PICCOLI GRANDI LIBRI   ESERCIZI SPIRITUALI   PIME ITALIA - MILANO

«Osiamo dire: Padre nostro»

«Lampada ai miei passi
è la tua Parola,
luce sul mio cammino»
(Sal 118,105)

«La Parola zittì chicchere mie» (Rebora)

Matteo: il Vangelo ecclesiale

Padre nostro

Il Nome

La Volontà

Il Perdono

Il Regno

Il Pane

Il Male

Amen

9. Il Male

Dalla lettera di San Paolo ai Romani.

«Del resto, noi sappiamo che, per quelli che amano Dio tutto concorre al bene per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito fra molti fratelli. Quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (8,28-30)

Allora

«Lodo la Parola di Dio
Lodo la Parola del Signore
In Dio confido, non avrò timore,
che cosa potrà farmi un uomo?
Hai preservato i miei piedi dalla caduta,
perché io cammini alla tua presenza
nella luce dei viventi, o Dio»
(Sal 55,11-12).

Faccia da composizione di luogo per questa nostra meditazione l’episodio delle tentazioni di Gesù che tutti e tre gli evangelisti sinottici: Matteo (4,1-11), Marco (1,12-13) e Luca (4,1-13), ci riportano. E’ indubbiamente una confidenza forte di Gesù. Luca vi aggiunge un particolare: «Il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato» (4,13).

Gesù è in croce: «Quelli che passavano di là, scrive Matteo, lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: "Tu, che distruggi il Tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso! Se tu sei il Figlio di Dio scendi dalla croce".

Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani facendosi beffe di lui dicevano: "Ha salvato altri, e non può salvare se stesso? E il re di Israele scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuole bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!". Anche i banditi crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo» (27,39-44).

E prima quella tentazione così subdola, proprio perché provocata dall’amico, dall’amicizia. Gesù parla della sua passione e Pietro gli dice: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Immediata la reazione di Gesù: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (16,22-23).

«In Cristo tu eri tentato - commenta Sant’Agostino - perché Cristo da te deriva la sua carne, da sé la salvezza per te; da te la morte per sé, da sé la vita per te; da te gli oltraggi, da sé il tuo onore: dunque da te la tentazione per sé, da sé la vittoria per te».

Il male: fisico o morale, personale o sociale cattivante alle volte.

«La donna osservò l’albero, i suoi frutti – il piacere, il potere, la fama – erano certo buoni da mangiare; era una delizia per gli occhi, era affascinante per avere quella conoscenza» (Gn 3,6). Altre volte drammatico, tragico, orrore.

Dov’era Dio quel 26 dicembre 2004, quando lo tsunami impazziva e distruggeva nelle coste del Bengala gli ultimi paradisi ricercati per vacanzieri di tutto il mondo? Dov’era Dio durante la guerra per l’indipendenza del Bangladesh nel 1971? Sono andato a cercare una lunga lettera scritta a mia mamma nel settembre ’71 e potuta spedire solo nel ’72.

Leggo le reazioni, le emozioni a caldo, in tempo reale, si dice oggi: «Mamma carissima, da giorni piove. Questi pigri e mutevoli fiumi orientali che attraversano in tutti i sensi il Bengala, ingrossatosi, sono usciti dai loro letti, hanno allagato per chilometri e chilometri la campagna. Le case di fango si siedono nell’acqua e si sfasciano; la piantagione del riso diventa impossibile; il riso già piantato marcisce; la gente senza lavoro non può guadagnarsi le poche rupie per il bazar giornaliero. Sente la fame, quella vera in corpo. Con pochi stracci bagnati addosso, pazientemente aspetta che anche questa piaga passi.

Prima il tifone, poi la guerra civile. Ora l’alluvione. "Non c’è via d’uscita se non la morte!", ti senti ripetere da tutti. Chiuso in casa, per muoverti occorre la barca, c’è finalmente tempo per raccogliere alcuni dei tanti pensieri, la meditazione continuamente ripetuta nello sforzo, non facile, di leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi.

Che cosa è successo? Una burrasca di quelle che sono in Oriente si possono vedere, è scoppiata. Ancora rumoreggia, lampeggia, carica di elettricità. Si sentiva, si sospettava, si attendeva anche qualcosa. Improvvisamente però ed esterrefatti ci siamo trovati davanti al potere delle tenebre in azione, ci siamo trovati persi in un atomo di male. Era notte. Notte di tradimento brutta e oscura, come quella del Vangelo.

