l'esempio e la preghiera» (Cfr. Lumen Gentium, n. 11). E' nella Chiesa infine che la piccola opera penitenziale, imposta ad ognuno nel sacramento, viene resa partecipe in modo speciale dell'infinita espiazione di Cristo. Il penitente poi, per una disposizione generale della Chiesa, può intimamente unire alla soddisfazione sacramentale tutto ciò che fa, soffre e sopporta. Così, il dovere di portare sempre la morte del Signore nel corpo e nell'anima, investe in ogni momento e in ogni aspetto tutta la vita del cristiano.
* Constitutio Apostolica "Paenitemini» - A.A.S. LVIII, 1966 pp. 179-180.
Giulio Bevilacqua *
Padre Bevilacqua, il «parroco-cardinale» nacque nel Veronese nel 1881. Si laureò a Lovanio con una tesi di carattere sociologico. Filippino nel 1906 e sacerdote due anni dopo, fu pensatore, scrittore e predicatore profondo e apprezzatissimo. Parroco in tempo di pace e cappellano durante la guerra, può veramente essere chiamato un «umanista cristiano» nel senso più pieno dell'espressione. Quando, a 84 anni, fu fatto cardinale e accettò questa dignità a patto di poter rimanere semplice parroco di periferia, si comprese che era uno degli uomini delle nuove frontiere della Chiesa, che davvero aveva saputo mantenersi sempre giovane. Morì povero fra i poveri il 6 maggio 1965, concludendo la sua splendida testimonianza di vita evangelica.
Tutta la creazione deve percorrere un immenso ciclo che parte da Dio e torna a Dio. In senso infinitesimale e analogico, ogni creatura umile e sovrana può ripetere la parola di Gesù: Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo e torno al Padre (Gv. 16, 28). La vita totale non è che questo immenso pellegrinaggio di stelle e di atomi, di spiriti e di corpi che, partiti da Dio, tornano a vivere o a morire, ai piedi o sul cuore di Dio. Ma nel cammino l'uomo si è improvvisamente arrestato. Per gelosia, per orgoglio. La grandezza da cui l'uomo usciva gli sembrava schiacciante. Per fame e sete di esperienze nuove, il sentiero incerto gli parve più dolce del grande cammino. L'uomo nel moto universale delle creature sentì allargarsi i confini del proprio io, sentì vicina la realizzazione del miraggio: sarai come Dio! Diffidente di fronte al comando di Dio, fu credulo alle promesse di tutte le insufficienze moltiplicate che gli garantivano paradisi terrestri tra i corpi e le cose. Corridore distratto, dimenticò che la gloria è all'ultima tappa e si familiarizzò con le tappe intermedie.
Allora venne l'espiazione per ricordare all'uomo che ogni precetto di Dio è sotto pena di morte perché ogni precetto di Dio è legge di vita. Ogni ora portò all'uomo un tormento, ogni sforzo una delusione, ogni stagione una decadenza, ogni promessa una smentita. Come il soldato e che per viltà tronca la marcia e si distende sul ciglio della via, l'uomo, dopo la prima ebbrezza, si sentì solo... Prima della sosta, il cammino di andata-ritorno da Dio a Dio era dolce e luminoso come il cammino degli astri e lo svolgersi delle stagioni. Dopo l'arresto non è più così; la ripresa della marcia, nell'ordine universale, suppone un cumulo di energie, di capacità eccedenti ogni disponibilità umana. D'altra parte il ponte era spezzato tra l'uomo e Dio. L'uomo, in piena luce aveva rifiutato a Dio la dignità di bene unico e sovrano. Questo bene infinito e calpestato esigeva una riparazione di un valore infinito. Il Cristo poteva rappresentare in pieno questa umanità ribelle; ed il suo gesto di dolore e di amore sterminato, partendo dalla sua personalità divina, poteva riallacciare l'umanità a Dio... Così la pietà divina diede il Figlio per redimere il mondo. Il Signore della gioia si fece l'uomo del dolore ed assunse sopra di sé la gigantesca fatica di ricondurre l'uomo al suo Dio, attraversando un oceano di sofferenze dovute a noi dalla logica pesante e serrata della colpa come dalla logica alta e profonda della giustizia.
