VIAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
E VISITA ALLA SEDE
DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
Giovedì 17 Aprile Venerdì 18 Aprile Sabato 19 Aprile Domenica 20 Aprile
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Intervista ai giornalisti durante il volo | Cerimonia di benvenuto | |||
Celebrazione dei Vespri | Incontro con i Vescovi Americani | |||
Presentazione del Calice all'Arcivescovo di New Orleans |
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INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO DIRETTO
NEGLI STATI UNITI D'AMERICA
Martedì, 15 aprile 2008
D. – Santità, benvenuto! A nome di tutti i colleghi che sono qui presenti, La ringrazio di questa disponibilità così gentile nel venire a salutarci e anche a darci alcune indicazioni ed idee per seguire questo viaggio. È il Suo secondo viaggio intercontinentale; il primo come Santo Padre in America, Stati Uniti e alle Nazioni Unite. Un viaggio importante e molto atteso. Per incominciare, vuole dirci qualche cosa sui sentimenti, sulle speranze con cui affronta questo viaggio e qual è il Suo obiettivo fondamentale, dal Suo punto di vista?
R. – Il mio viaggio ha soprattutto due obiettivi. Il primo obiettivo è la visita alla Chiesa in America, negli Stati Uniti. C’è un motivo particolare: la diocesi di Baltimora, 200 anni fa, è stata elevata a metropolia e nello stesso tempo sono nate quattro altre diocesi: New York, Philadelphia, Boston e Louisville. Così è un grande giubileo per questo nucleo della Chiesa negli Stati Uniti, un momento di riflessione sul passato e soprattutto di riflessione sul futuro, su come rispondere alle grandi sfide del nostro tempo, nel presente e in vista del futuro. E naturalmente, fa parte di questa visita anche l’incontro interreligioso e l’incontro ecumenico, particolarmente anche un incontro nella Sinagoga con i nostri amici ebrei, nella vigilia della loro festa di Pasqua. Quindi, questo è l’aspetto religioso-pastorale della Chiesa negli Stati Uniti in questo momento della nostra storia, e l’incontro con tutti gli altri in questa fraternità comune che ci collega in una comune responsabilità. Vorrei in questo momento anche ringraziare il Presidente Bush che verrà all’aeroporto, mi riserverà molto tempo per colloqui e mi riceverà in occasione del mio genetliaco. Secondo obiettivo, la visita alle Nazioni Unite. Anche qui c’è un motivo particolare: sono passati 60 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Questa è la base antropologica, la filosofia fondante delle Nazioni Unite, il fondamento umano e spirituale sul quale sono costruite. Quindi, è realmente un momento di riflessione, il momento di riprendere coscienza di questa tappa importante della storia. Nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo sono confluite diverse tradizioni culturali, soprattutto una antropologia che riconosce nell’Uomo un soggetto di diritto precedente a tutte le Istituzioni, con valori comuni da rispettare da parte di tutti. Quindi, questa visita, che avviene proprio in un momento di crisi dei valori, mi sembra importante per riconfermare insieme che tutto è incominciato in quel momento e per recuperarlo per il nostro futuro.
D. – Adesso passiamo alle domande che voi stessi avete presentato nei giorni scorsi e che alcuni di voi presenteranno al Santo Padre. Cominciamo con la domanda che fa John Allen, che non credo abbia bisogno di presentazione, perché è molto noto come commentatore dei fatti vaticani negli Stati Uniti.
D. – Santo Padre, io faccio la domanda in inglese, se posso, e forse, se fosse possibile, se potessimo avere una frase, una parola in inglese, saremmo molto riconoscenti. La domanda: la Chiesa che troverà negli Stati Uniti è una Chiesa grande, una Chiesa vivace, ma anche una Chiesa sofferente, in un certo senso, soprattutto a causa della recente crisi dovuta agli abusi sessuali. La gente americana sta aspettando una parola da Lei, un messaggio da Lei su questa crisi. Quale sarà il Suo messaggio per questa Chiesa sofferente?