"Quante volte, mamma,
ho aperto la porta e guardato fuori nell’oscurità.
Non riesco a vedere,
mi viene da dubitare che ci sia ancora una strada"
(Tagore).

Siamo ormai un’isola. Impossibile comunicare tra noi e con voi. Nella monotonia di questi giorni, nell’incertezza più assoluta, tutti ti chiedono: ki hobe? Che cosa capiterà? Mi ritorna dal profondo del cuore, da anni assopito, il canto dei giorni festivi e con il canto il ricordo del babbo, alto, solenne davanti all’altare della chiesa parrocchiale, beata visione di pace: Quoniam tu illuminas, lucerna mea, Domine!. Sei tu, Signore, la mia lucerna, rischiara le mie tenebre».

Le parole cambiano, ma la preghiera è uguale:

"Non ti chiedo di vedere la scena lontana,
guidami tu, Luce divina:
un passo, un passo solo, mi basta"
(Newman).

Quando il mio spirito cede e più non capisce, mandami la splendida certezza che le porte del bene non sono chiuse».

Dove era Dio quando Utu e Tutzi si massacravano in Ruanda-Burundi?
Ancora ad Auschwitz, a Treblinka?
La lista potrebbe continuare: l’Iraq, la Palestina.

Il male è la povertà morale e materiale che c’è in noi e attorno a noi. Sono le nostre oscurità, le nostre crisi di fede, quell’anoressia spirituale che spegne tutto dentro di noi, quel vivere come se Dio non ci fosse, che si accontenta di risposte parziali, usa e getta. Il Male è una vita svuotata di senso, vittima del pensiero debole, del pensiero corto.

Mi diceva padre Turoldo, ospite nella nostra casa di Lecco, quando il drago, il cancro, l’aveva colpito: «Io non cerco, non ho mai cercato, il consenso o il dissenso, ma il senso della vita».

Dove è l’ottimismo del primo capitolo della Genesi? Quell’insistenza dell’Autore nel dire, nel ripetere, dopo ogni opera creata: «E Dio vide che era bella! E Dio vide che quanto aveva fatto, era davvero bello».

Utopia? Solo poesia?

Subito dopo, infatti, troviamo il capitolo terzo, la disobbedienza a Dio da parte dei progenitori; il capitolo quarto, Caino e Abele; il capitolo sesto, la corruzione dell’umanità e il diluvio; il capitolo undicesimo, la torre di Babele.

Proprio l’ultimo libro intervista di papa Giovanni Paolo II, Memoria e identità, tratta del male.

Ne aveva già parlato in Varcare la soglia della speranza.

«Il Dio che permette tutto questo è ancora il davvero Amore, come proclama san Giovanni nella sua Prima Lettera? Anzi, è Egli giusto nei riguardi della Sua creazione? Non carica troppo le spalle dei singoli uomini? Non lascia l’uomo solo con questi pesi, condannandolo a una vita senza speranza? Tanti malati incurabili negli ospedali, tanti bambini handicappati, tante vite umane totalmente estromesse dall’ordinaria felicità umana sulla terra, dalla felicità che proviene dall’amore, dal matrimonio, dalla famiglia! Tutto questo insieme crea un quadro cupo, che ha trovato la sua espressione nella letteratura antica e moderna. Basti ricordare Fedor Dostoevskij, Franz Kafka o Albert Camus». Da noi, un nome per tutti, il pessimismo di Sergio Quinzio.

Giovanni Paolo II ha trattato del problema del male anche in un documento magisteriale, l’enciclica sullo Spirito Santo Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986). Un interrogativo che portava dentro di sé, verrebbe da dire. Con il male si era incontrato e scontrato.

Non ci sono risposte preconfezionate di fronte al male, che Gesù stesso chiama potestas tenebrarum (Lc 22,53). Un’efficienza, una deficienza.

Su La Stampa del 2 marzo 2005 si leggeva di un politico non credente che riconosce un ruolo importante anche a un Papa, «ma non Giovanni XXIII che su un laico dovrebbe suscitare maggior fascino, quanto piuttosto Paolo VI. Un Papa sofferto, per quella sua interrogazione drammatica su Dio nella modernità, che espresse alla messa per Aldo Moro, con quella sua dolorosa protesta: «Signore ti avevamo pregato perché salvassi questo nostro fratello, perché non ci hai ascoltato?».