* L'uomo che conosce il soffrire - Ed. Studium; Roma 1940 pp. 57-59.
D 16 PREPARIAMOCI AL PERDONO VICENDEVOLE
San Leone Magno *
San Leone fu eletto papa nel 440 e morì nel 461. Durante il suo pontificato, malgrado si manifestassero delle divergenze fra l'Oriente e l'Occidente, egli seppe tuttavia far riconoscere da tutti l'autorità della Sede di Roma. L'opera letteraria di San Leone si compone di lettere e di una serie di sermoni nei quali questo pastore insegna, con rara facilità d'espressione, la tradizionale dottrina cristologica.
Il Signore ha detto: lo non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt. 9, 13). A nessun cristiano è dunque permesso di odiare il suo prossimo. Nessuno può salvarsi se non mediante il perdono dei peccati; e noi non conosciamo il momento in cui lo Spirito Santo può dare la sua grazia in premio a coloro che la saggezza del mondo disprezza. Sia dunque il popolo di Dio santo e buono: santo, al fine di tenersi lontano da ciò che è proibito; buono, per agire secondo i comandamenti. Per quanto grande sia avere una fede retta ed una dottrina sana, e per quanto degne di lode siano la sobrietà, la dolcezza e la purezza, tuttavia tutte queste virtù sono vane senza la carità. Né si può dire che una condotta esemplare sia feconda, se non è determinata dall'amore.
I credenti facciano dunque l'esame critico della particolare disposizione del proprio animo ed esaminino attentamente i sentimenti più intimi del loro cuore. Se trovano nel fondo della propria coscienza qualche frutto della carità, non dubitino che Dio è in loro. E, per divenire sempre più capaci di accogliere un ospite così grande, cerchino di perseverare e di crescere nella misericordia, compiendo buone azioni. Se infatti l'amore è Dio, la carità non deve conoscere nessun limite, poiché nessun confine può racchiudere e limitare la divinità.
E' quindi vero, fratelli, che tutti i tempi sono adatti per tradurre in atto questo bene della carità, e proprio ad essa ci esortano in modo particolare i giorni che viviamo. Coloro che desiderano accogliere la Pasqua del Signore santi nello spirito e nella carne, devono sforzarsi, prima di ogni altra cosa, di acquistare questa grazia, la quale asso ml in sé tutte le virtù e copre un gran numero di peccati (1 Pietro 4, 8).
Prossimi dunque a celebrare il più grande di tutti i misteri, quello in cui il sangue di Gesù Cristo ha cancellato le nostre iniquità, prepariamo prima di tutto il sacrificio della misericordia. Ciò che la bontà di Dio ci ha dato, noi lo ricambieremo a coloro che ci hanno offeso. Siano dunque le ingiustizie gettate nell'oblìo, gli sbagli non conoscano mai le torture, e tutte le offese siano liberate del timore della vendetta! Nessuno sia più tenuto rinchiuso nelle prigioni e le tetre segrete non odano più i tristi gemiti degli imputati! Qualora qualcuno dovesse detenere dei prigionieri a causa di un qualsiasi crimine, sappia questi e anch'egli è un peccatore e che, per ottenere il perdono. li deve rallegrarsi di aver trovato a chi perdonare. Così quando noi diremo, secondo l'insegnamento del Signore: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt. 6, 12), nel formulare la nostra preghiera, non dubiteremo d'ottenere il perdono di Dio.
Noi dobbiamo pure mostrare una bontà più generosa verso i poveri e coloro che soffrono per diverse miserie, affinché voci più numerose possano rendere grazie a Dio e i nostri digiuni contribuiscano al conforto di coloro che sono il bisogno. Nessun sacrificio dei credenti è più gradito al Signore di quello di cui beneficiano i suoi poveri: là dove o trova la preoccupazione della misericordia, ivi egli riconosce l'immagine della sua bontà.