R. – (inglese) It is a great suffering for the Church in the United States and for the Church in general, for me personally, that this could happen. If I read the history of these events, it is difficult for me to understand how it was possible for priests to fail in this way the mission to give healing, to give God’s love to these children. I am ashamed and we will do everything possible to ensure that this does not happen in future. I think we have to act on three levels: the first is at the level of justice and the political level. I will not speak at this moment about homosexuality: this is another thing. We will absolutely exclude paedophiles from the sacred ministry; it is absolutely incompatible and who is really guilty of being a paedophile cannot be a priest. So at this first level we can do justice and help the victims, because they are deeply affected; these are the two sides of justice: one, that paedophiles cannot be priests and the other, to help in any possible way the victims. Then, there’s a pastoral level. The victims will need healing and help and assistance and reconciliation: this is a big pastoral engagement and I know that the bishops and the priests and all Catholic people in the United States will do whatever possible to help, to assist, to heal. We have made a visitation of the seminaries and we will do all that is possible in the education of seminarians for a deep spiritual, human and intellectual formation for the students. Only sound persons can be admitted to the priesthood and only persons with a deep personal life in Christ and who have a deep sacramental life. So, I know that the bishops and directors of seminarians will do all possible to have a strong, strong discernment because it is more important to have good priests than to have many priests. This is also our third level, and we hope that we can do and we have done and we will do in the future all that is possible to heal these wounds.
(traduzione in italiano)
R. – È una grande sofferenza per la Chiesa negli Stati Uniti e per la Chiesa in generale, e per me personalmente, il fatto che tutto ciò sia potuto accadere. Se leggo i resoconti di questi avvenimenti, mi riesce difficile comprendere come sia stato possibile che alcuni sacerdoti abbiano potuto fallire in questo modo nella missione di portare sollievo, di portare l’amore di Dio a questi bambini. Sono mortificato e faremo tutto il possibile per assicurare che questo non si ripeta in futuro. Credo che dovremo agire su tre piani: il primo è il piano della giustizia e il piano politico. Non voglio in questo momento parlare dell’omosessualità: questo è un altro discorso. Escluderemo rigorosamente i pedofili dal sacro ministero: è assolutamente incompatibile e chi è veramente colpevole di essere pedofilo non può essere sacerdote. Ecco, a questo primo livello possiamo fare giustizia ed aiutare le vittime, che sono profondamente provate. Questi sono i due aspetti della giustizia: uno è che i pedofili non possono essere sacerdoti e l’altro è aiutare in ogni modo possibile le vittime. Poi, c’è il piano pastorale. Le vittime avranno bisogno di guarire e di aiuto e di assistenza e di riconciliazione. Questo è un grande impegno pastorale e io so che i Vescovi ed i sacerdoti e tutti i cattolici negli Stati Uniti faranno il possibile per aiutare, assistere, guarire. Abbiamo fatto delle ispezioni nei seminari e faremo quanto è possibile perché i seminaristi ricevano una profonda formazione spirituale, umana ed intellettuale. Solo persone sane potranno essere ammesse al sacerdozio e solo persone con una profonda vita personale in Cristo e che abbiano anche una profonda vita sacramentale. Io so che i Vescovi ed i rettori dei seminari faranno il possibile per esercitare un discernimento molto, molto severo, perché è più importante avere buoni sacerdoti che averne molti. Questo è il nostro terzo punto, e speriamo di potere fare e di avere fatto e di fare in futuro ogni cosa sia in nostro potere per guarire queste ferite.
D. – Grazie, Santità. Un altro dei temi su cui abbiamo avuto molte domande da parte dei nostri colleghi è stato quello dell’immigrazione, della presenza nella società statunitense anche delle componenti di lingua spagnola. E per questo, la domanda viene fatta dal nostro collega Andrés Leonardo Beltramo Alvares che è dell’Agenzia di informazione del Messico:
D. – Santità, faccio la domanda in italiano e poi, se Lei vuole, può fare il commento in spagnolo. Un saluto, soltanto un saluto. Vi è una crescita enorme della presenza ispanica anche nella Chiesa degli Stati Uniti in generale: la comunità cattolica diventa sempre più bilingue e sempre più bi-culturale. Allo stesso tempo, vi è nella società un crescente movimento anti-immigrazione: la situazione degli immigrati è caratterizzata da forme di precarietà e discriminazione. Lei ha intenzione di parlare di questo problema e di invitare l’America ad accogliere bene gli immigrati, molti dei quali sono cattolici?
