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«Osiamo dire: Padre nostro» |
Il Nome |
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4. Il Nome
«Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati. Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore – parola del Signore Dio - quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,22-26).
I vangeli ci riportano due versioni della preghiera insegnataci da Gesù: il Padre nostro, quella di Luca (11,2-4), più breve, e quella di Matteo (6,9-13), che la liturgia ha adottato, che la mamma ci ha insegnato; che abbiamo balbettata da bambini e da allora ci accompagna ogni giorno.
Mi colpisce sempre il modo con cui la liturgia introduce il Padre nostro nella santa messa: «Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire».
Abba: è la parola aramaica sicuramente pronunciata tante volte da Gesù.
Padre, meglio, papà: una parola così naturale, spontanea sulla bocca di un bambino, diventa audace quando è rivolta a Dio. Ci vuole coraggio.
Chi è Dio? Che cosa è l’uomo?
Proviamo a pensare alla visione e reazione del profeta Isaia.
«Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’un l’altro: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria… Vibravano gli stipiti delle porte… si riempiva di fumo il tempio. E dissi: "Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti"» (6,1-5).
Pensiamo al salmo 28. Forse il salmo più antico. Il salmo della voce potente di Dio, del Dio della gloria, della sua azione nella natura e nella storia:
«Il Signore tuona sulle acque,
il Dio della gloria scatena il tuono…
Il Signore tuona con forza,
tuona il Signore con potenza.
Il tuono del Signore schianta i cedri…
Fa balzare come un vitello il Libano
e il Sirion come un giovane bufalo.
Il tuona saetta fiamme di fuoco,
il tuono scuote la steppa,
il Signore scuote il deserto di Kades.
Il tuono fa partorire le cerve
e spoglia le foreste.
Nel suo tempio tutti dicono: Gloria!».
Pensiamo alle Laudi al Dio Altissimo di san Francesco d’Assisi:
«Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende.
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei onnipotente.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero».
Il mistero di Dio ci supera. Sempre profondo sant’Agostino: Si comprehendis, non est Deus.
«Io sono colui che sono» (Es 3,14): si sente rispondere Mosè mandato a liberare il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto.
«Dio nessuno l’ha mai visto - scrive l’evangelista Giovanni e continua -: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (1,17-18).
Non avremmo mai osato pronunciare la parola Padre, se Gesù non ce lo avesse insegnato… Ma chiede coraggio, e tanto, anche la prima invocazione: «Sia santificato il Tuo nome».
Nel linguaggio della Bibbia il nome sta, dice la persona. La sua identità.
Abramo diventa Abraham, cioè padre di molti popoli; Simone diventa Pietro, cioè roccia su cui Gesù fonda la sua Chiesa; Saulo di Tarso, il persecutore, diventa Paolo, l’apostolo.
Il nome di Dio è Dio stesso.
«Santo è il suo Nome» (Lc 1,49), canta la Madonna nel Magnificat.
«Siate santi, perché io il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lev 2,2), dice Dio a Mosè e al suo popolo. Manifestare, fare conoscere, testimoniare la santità di Dio è un imperativo del credente, questione di coerenza, un gene del nostro DNA.
Certo, ogni uomo è chiamato a glorificare Dio, compito che diventa estremamente impegnativo, esaltante per il cristiano, come conseguenza dell’essere battezzato.
«Il battesimo – scrive un teologo della Riforma – è un rito molto significativo proprio a proposito del nome, perché nel battesimo succede che il piccolo nome della nostra piccola esistenza personale viene collegato con il nome di Dio, viene associato al nome santo di Dio, il nome grande, ineffabile, misterioso… Questo è il battesimo cristiano: il nome santo viene associato al nostro nome, affinché ci contagi. Ecco, il battesimo è il contagio del nome santo di Dio con la nostra realtà umana in vista della sua santificazione» (Paolo Ricca).
Ci tuffa in Cristo. In quel Cristo Gesù che a Filippo, desideroso di vedere il Padre, risponde: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9).
Il battesimo è provocazione.
Deve metterci dentro una tensione continua.
Una nostalgia del divino.
Ci fa credenti, ci vuole credibili.
Ci chiede umile coerenza e trasparenza di vita.
«Chiedere a un catecumeno - scrive Giovanni Paolo II nella lettera All’inizio del terzo millennio - Vuoi ricevere il battesimo? Significa al tempo stesso chiedergli: Vuoi diventare santo? Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della montagna: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste"» (Mt 5,48).
«Se io sono padre - si lamenta Dio con il profeta Malachia - dov’è l’onore che mi spetta?» (1,6). E Paolo rimprovera i Romani perché «il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani» (2,24).
Mi fa sempre riflettere, come cristiano e come missionario, un versetto del salmo 69:
«Chi spera in te, a causa mia non sia confuso,
Signore, Dio degli eserciti;
per me non si vergogni chi ti cerca Dio di Israele» (v. 7).