* Sermone 48, 2-5; PL 54, 299-300.
D17 IL SEGRETO DELLA PACE INTERIORE
San Bernardo *
San Bernardo (1090-1153) si fece monaco a Citeaux e, tre anni più tardi, divenne il primo abate di Chiaravalle. I doni della natura e della grazia hanno dotato questo letterato, questo teologo e questo mistico di un fascino particolarissimo. La sua opera resta ancor oggi di vasta portata. Nei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici, egli dà libero sfogo, con arte consumata, al frutto di una lunga esperienza spirituale.
Colui che procede guidato dallo Spirito Santo non rimane costantemente nel medesimo stato e non sempre progredisce con la stessa facilità. Il cammino dell'uomo non appartiene all'uomo ma dipende dall'iniziativa dello Spirito Santo, sua guida, che a suo piaci mento gli concede di dimenticare ciò che è passato e di andare avanti, ora con lentezza, ora con slancio. Penso che, se fate attenzione, la vostra esperienza interiore confermerà quanto sto per dire.
Se ti senti preda del torpore dell'angoscia o del disgusto, non devi malgrado ciò perdere la fiducia, né devi abbandonare il piano studiato per la tua vita spirituale. Piuttosto devi cercare la mano di colui che è il tuo aiuto. Imploralo che ti attiri a sé (cf. Canto 1, 3), fino al momento in cui, attratto dalla grazia, tu non ritrovi la rapidità e la gioia della tua corsa. Allora potrai dire: Correrò per la via dei tuoi comandi; se mi allarghi il cuore (Sal. 118, 32). Fino a che là è la grazia, rallegratene; ma non devi credere di possedere questo dono di Dio per diritto ereditario, come se ti fosse stata data l'assicurazione di non doverlo perdere mai. Altrimenti, solo che Dio allontani un po' la sua mano e ritiri il suo dono, perderai il coraggio e cadrai in una tristezza eccessiva. Quand'anche fossi appagato, non esclam1:lre: Nulla mai mi farà vacillare, per non dover poi dire nel pianto il seguito del salmo: Tu hai distolto da me il tuo volto, e sono sprofondato (Sal. 29, 7-8). Piuttosto, se sei saggio, dovrai farti premura di seguire il consiglio della Sapienza. Nel tempo della sventura, non dimenticare i momenti di felicità, e nel tempo della prosperità non dimenticare i giorni di sfortuna (cf. Ecclesiastico 11, 27).
Così, il giorno in cui ti senti forte, non adagiarti in uno stato di sicurezza, ma grida verso Dio col profeta: Quando le forze mi verranno meno, non mi abbandonare (Sal. 70, 9). Nel momento della prova, ripeti a te stesso per prendere coraggio: Attirami dietro a te, Signore; corriamo all'aroma dei tuoi profumi (Cant. 1, 3). Così la speranza non ti verrà meno nel momento della sventura, né la prudenza nel giorno della gioia. Nel bel mezzo dei successi e dei fallimenti di questi tempi instabili, la tua anima conserverà, ad immagine dell'eternità, un costante equilibrio. Tu benedirai il Signore in tutti i tempi e così al centro di un mondo vacillante, tu troverai la pace, una pace per così dire incrollabile; comincerai a rinnovarti ed a riformarti a immagine e somiglianza di un Dio la cui serenità dura in eterno.
* Sermone 21 sul Cantico, 4-6. Testo latino in J. Leclerq «S. Bernardi Opera»; vol. 1. Edit. Cister. Roma, 1957 - pp. 124-125.
D18 LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI
San Francesco di Sales *
Francesco di Sales (1567-1622) manifestò fin da giovanissimo i segni della propria vocazione all'apostolato sacerdotale. Fattosi sacerdote dopo di aver frequentato gli studi a Parigi e a Padova, dapprima viene nominato parroco della Chiesa di Ginevra, e si dedica all'evangelizzazione degli abitanti del Chiablese onde ricondurli al cattolicesimo. Nel 1602, viene eletto vescovo di Ginevra, ed è proprio sotto la sua direzione che Santa Giovanna di Chantal fondò la Visitazione. Dolcezza, affabilità, carità ed una delicata bonomia, caratterizzano tutta la sua vita ed i suoi scritti, nascondendo, al tempo stesso, un temperamento bollente che nell'abbandono totale alla grazia di Dio ha saputo trovare il proprio equilibrio e la propria pace.