R. – Non sono in grado di parlare in spagnolo, ma mis saludos y mi bendición para todos los hispánicos. Certamente parlerò di questo punto. Io ho avuto diverse visite "ad Limina" dei Vescovi dell’America Centrale, anche dell’America del Sud, e ho visto l’ampiezza di questo problema, soprattutto il grave problema della separazione delle famiglie. E questo veramente è pericoloso per il tessuto sociale, morale e umano di questi Paesi. Bisogna però distinguere tra misure da prendere subito e soluzioni a lunga scadenza. La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine. E anche su questo punto vorrei parlare con il Presidente, perché soprattutto gli Stati Uniti devono aiutare perché i Paesi possano così svilupparsi. È nell’interesse di tutti, non solo di questi Paesi, ma del mondo e anche degli Stati Uniti. Poi, misure a breve scadenza: è molto importante aiutare soprattutto le famiglie. Alla luce dei colloqui che ho avuto con i Vescovi, il problema primario è che le famiglie siano protette, non siano distrutte. Quanto si può fare, si deve fare. Poi, naturalmente, bisogna fare il possibile contro la precarietà e contro tutte le violenze e aiutare perché possano avere realmente una vita degna lì dove sono attualmente. Vorrei anche dire che ci sono tanti problemi, tante sofferenze, ma c’è anche tanta ospitalità! Io so che soprattutto la Conferenza Episcopale Americana collabora moltissimo con le Conferenze Episcopali dell’America Latina in vista degli aiuti necessari. Con tutte le cose dolorose, non dimentichiamo anche tanta vera umanità, tante azioni positive che pure ci sono.
D. – Grazie, Santità. Adesso, una domanda che si riferisce alla società americana: esattamente al posto dei valori religiosi nella società americana. Diamo la parola al nostro collega Andrea Tornielli, che è vaticanista di un giornale italiano:
D. – Santo Padre, ricevendo la nuova Ambasciatrice degli Stati Uniti d’America, Ella ha messo in luce come valore positivo il riconoscimento pubblico della religione negli Stati Uniti. Volevo chiederLe se considera questo un possibile modello anche per l’Europa secolarizzata, o se non crede che ci possa essere anche il rischio che la religione e il nome di Dio possano venire usati per fare passare certe politiche e persino la guerra ...
R. – Certamente, in Europa non possiamo semplicemente copiare gli Stati Uniti: abbiamo la nostra storia. Ma dobbiamo tutti imparare l’uno dall’altro. Quanto trovo io affascinante negli Stati Uniti è che hanno incominciato con un concetto positivo di laicità, perché questo nuovo popolo era composto da comunità e persone che erano fuggite dalle Chiese di Stato e volevano avere uno Stato laico, secolare che aprisse possibilità a tutte le confessioni, per tutte le forme di esercizio religioso. Così è nato uno Stato volutamente laico: erano contrari ad una Chiesa di Stato. Ma laico doveva essere lo Stato proprio per amore della religione nella sua autenticità, che può essere vissuta solo liberamente. E così troviamo questo insieme di uno Stato volutamente e decisamente laico, ma proprio per una volontà religiosa, per dare autenticità alla religione. E sappiamo che Alexis de Toqueville, studiando l’America, ha visto che le istituzioni laiche vivono con un consenso morale di fatto che esiste tra i cittadini. Questo mi sembra un modello fondamentale e positivo. È da considerare che in Europa, nel frattempo, sono passati duecento anni, più di duecento anni, con tanti sviluppi. Adesso c’è anche negli Stati Uniti l’attacco di un nuovo secolarismo, del tutto diverso, e quindi prima i problemi erano l’immigrazione, ma la situazione si è complicata e differenziata nel corso della storia. Tuttavia il fondamento, il modello fondamentale mi sembra anche oggi degno di essere tenuto presente anche in Europa.
D. – Grazie, Santità. E allora, un ultimo tema riguarda la Sua visita alle Nazioni Unite, e su questo la domanda ce la fa John Pavis, che è il responsabile a Roma dell’Agenzia cattolica di notizie degli Stati Uniti.