Da giovane, esattamente il 10 settembre 1916, Giovanni Battista Montini scriveva a un suo amico:

«Anch’io provai cosa significa essere sotto lo strettoio di un dolore indefinito e duro, e duro talvolta perché indefinito, provai anch’io i momenti nei quali unica speranza, vorrei dire, è la disperazione, in cui conforto, ogni azione interna, esterna riesce un tormento, in cui la vita pesa d’un peso orribile e terribile, in cui ogni colore che ci circonda è nero, amara ogni cosa che assaporiamo, ruvido tutto ciò che moralmente ci dovrebbe sostenere…Il cristianesimo non toglie il dolore, lo spiega, lo accetta, se lo adagia sulle spalle, e con l’aiuto di Cristo, lo porta».

Una delle ultime lettere, forse l’ultima suor Maria Mainetti, la sorella uccisa a Chiavenna da tre giovani sataniste, la notte del 6 giugno del 2000, la invia alla mamma di una ex alunna di Parma, uccisa dal fidanzato. Sembra premonitrice: «Chi siamo noi da dover sondare, spiegare, capire i progetti di Dio Padre che si realizzano a partire anche dalla cattiveria umana? Tutto avviene secondo un progetto d’amore, un progetto di salvezza. Noi capiamo sempre troppo poco e io dico: per fortuna, altrimenti ci sentiremmo dei potenti, invece tutto concorre a mantenerci nell’umiltà, nella dipendenza e nell’abbandono fiducioso nelle mani di un papà tutto speciale». Pochi giorni più tardi Suor Maria Laura testimoniava fino a che punto ci credesse: «L’ho uccisa - ha scritto una delle colpevoli alle consorelle della religiosa - e mentre facevamo questo lei ci ha perdonate».

L’ultima richiesta del Padre nostro è forse la più difficile, quella che pone più problemi di tutte le altre: «Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male».

Liberaci dal male: dall’esserne vittime, dall’esserne autori, dall’esserne scandalizzati.

Non lasciarci cadere in tentazione. Oggi, forse più di ieri la tentazione è la via della Croce, via che ti sembra perdente e allora si è tentati di sostituirla con strategie umane.

Ci si sente minoranza e si soffre. Costa essere chicco di grano, ma fidandoci della Parola, di quella Parola che ha il volto e ilo nome di Gesù, restiamo dentro, vogliamo restare dentro la storia.

«Il suolo della storia è vulcanico», dice Berdjaev. Periodicamente, commenta Olivier Clément, erompono fiumi di lava e fanno nascere nella cultura quelle immagini, quei simboli sui quali milioni di anime fonderanno il coraggio di esistere .

Nella Lettera al padre, Kafka ha scritto: «Sogno di poter riportare il mondo come uscì dalle mani di Dio».

«Non abbiate paura, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33), dice Gesù.

Risonanze

Salmo 21 (22), 2-23

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.

Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.

Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.

In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;

a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.

Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.

Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:

«Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».

Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.

Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.

Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.

Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.

Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.

Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.

È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.

Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,

posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:

si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.

Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.

Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.

Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.

Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.

Dall’enciclica Dominum et Vivificantem di Giovanni Paolo II.

«Vieni, Spirito Santo,
misterioso legame di divina comunione
con il Redentore dell’uomo,
realizzatore della sua opera,
sempre presente nella storia del mondo
attraverso il cuore dell’uomo.
Vieni, padre dei poveri,
datore dei doni, luce dei cuori,
dolce ospite dell’anima.
Vieni, porta riposo e riparo
in mezzo alle fatiche,
al lavoro delle braccia e delle menti umane;
porta riposo e sollievo
in mezzo alla calura del giorno,
in mezzo alle inquietudini,
alle lotte e pericoli;
porta consolazione, quando il cuore umano piange,
ed è tentato dalla disperazione.
Vieni, senza la tua forza nulla è nell’uomo,
nulla è senza colpa.
Cura le ferite anche le più profonde dell’umana esistenza;
elimina l’aridità delle anime,
rendile campi fertili di grazia e di santità.
Quanto è rigido, piegalo,
quanto è freddo, riscaldalo,
quanto è sviato, raddrizzalo.
Nelle intricate vie del pellegrinaggio umano,
a Te ci rivolgiamo:
donaci rettitudine nell’agire,
gioia e consolazione. Amore».