Fra gli usi che dovremmo saper fare della dolcezza, il migliore è quello di applicarla a noi stessi, senza provare mai risentimento né contro di noi, né contro le nostre imperfezioni. Infatti, anche se la ragione vuole che, una volta compiuto un errore, ne siamo contristati e pentiti, tuttavia è necessario non indulgere ad un dispiacere arido ed amaro, stizzoso e collerico. Ne consegue che commettono un grande errore tutti coloro che, dopo la collera, si irritano per essersi irritati, si affliggono della loro stessa afflizione, si stizziscono della propria stizza. In questo modo tengono continuamente il loro cuore immerso ad ammollire nella collera; con la conseguenza che la seconda collera altera la prima, sì da servire di avviamento e di passaggio ad un'altra ancora, alla prima occasione che si dovesse presentare. Senza parlare, poi, del fatto che tali risentimenti, collere, stizze, che proviamo contro noi stessi, tendono all'orgoglio, e la loro origine non è nient'altro che l'amore di sé, amore che si turba e si preoccupa della nostra imperfezione.
Il dispiacere che proviamo per le nostre mancanze deve dunque essere pacato, calmo e fermo... Noi possiamo correggerci più con pentimenti sereni e costanti, che non mediante pentimenti pieni di acrimonia, affrettati e collerici; tanto più che tali pentimenti, fatti con impeto, non sono conseguenza diretta della gravità della nostra colpa, bensì delle nostre inclinazioni. Per esempio, colui che predilige la castità, mentre proverà risentimento ed acredine sproporzionati alla mancanza che commetterà contro di essa, fosse anche minima, non farà, invece, che sorridere di una grossolana maldicenza da lui provocata e sostenuta. AI contrario, colui che odia la maldicenza, si tormenterà di essersi reso colpevole di una mormorazione leggera, e non terrà assolutamente conto di una grave mancanza contro la castità, così come di altri errori. Tutto ciò è dovuto esclusivamente al fatto che essi non giudicano la loro coscienza secondo ragione, ma secondo passione.
Credetemi, come i rimproveri di un padre, fatti dolcemente e con amore hanno per la correzione del figlio un effetto ben maggiore delle collere e dello sdegno, così quando il nostro cuore commette qualche mancanza è da noi ripreso con rimproveri dolci e suadenti - mostrando nei suoi riguardi più compassione che passione e lo incorraggiamo ad emendarsi - il pentimento che se ne otterrà s'impossesserà maggiormente di esso e lo penetrerà più e meglio di quanto non possa fare un pentimento stizzoso, irritato e tempestoso...
Risollevate dunque il vostro cuore con dolcezza quando cadrà, umiliandovi profondamente davanti a Dio perché avete conosciuto la vostra miseria, senza però meravigliarvi in nessun modo della vostra caduta, in quanto non può destare stupore il vedere !'infermità inferma, la debolezza debole, la miseria meschina. Pertanto, detestate con tutte le vostre forze l'offesa da voi fatta a Dio e, con grande coraggio e fiducia nella sua misericordia, riprendete il cammino lungo la strada della virtù che avete abbandonato.