D. – Santo Padre, il Papa spesso è considerato la coscienza dell’umanità, e anche per questo il suo discorso alle Nazioni Unite è molto atteso. Vorrei chiedere: Lei pensa che un’istituzione multilaterale come le Nazioni Unite possa salvaguardare i principi ritenuti "non negoziabili" dalla Chiesa Cattolica, cioè i principi fondati sulla legge naturale?
R. – È proprio questo l’obiettivo fondamentale delle Nazioni Unite: che salvaguardino i valori comuni dell’umanità, sui quali è basata la convivenza pacifica delle Nazioni: l’osservanza della giustizia e lo sviluppo della giustizia. Ho già brevemente accennato che a me sembra molto importante che il fondamento delle Nazioni Unite sia proprio l’idea dei diritti umani, dei diritti che esprimono valori non negoziabili, che precedono tutte le istituzioni e sono il fondamento di tutte le istituzioni. Ed è importante che ci sia questa convergenza tra le culture che hanno trovato un consenso sul fatto che questi valori sono fondamentali, che sono iscritti nello stesso essere Uomo. Rinnovare questa coscienza che le Nazioni Unite, con la loro funzione pacificatrice, possono lavorare soltanto se hanno il fondamento comune dei valori che si esprimono poi in "diritti" che devono essere osservati da tutti. Confermare questa concezione fondamentale e aggiornarla in quanto possibile, è un obiettivo della mia missione.
Alla fine, dal momento che inizialmente Padre Lombardi mi aveva posto una domanda anche sui miei sentimenti, vorrei dire: vado negli Stati Uniti proprio con gioia! Sono stato in precedenza diverse volte negli Stati Uniti, conosco questo grande Paese, conosco la grande vivacità della Chiesa nonostante tutti i problemi, e sono contento di poter incontrare, in questo momento storico sia per la Chiesa che per le Nazioni Unite, questo grande popolo e questa grande Chiesa. Grazie a tutti!
D. – Grazie a Lei, Santità, da parte di tutti noi. Veramente rinnoviamo l’augurio per questo viaggio: possa avere tutti i frutti che Lei se ne attende e che anche tutti noi, con Lei, attendiamo. Grazie e buon viaggio!
CERIMONIA DI BENVENUTO
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
South lawn della White House, Washington D.C.
Mercoledì, 16 aprile 2008
Signor Presidente,
grazie per le gentili espressioni di benvenuto formulatemi a nome del popolo degli Stati Uniti d’America. Apprezzo profondamente il Suo invito a visitare questo grande Paese. La mia venuta coincide con un momento importante della vita della Comunità cattolica in America, cioè la celebrazione del secondo centenario della elevazione a metropolia arcidiocesana della prima diocesi del Paese, Baltimora, e la fondazione delle sedi di New York, Boston, Filadelfia e Louisville. Sono inoltre felice di essere ospite di tutti gli Americani. Vengo come amico e annunciatore del Vangelo, come uno che rispetta grandemente questa vasta società pluralistica. I cattolici americani hanno offerto, e continuano ad offrire, un eccellente contributo alla vita del loro Paese. Nell’accingermi a dare inizio alla mia visita, confido che la mia presenza possa essere fonte di rinnovamento e di speranza per la Chiesa negli Stati Uniti e rafforzi la determinazione dei cattolici a contribuire ancor più responsabilmente alla vita della Nazione, della quale sono fieri di essere cittadini.
Sin dagli albori della Repubblica, la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la "verità evidente per se stessa" che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura. Il cammino della storia americana evidenzia le difficoltà, le lotte e la grande determinazione intellettuale e morale che sono state necessarie per formare una società che incorporasse fedelmente tali nobili principi. Lungo quel processo, che ha plasmato l’anima della Nazione, le credenze religiose furono un’ispirazione costante e una forza orientatrice, come ad esempio nella lotta contro la schiavitù e nel movimento per i diritti civili. Anche nel nostro tempo, particolarmente nei momenti di crisi, gli Americani continuano a trovare la propria energia nell’aderire a questo patrimonio di condivisi ideali ed aspirazioni.
Nei prossimi giorni, attendo con gioia di incontrare non soltanto la comunità cattolica d’America, ma anche altre comunità cristiane e rappresentanze delle molte tradizioni religiose presenti in questo Paese. Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza, essendo al tempo stesso accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo ed ogni gruppo può far udire la propria voce. Ora che la Nazione deve affrontare sempre più complesse questioni politiche ed etiche, confido che gli americani potranno trovare nelle loro credenze religiose una fonte preziosa di discernimento ed un’ispirazione per perseguire un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso nello sforzo di edificare una società più umana e più libera.