Il nostro stile di vita, la tonalità della nostra fede possono addirittura rendere lodabile o disprezzabile il nome di Dio.
«Nella parabola del samaritano il Dio di quei sacerdoti e di quei leviti che non soccorrono la vittima dell’attentato non potrà essere riconosciuto come un Dio d’amore e il suo nome non sarà santificato, ma per causa loro sarà bestemmiato. Diranno che è un idolo che tollera la sofferenza e l’ingiustizia. E’ la qualità della nostra testimonianza che provoca nei confronti del nome di Dio: irritazione, indifferenza, ateismo, bestemmia o confessione di fede» (Giovanni Paolo II ).
Hanno santificato, glorificato il nome di Dio Madre Teresa di Calcutta e quella madre discreta e minuta, dolcissima creatura, che mi avvicina e mi dice: «"Può celebrare due sante messe per me?". Sento i nomi. "Suoi parenti?". "Uno è mio figlio. E’ stato ucciso e l’altro, un suo amico universitario, quello che l’ha ucciso e poi si è tolto la vita. Nessuno pregherà per lui!"». I sette monaci del monastero di Nòtre- Dame d’Atlas in Algeria e le suore Poverelle di Bergamo morte per soccorrere gli ammalati di ebola nello Zaire. Non le ha uccise l’ebola, ma l’amore, è titolata la loro biografia. Fratel Ettore Boschini e magari alcuni suoi gesti ci sembravano stranezze. Alla sua morte il card. Martini parla di «un gigante della carità che fa onore al Vangelo e alla bontà della nostra gente. Ho avuto modo - scrive nel telegramma da Gerusalemme - di ammirare una carità, un disinteresse, uno spirito di sacrificio veracemente eroici che non si tiravano indietro di fronte a nessuna difficoltà». Il medico Carlo Urbani che per anni lavora in Vietnam, Cina e Cambogia. Primo a individuare il virus letale della Sars, ne muore vittima a 47 anni. Il dott. Nicola Calipari, in quella sventura senza fine che è la guerra in Iraq. Voleva un’esistenza spendibile. E la sua è stata. «Non si costruisce una società diversa, non si costruisce un mondo migliore, se non si adotta la logica del dono». E lui l’ha vissuta.
I miei confratelli padre Angelo Maggioni e padre Fedele Giannini.
Alla notizia della uccisione di padre Maggioni, appena terminata la guerra d’indipendenza del Bangladesh, un insegnante musulmano ci diceva: «Questo vostro prete lasciava trasparire proprio l’idea che noi musulmani abbiamo della santità. Il santo è forte nella sua fede, è mite e affabile con gli uomini».
Padre Giannini: in Giappone dal 1954. Un’intelligenza superiore. Oltre 40 anni passati in una scuola materna. Eletto superiore generale, si lascia convincere ad accettare. Concluso il mandato, ritorna subito al suo asilo. Muore nel gennaio 2002, l’infermiera non cristiana dell’ospedale di Nirasaki, che l’assisteva, ci scrive: «Oggi, vedendo Giannini-san, mi sono meravigliata. Resiste con coraggio. Soffre molto, ma sorride. Mi domando sempre da dove venga quel sorriso. Io so poco o niente del cristianesimo ma, dopo aver incontrato Giannini-san, ho capito che deve essere qualcosa di meraviglioso».
«Così risplenda la vostra luce davanti alla gente, perché veda le vostre opere buone e renda gloria al Padre vostro, che è nei cieli» (Mt 5,16): parola di Gesù.
Ci è affidata una grande responsabilità.
In uno dei testi più antichi di letteratura e spiritualità cristiana, la lettera A Diogneto, si legge: «Ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. E’ tanto nobile il posto che Dio ha loro assegnato che a nessuno è permesso disertare».
Nell’intimità dell’Ultima Cena, Gesù dice ai suoi apostoli: «In questo è glorificato Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,8). «Siamo infatti - continua Paolo - opera sua, creati in Cristo Gesù in vista di opere buone» (Ef 2,10).
Preghiamo e auguriamoci a vicenda di poter dire con Gesù al termine di ogni nostra giornata: «Io ti ho glorificato, o Padre, compiendo l’opera che mi hai dato da fare» (Gv 17,4).
Risonanze
Salmo 113 (112)
«Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre.
Dal sorgere del sole al suo tramonto
sia lodato il nome del Signore.
Su tutti i popoli eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è pari al Signore nostro Dio
che siede nell’alto
e si china a guardare
nei cieli e sulla terra?
Solleva l’indigente dalla polvere,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i principi,
tra i principi del suo popolo.
Fa abitare la sterile nella sua casa
quale madre gioiosa di figli».
Annalena Tonelli
Nasce a Forlì il 2 aprile 1943 e viene uccisa a Borama, in Somalia, il 5 ottobre 2003. Ha detto di se stessa: «Io sono nessuno» e ha raccontato pubblicamente la sua vita pochissime volte, così come pochissime sono le foto che la ritraggono. Ma chi era veramente Annalena Tonelli?