* Introduction à la vie dévote, 3" parte, cap. IX. Per facilitare la lettura, sono state apportate alcune modifiche di vocabolario
D19 RINNEGARE SE STESSI ED ACCOSTARSI DOLCEMENTE A DIO
Fénelon *
François de La Mothe-Fénelon nasce nel Périgord nel 1651. Nobile di carattere, dalla sensibilità molto delicata, riceve una formazione classica dai Gesuiti di Gahors. In seguito si prepara al sacerdozio a Parigi, a saint-Sulpice, dove impara la pedagogia dell'amore di Dio. Nel 1689 diviene istitutore del Duca di Borgogna. Verso quest'epoca incontra Mme. Guyon, la cui amicizia lo stabilisce più solidamente nel suo cammino interiore, compromettendolo però, in parte, nell'affare del quietismo. Nominato arcivescovo di Gambrai nel 1697, cadrà in disgrazia e verrà condannato da Roma. Si sottometterà e si dedicherà fino alla morte (1715) al ministero pastorale e alla predicazione. Le opere spirituali di Fénelon sono piene di puro amore di Dio verso cui ha indirizzato tutta la sua vita.
Il totale abbandono a Dio... è fonte di tranquillità e di serenità sia nei confronti del passato che dell'avvenire. Si abbia pure di noi stessi la peggiore considerazione possibile; ma ci si abbandoni ciecamente nelle braccia di Dio. La più perfetta penitenza consiste nel dimenticarsi, nel completo oblìo di noi stessi. La conversione, infatti, si realizza con la rinuncia di sé per occuparsi esclusivamente di Dio.
Questo dimenticarsi è il martirio dell'amor proprio. Preferiremmo contraddirci, condannarci, tormentare la nostra anima ed il nostro corpo, piuttosto che disinteressarci del nostro 'io'. Dimenticarsi significa annientare il proprio egoismo, non lasciandogli risorsa e scampo alcuni. Allora il nostro cuore si allarga; ci sentiamo sollevati dal peso di noi stessi, peso che ci opprimeva; e con stupore ci rendiamo conto di quanto retta e semplice fosse la via da seguire.
Credevamo che fossero necessari sforzo e tensione ininterrotti, unitamente ad un continuo rinnovarsi di azioni e di fatti. Ci rendiamo conto, invece, che poche sono le cose da fare; è infatti sufficiente, senza neppure troppo ragionare sul passato o sul futuro, guardare Dio con fiducia, come ad un padre che ci conduce nella realtà presente, come per mano. Se per una momentanea distrazione lo dovessimo perdere di vista, non indulgiamo in essa, ma rivolgiamoci a Dio, e comprenderemo quale sia la sua volontà. Se compiamo degli errori, cerchiamo di fare una penitenza che sia un dolore tutto d'amore. Rivolgiamoci a colui dal quale ci eravamo allontanati. Se il peccato sembra orribile, l'umiliazione le ne deriva, e per la quale Dio l'ha permesso, appare buona. Le riflessioni dell'orgoglio sui nostri errori personali, sono tanto amare, inquiete e penose, quanto raccolto, pacato e sostenuto dalla fiducia è il ritorno a Dio dell'anima dopo le sue mancanze.
Sentirete, per esperienza, come questo ritorno semplice sereno, faciliterà la vostra correzione più di tutti i risentimenti nei riguardi dei vostri difetti. Siate unicamente costanti nel rivolgervi a Dio con semplicità, dal momento stesso in cui vi rendete conto della vostra mancanza. C'è poco da cavillare con voi stessi; non è con voi che dovete prendere le vostre precauzioni. Quando vi lamentate per le vostre miserie, nel vostro modo di ragionare vi vedo soli le prese con voi stessi. Povero ragionamento, dove non è Dio!
Chi vi tenderà la mano per uscire dal fango? Ne uscirete forse da soli? Eppure siete voi che vi ci siete messi
e non potete uscirne! Anzi, il pantano siete voi in persona! La vera sostanza del vostro male è di non essere capaci di uscirne da soli. Sperate forse di liberarvi da questa condizione con le vostre sole forze, alimentandovi esclusivamente I voi e nutrendo la vostra sensibilità con la vista delle vostre debolezze? Con tutti questi espedienti, non fate alo che alimentare la commiserazione che provate per voi. la lo sguardo di Dio, anche il più piccolo, calmerà assai i più il vostro cuore torturato da queste eccessive atte noni per il vostro 'io'. Egli, con la sua presenza, fa sì che vi possiate liberare di voi, e questo è ciò che vi occorre. Uscite dunque da voi stessi, e sarete in pace. Ma in che modo? on dovete fare altro che rivolgervi a Dio ed accostarvi dolcemente a lui e, con costanza, formare a poco a poco l'abitudine a ricorrere a lui tutte le volte che vi rendete conto di esservi da lui stesso allontanati.