La libertà non è solo un dono, ma anche un appello alla responsabilità personale. Gli americani lo sanno per esperienza - quasi ogni città di questo Paese possiede i suoi monumenti che rendono omaggio a quanti hanno sacrificato la loro vita in difesa della libertà, sia nella propria terra che altrove. La difesa della libertà chiama a coltivare la virtù, l’autodisciplina, il sacrificio per il bene comune ed un senso di responsabilità nei confronti dei meno fortunati. Esige inoltre il coraggio di impegnarsi nella vita civile, portando nel pubblico ragionevole dibattito le proprie credenze religiose e i propri valori più profondi. In una parola, la libertà è sempre nuova. Si tratta di una sfida posta ad ogni generazione, e deve essere costantemente vinta a favore della causa del bene (cfr Spe salvi, 24). Pochi hanno compreso ciò così lucidamente come Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria. Nel riflettere sulla vittoria spirituale della libertà sul totalitarismo nella sua natia Polonia e in Europa orientale, egli ci ricordò come la storia evidenzi, in tante occasioni, che "in un mondo senza verità, la libertà perde il proprio fondamento" e una democrazia senza valori può perdere la sua stessa anima (cfr Centesimus annus, 46). Queste parole profetiche fanno eco in qualche modo alla convinzione del Presidente Washington, espressa nel suo discorso d’addio, che la religione e la moralità costituiscono "sostegni indispensabili" per la prosperità politica.
La Chiesa, per parte sua, desidera contribuire alla costruzione di un mondo sempre più degno della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 26-27). Essa è convinta che la fede getta una luce nuova su tutte le cose, e che il Vangelo rivela la nobile vocazione e il sublime destino di ogni uomo e di ogni donna (cfr Gaudium et spes, 10). La fede, inoltre, ci offre la forza per rispondere alla nostra alta vocazione e la speranza che ci ispira ad operare per una società sempre più giusta e fraterna. La democrazia può fiorire soltanto, come i vostri Padri fondatori ben sapevano, quando i leader politici e quanti essi rappresentano sono guidati dalla verità e portano la saggezza, generata dal principio morale, nelle decisioni che riguardano la vita e il futuro della Nazione.
Da ben oltre un secolo, gli Stati Uniti d’America hanno svolto un ruolo importante nella comunità internazionale. Venerdì prossimo, a Dio piacendo, avrò l’onore di rivolgere la parola all’Organizzazione delle Nazioni Unite, dove spero di incoraggiare gli sforzi in atto per rendere quella istituzione una voce ancor più efficace per le legittime aspettative di tutti i popoli del mondo. A questo riguardo, nel 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’esigenza di una solidarietà globale è più urgente che mai, se si vuole che tutti possano vivere in modo adeguato alla loro dignità, come fratelli e sorelle che abitano in una stessa casa, attorno alla mensa che la bontà di Dio ha preparato per tutti i suoi figli. L’America si è sempre dimostrata generosa nel venire incontro ai bisogni umani immediati, promuovendo lo sviluppo e offrendo sollievo alle vittime delle catastrofi naturali. Ho fiducia che tale preoccupazione per l’ampia famiglia umana continuerà a trovare espressione nel sostenere gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti e a promuovere il progresso. Così, le generazioni future saranno in grado di vivere in un mondo dove la verità, la libertà e la giustizia possano fiorire – un mondo dove la dignità e i diritti dati da Dio ad ogni uomo, donna e bambino, vengano tenuti in considerazione, protetti e promossi efficacemente.
Signor Presidente, cari amici: mentre mi accingo a dar inizio alla visita negli Stati Uniti, voglio esprimere ancora una volta la mia gratitudine per l’invito formulatomi, la gioia di essere in mezzo a voi, e la mia fervente preghiera che Dio Onnipotente confermi questa Nazione e il suo popolo nelle vie della giustizia, della prosperità e della pace. Dio benedica l’America!
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI
E INCONTRO CON I VESCOVI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Santuario Nazionale dell'Immacolata Concezione di Washington, D.C.