Ecco alcuni stralci dell'intensa testimonianza che ha tenuto in Vaticano nel 2001:
«Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho esperimentato... la cattiveria dell'uomo... E ne sono uscita con una convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare. Se anche Dio non ci fosse, solo l'amore ha un senso, solo l'amore libera l'uomo da tutto ciò che lo rende schiavo, in particolare solo l'amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l'amore fa sì che noi non abbiamo più paura di nulla... Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta. Ed è allora che la nostra vita diventa bellezza, grazia, benedizione. Ed è allora che la nostra vita diventa felicità anche nella sofferenza...
C'è Dio nella celletta della nostra anima che ci chiama. Tuttavia la sua è una piccolo silenziosa voce. Noi dobbiamo metterci in ascolto, fare silenzio, crearci un luogo di quiete, separato...
A Wajir eravamo una comunità di sette donne, tutte avevamo sete di Dio, e capivamo che quando perdevamo o stavamo per perdere il senso del nostro servizio e la capacità di amare, potevamo ritrovare i beni perduti solo ai piedi. del Signore. Per questo, avevamo costruito un eremo e là andavamo per periodi anche lunghi di silenzio ai piedi di Dio. Là ritrovavamo equilibrio, quiete, lungimiranza, saggezza, speranza, forza...
Poi, ci sono stati altri eremi, altri silenzi, la parola di Dio, i grandi libri, i grandi amici... che hanno ispirato la mia vita, soprattutto nella fede cattolica: i padri dei deserto, i grandi monaci, Francesco d’Assisi, Chiara, Teresa di Lisieux, Teresa d'Avila, Charles de Foucauld, p. Voillaume, sorella Maria, C. Vannucci, Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Gandhi, Vinoba... Ma al centro sempre Dio e Gesù Cristo. Nulla mi importa veramente al di fuori di Dio, al di fuori di Gesù Cristo... i piccoli sì, i sofferenti, io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita, più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito. E’ un’esigenza della mia natura. Ma è certo che in loro io vedo Lui...
Poi la vita mi ha insegnato che la mia fede senza l'amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti comandamenti, ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie, né pellegrinaggi... che quell'Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: "Questo è il mio corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, mangi la tua condanna". L'Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra...
Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d'acqua nell'oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre... I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all'immaginazione di ciascuno di noi. Inventiamo... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita».
Mons. Melchiorre Zhang Kexing
«Dodici anni fa, nel dicembre 1985, era una sera particolarmente lugubre in una cittadina al nord della Cina. Era già notte fonda e le luci fioche delle strade mandavano ombre sinistre. Il freddo era intenso come può esserlo da quelle parti, quando il termometro scende a gradi bassissimi. Il visitatore dall'estero non aveva alcun appuntamento e non si aspettava nessuno. Finita la cena, si stava pigramente preparando per la notte.
Qualcuno bussò alla porta e la sua sorpresa fu grande quando, aperta la porta della camera, si trovò davanti un anziano signore, curvo e dalla salute precaria. Sulle labbra aveva un sorriso profondo e pacato. L'uomo non disse nulla, era poco sicuro e fece cenno di voler entrare. Aveva in mano uno strano fagottino.
Prima che il visitatore straniero potesse formulare una qualsiasi domanda, l'inatteso ospite era già entrato nella stanza. "Sono Melchiorre Zhang, il vescovo di Yjwanzi", sussurrò appena l'anziano signore. Lo straniero stentò a credere. Per parecchi giorni aveva tentato di tutto per riuscire a incontrarlo, ma le autorità avevano sempre opposto un netto rifiuto. L'anziano vescovo era stato appena liberato dopo trentatrè anni di lavori forzati e di prigione. Era stato giudicato un controrivoluzionario, perché ai tempi si era rifiutato di stare al gioco dei governo e accettare il progetto di rendere indipendente e autonoma la Chiesa in Cina.
"Sì, sono proprio lo, Zhang Kexing. Sono venuto per chiederti un favore: porta questo fagottino al Papa. Le mani ora tremavano allo straniero. La commozione crebbe mentre il vecchio aprì il fagotto e ne estrasse un paio di calzoni ormai totalmente scoloriti e interamente rattoppati e una sottile maglietta consunta con sopra stampato un numero.
"Dica al Papa che li ho portati durante tutti gli anni della mia prigionìa. Sono i testimony dell’amore che Gesù Cristo ha posto nel mio cuore e della pace che lui mi ha donato. Nella vita ho amato solo Cristo e la sua Chiesa".
Il visitatore, ormai in lacrime, si ritrovò inginocchiato davanti a questo uomo tutto pelle e ossa. Melchiorre Zhang, una vita consumata in un'apparente inutilità.
Morirà di cancro tre anni dopo, il 6 novembre 1988, privo di cure mediche e senza che gli venisse mai permesso di incontrare estranei».