* Instructions et avis sur divers points de la morale et de la perfection chrétienne, XIV: in "Oeuvres de Fénelon», voI. XVIII. Lebel, Parigi 1823, pp. 264-267.
D20 L'ASCESI, UN MEZZO DA AMARE
Paolo Evdokimow *
Paolo Evdokimov è morto il 16 settembre 1970. Nato a Pietroburgo nel 1901, aveva iniziato gli studi di teologia a Kiev. La rivoluzione del 1917 lo costringe all'esilio e termina gli studi in Francia. Intellettuale di gran classe, dottore in filosofia ed in teologia, professore presso l'Istituto Saint-Serge, resta laico, ed è in qualità di laico, cosciente del sacerdozio comune dei fedeli, che mette al servizio della Chiesa una conoscenza profonda della tradizione ed un acuto senso dei segni del tempo e delle sue istanze. Già prima del 1940 è noto come pioniere dell'ecumenismo e, nel 1962, sarà inviato in qualità di 'osservatore' al Concilio Vaticano II. Le sue opere, segnatamente sulla teologia dello Spirito Santo, hanno stabilito la convergenza e l'accordo possibili fra le posizioni cattoliche e quelle ortodosse.
Le forme particolari dell'ascesi riflettono l'epoca che attua tale ascesi e si adattano alla sua mentalità. Nelle condizioni della vita moderna, sotto il peso del sovraffaticamento e dell'usura nervosa, la sensibilità si trasforma. La medicina protegge la vita e la prolunga, diminuendone al tempo stesso la resistenza alle sofferenze ed alle privazioni. L'ascesi cristiana non è mai stata fine a se stessa, è soltanto un mezzo, un metodo a servizio della vita, e come tale cercherà di assuefarsi alle nuove necessità.
Un tempo l'ascesi dei Padri del deserto imponeva digiuni e privazioni intense ed estenuanti; oggi la lotta si sposta. L'uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, catene, flagellazioni, rischierebbero di sfibrarlo inutilmente. La mortificazione del nostro tempo consisterà nella liberazione dal bisogno di stupefacenti: fretta, rumore, eccitanti, droga, alcoli di tutti i generi. L'ascesi consisterà più che altro nel riposo imposto, nella disciplina della quiete e del silenzio, dove l'uomo ritrova la facoltà di concentrarsi per la preghiera e la contemplazione, perfino in mezzo a tutti i rumori del mondo, nella metropolitana, fra la folla, ai crocicchi di una città; ma più di ogni altra cosa, l'ascesi consisterà nella facoltà di comprendere la presenza degli altri, gli amici di ciascun incontro. Il digiuno, all'opposto della macerazione inflitta, sarà la rinuncia gioiosa al superfluo, la sua spartizione con i poveri, un equilibrio sorridente, spontaneo, pacato. Al di là della ascesi fisica e psicologica del Medio Evo si dovrebbe ricercare l'ascesi escatologica tipica dei primi secoli, cioè quell'atto di fede che faceva dell'essere umano nella sua complessità l'attesa gioiosa della Parusia, l'attesa non tanto cronologica, quanto qualitativa, che sa discernere il termine ultimo ed unico; I quanto, secondo il Vangelo, il tempo è breve e «lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! ».
In questo modo, l'ascesi si trasforma in attenzione ai chiami del Vangelo, alla scala delle beatitudini; cercherà umiltà e la purezza del cuore, al fine di liberare il proprio prossimo e restituirlo a Dio. In un mondo affaticato, schiacciato dalle preoccupazioni e dagli affanni, che vive a ritmi 3mpre più frenetici, il compito è di trovare e vivere «l'iniziativa spirituale» che conduce a sedersi alla tavola dei pec3tori, a benedire ed a spezzare il pane insieme con loro...