Mercoledì, 16 aprile 2008
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
grande è la mia gioia nel salutarvi oggi, all’inizio della mia visita in questo Paese, e ringrazio il Cardinale George per le gentili parole rivoltemi a nome vostro. Desidero ringraziare ognuno di voi, specialmente gli Officiali della Conferenza Episcopale, per l’impegnativo lavoro che hanno affrontato nella preparazione di questo viaggio. Il mio grato apprezzamento va inoltre allo staff e ai volontari del Santuario Nazionale, i quali ci hanno qui accolto questa sera. I cattolici d’America sono noti per la loro leale devozione alla Sede di Pietro. La mia visita pastorale qui è un’occasione per rafforzare ulteriormente i vincoli di comunione che ci uniscono. Abbiamo iniziato con la celebrazione della Preghiera Serale in questa Basilica dedicata all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, santuario di speciale significato per i cattolici americani, proprio nel cuore della vostra Capitale. Uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, amorevolmente affidiamo al nostro Padre celeste il Popolo di Dio in ogni parte degli Stati Uniti.
Per le comunità cattoliche di Boston, New York, Filadelfia e Louisville, questo è un anno di celebrazioni particolari, dato che segna il bicentenario dell’erezione di queste Chiese locali a Diocesi. Mi unisco a voi nel rendere grazie per i molti celesti doni concessi alla Chiesa in tali luoghi nei trascorsi due secoli. Dato che l’anno corrente segna pure il bicentenario dell’erezione della sede fondatrice, Baltimora, ad arcidiocesi, questo mi offre l’opportunità di ricordare con ammirazione e gratitudine la vita e il ministero di John Carroll, primo Vescovo di Baltimora e degno Pastore della comunità cattolica nella vostra Nazione resasi da poco indipendente. I suoi instancabili sforzi per diffondere il Vangelo nel vasto territorio affidato alle sue cure posero le basi della vita ecclesiale nel vostro Paese e permisero alla Chiesa in America di crescere verso la maturazione. Oggi la comunità cattolica che servite è una delle più vaste del mondo ed una delle più influenti. Quanto importante è dunque far sì che la vostra luce brilli di fronte ai vostri concittadini e al mondo "perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5, 16).
Molte delle persone nei confronti delle quali John Carroll e i suoi confratelli Vescovi esercitarono il ministero due secoli orsono erano giunte da terre lontane. La diversità della loro provenienza è riflessa nella ricca varietà della vita ecclesiale dell’odierna America. Cari Fratelli Vescovi, desidero incoraggiare voi e le vostre comunità a continuare ad accogliere gli immigranti che si uniscono alle vostre file oggi, a condividere le loro gioie e speranze, a sostenerli nelle loro sofferenze e prove, e ad aiutarli a prosperare nella loro nuova casa. Questo, d’altra parte, è ciò che fecero i vostri concittadini per generazioni. Sin dagli inizi, essi hanno aperto le porte agli affaticati, ai poveri, alle "masse che si accalcavano alla ricerca di respirare nella libertà" (cfr Sonetto inciso sulla Statua della Libertà). Queste erano le persone che l’America ha fatto proprie.
Fra quanti vennero qui per costruirsi una nuova vita, molti furono capaci di far buon uso delle risorse e delle opportunità che vi trovarono, e di raggiungere un alto livello di prosperità. In verità, i cittadini di questo Paese sono conosciuti per la loro grande vitalità e creatività. Essi sono pure conosciuti per la loro generosità. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, nel settembre del 2001, ed ancora dopo l’uragano Katrina nel 2005, gli americani hanno mostrato la loro prontezza a venire in aiuto dei loro fratelli e sorelle che erano nel bisogno. A livello internazionale, il contributo offerto dal popolo d’America alle operazioni di soccorso e di salvataggio dopo lo tsunami del dicembre del 2004 è un’ulteriore dimostrazione di tale compassione. Permettetemi di esprimere particolare apprezzamento per le innumerevoli forme di assistenza umanitaria offerta dai cattolici americani attraverso le Caritas cattoliche ed altre agenzie. La loro generosità ha dato frutti nell’attenzione verso i poveri e i bisognosi, come pure nell’energia manifestata nella costruzione della rete nazionale di parrocchie cattoliche, di ospedali, scuole e università. Tutto ciò offre solido motivo per rendere grazie.