Nessuna ascesi, priva dell'amore, avvicina a Dio: «Noi saremo giudicati per il male che abbiamo compiuto, ma soprattutto per il bene che abbiamo omesso e perché non amiamo il nostro prossimo», dice san Massimo.
Oggi l'ascesi nella vita spirituale protegge lo spirito dal dominio del mondo e raccomanda di «vincere il male creando il bene». Ne consegue che l'ascesi non rimane nient'altro che un mezzo, che una strategia. L'uomo può suscitare un'atmosfera morbosa, allucinante, in cui vede ovunque il male ed il peccato. Ora, l'ascesi evangelica trascina non tanto per eccesso di paura, quanto per eccesso d'amore traboccante di tenerezza cosmica. Santa Dorotea offre una bella immagine della salvezza sotto forma di un cerchio il cui centro è Dio e la cui circonferenza è formata a tutti gli uomini. Più ci si avvicina al centro - Dio - più i raggi del cerchio, il prossimo, si avvicinano gli uni agli altri. Sant'Isacco diceva al suo discepolo: «Ecco, fratello, un comandamento che ti affido: la misericordia trabocchi sempre dalla tua bilancia, fino al momento in cui sentirai in te tesso la misericordia che Dio prova per te e per il mondo».
* L'Orthodoxie, in «Unité chrétienne: Pages Documentaires», Lione, nov. 1970, pp. 34-35 e 41.
Dietrich Bonhoeffer *
Resistenza e sottomissione: il titolo dato alle lettere dalla prigionia di Dietrich Bonhoeffer scolpisce magistralmente l'uomo e l'opera. Resistenza alle correnti di idee ed agli avvenimenti scatenati da una società e da un potere politico in opposizione al Vangelo, ma sottomissione alla Verità del Vangelo e alla Parola che si rivela con discrezione e umiltà - nella vita quotidiana. Questo fu il costante orientamento spirituale dell'animatore della «Eglise confessante»di Germania, il quale fu impiccato il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenburg. Non aveva ancora quarant'anni. Pastore, licenziato in teologia, la sua riflessione etica e cristologica esercita oggi notevole influenza sul pensiero cristiano.
La grazia a buon mercato è nemica mortale della Chiesa; oggi, nella nostra lotta, si impone la grazia che costa...
La grazia facile è quella di cui disponiamo in proprio. E' la predicazione del perdono senza il pentimento, è il battesimo senza disciplina ecclesiastica, la Cena santa senza la confessione dei peccati, l'assoluzione senza confessione personale. La grazia a buon mercato è la grazia non avallata dall'obbedienza, la grazia senza la croce, la grazia che astrae da Gesù Cristo vivente e incarnato.
La grazia che costa è il tesoro nascosto nel campo: per esso, l'uomo va e vende a cuor contento tutto ciò che possiede; è la perla di gran prezzo: per acquistarla, il mercante si priva di tutti i suoi beni; è la regalità di Cristo: per essa, l'uomo si toglie l'occhio ch'è per lui occasione di caduta; è la chiamata di Gesù Cristo: intendendola, il discepolo abbandona le reti e lo segue.
La grazia che costa, è il Vangelo che incessantemente bisogna riconquistare, è il dono per cui bisogna pregare, e l'uscio al quale bisogna bussare.
Costa, perché richiama all'obbedienza; è grazia, perché richiama all'obbedienza a Gesù Cristo; costa perché, per l'uomo, è a prezzo della sua vita; è grazia perché, soltanto allora, fa all'uomo il dono della vita; costa, perché condanna i peccati, è grazia perché giustifica il peccatore. La grazia costa molto anzitutto perché è costata cara a Dio, perché ha costato a Dio la vita del Figlio - Voi siete stati ricomprati da Cristo a caro prezzo (1 Coro 6,20) -, perché ciò che costa caro a Dio non può essere a buon mercato per noi. E' grazia anche perché Dio non ha trovato che suo Figlio fosse troppo prezioso per la nostra vita, ma lo ha dato per noi. La grazia che costa è l'Incarnazione di Dio.
La grazia che costa, è la grazia in quanto santuario di Dio che dobbiamo protegger dal mondo, che non si ha il diritto di gettare ai cani; è del pari grazia in quanto Parola vivente, Parola di Dio che pronuncia Egli stesso, come gli piace. Questa parola ci invita come richiamo misericordioso a seguir Gesù sulla via dell'obbedienza, si presenta allo spirito angosciato e al cuore affranto come parola di perdono. La grazia costa molto, perché costringe l'uomo a sottomettersi al giogo dell'obbedienza a Gesù Cristo, ma è una grazia che Gesù dica: Il mio giogo è soave e il mio peso leggero (Mt. 11, 30).
* Le Prix de la Grace, Ed. Delachtux et Niestlé. Neuchatel 1967. pp. 11-13
D42 UNA CONVERSIONE È SEMPRE UNA NUOVA NASCITA
Alessandro Manzoni *
Alessandro Manzoni, dopo un breve periodo di sbandamento interiore, si convertì a 25 anni. Conversione già preparata da una ricerca profonda della verità. Da allora in poi la religione cristiana improntò costantemente la sua vita e la sua opera. Suo capolavoro è il romanzo «I promessi sposi». Questo libro, tra i più grandi della prosa italiana, dai personaggi plastici, che scaturiscono da una acuta analisi psicologica, è tutto penetrato da una profonda concezione cristiana della vita.
Appena introdotto l'Innominato, Federico gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a persona desiderata... I due stettero alquanto senza parlare e diversamente sospesi. L'Innominato, che era stato come portato lì per forza da un determinato disegno, d stava anche come per forza, straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall'altra parte una stizza, 'una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, né quasi ne cercava. Però, alzando gli occhi in viso a quell'uomo, si sentiva sempre più penetrare da un sentimento di venerazione imperioso insieme e soave, che, aumentando la fiducia, mitigava il dispetto, e senza prender l'orgoglio di fronte, l'abbatteva e, dirò così, gli imponeva silenzio.
La presenza di Federico era infatti di quelle che annunziano una superiorità e la fanno amare...
Tenne anche lui, qualche momento, fisso nell'aspetto dell'Innominato il suo sguardo penetrante ed esercitato da lungo tempo a ritrarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel fosco e a quel turbato, parendogli di scoprire sempre più qualcosa di conforme alla speranza da lui concepita al primo annunzio di una tal visita, tutto animato, «Oh! - disse - Che preziosa visita è questa!... Voi avete una buona nuova da darmi... ».
«Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual'è questa buona nuova che aspettate da un par mio».
«Che Dio v'ha toccato il cuore, e vuoi farvi suo», rispose pacatamente il cardinale.
«Dio! Dio! Dio! Se io vedessi! Se io sentissi! Dov'è queste Dio?».
«Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore che v'opprime, che vi agita, che non vi lascia stare e nelle stesso tempo vi attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?».
«O certo! Ho qui qualche cosa che mi opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c'è queste Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?».
Queste parole furono dette con un accento disperato; ma Federico, con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispese: «Cosa può fare Dio di voi? Cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua bontà: vuol cavare da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare... quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vita, ad accusare voi stesso, allora! allora Dio sarà glorificato! E voi domandate cosa Dio possa fare di voi?.. cosa possa fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore, di speranza, di pentimento?.. Cosa può Dio fare di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compiere in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di lui? Oh pensate! se io miserabile qual sono, mi struggo ora tanto della vostra salute... Oh pensate come vi ami, come vi veglia quello che mi comanda e mi ispira un amore per voi che mi divora!».
A misura che queste parole uscivano dal suo labbro, il volto, lo sguardo, ogni moto ne ispirava il senso. La faccia del suo ascoltatore, da stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si compose a una commozione più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia più non conoscevano le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furono cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto che fu come l'ultima e più chiara risposta.
* I promessi sposi - U. Hoepli editore - Milano 1906 - pp. 326-329.