L’America è anche una terra di grande fede. La vostra gente è ben conosciuta per il fervore religioso ed è fiera di appartenere ad una comunità orante. Ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica. Il rispetto per la libertà di religione è profondamente radicato nella coscienza americana, un dato di fatto che ha contribuito a far sì che questo Paese attraesse generazioni di immigranti alla ricerca di una casa dove poter liberamente rendere culto a Dio secondo i propri convincimenti religiosi.
In questo contesto, prendo atto volentieri della presenza fra di voi di Vescovi da tutte le venerabili Chiese orientali in comunione con il Successore di Pietro: li saluto con speciale gioia. Cari Fratelli, vi chiedo di rassicurare le vostre comunità del mio profondo affetto e dell’incessante preghiera, sia per loro come pure per i molti fratelli e sorelle rimasti nella loro terra d’origine. La vostra presenza in questo Paese è memoria della coraggiosa testimonianza per Cristo di tanti membri delle vostre comunità, spesso tra le sofferenze, nelle rispettive Patrie. Ciò è anche un grande arricchimento per la vita ecclesiale in America, poiché offre una vivida espressione della cattolicità della Chiesa e della varietà delle sue tradizioni liturgiche e spirituali.
È in questo suolo fertile, nutrito da così numerose differenti fonti, che voi, venerati Fratelli nell’Episcopato, siete chiamati oggi a spargere la semente del Vangelo. Questo mi conduce a domandarmi come, nel ventunesimo secolo, un Vescovo possa adempiere al meglio alla chiamata di "fare nuova ogni cosa in Cristo, nostra speranza"? Come può egli condurre il suo popolo "all’incontro con il Dio vivente", sorgente di quella speranza che trasforma la vita di cui parla il Vangelo? (cfr Spe salvi, 4). Forse egli ha bisogno anzitutto di abbattere alcune barriere che impediscono tale incontro. Anche se è vero che questo Paese è contrassegnato da un genuino spirito religioso, la sottile influenza del secolarismo può tuttavia segnare il modo in cui le persone permettono che la fede influenzi i propri comportamenti. È forse coerente professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi, lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrarie a tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari all’insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale? Occorre resistere ad ogni tendenza a considerare la religione come un fatto privato. Solo quando la fede permea ogni aspetto della vita, i cristiani diventano davvero aperti alla potenza trasformatrice del Vangelo.
Per una società ricca, un ulteriore ostacolo ad un incontro con il Dio vivente sta nella sottile influenza del materialismo, che può purtroppo molto facilmente concentrare l’attenzione sul "cento volte tanto" promesso da Dio in questa vita, a spese della vita eterna che egli promette per il tempo che verrà (Mc 10,30). Le persone hanno oggi bisogno di essere richiamate allo scopo ultimo dell’esistenza. Hanno bisogno di riconoscere che dentro di loro vi è una profonda sete di Dio. Hanno bisogno di avere l’opportunità di attingere al pozzo del suo amore infinito. È facile essere ammaliati dalle possibilità quasi illimitate che la scienza e la tecnica ci offrono; è facile compiere l’errore di pensare di poter ottenere con i nostri propri sforzi l’adempimento dei bisogni più profondi. Questa è un’illusione. Senza Dio, il quale ci dona ciò che da soli non possiamo raggiungere (cfr Spe salvi, 31), le nostre vite sono in definitiva vuote. Le persone hanno bisogno di essere continuamente richiamate a coltivare una relazione con lui, che è venuto affinché avessimo la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Lo scopo di ogni nostra attività pastorale e catechetica, l’oggetto della nostra predicazione, il centro stesso del nostro ministero sacramentale deve esser quello di aiutare le persone a stabilire ed alimentare una simile relazione vitale con "Cristo Gesù, nostra speranza" (1 Tm 1,1).
In una società che dà molto valore alla libertà personale e all’autonomia, è facile perdere di vista la nostra dipendenza dagli altri, come pure le responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti. Questa accentuazione dell’individualismo ha influenzato persino la Chiesa (cfr Spe salvi, 13-15), dando origine ad una forma di pietà che talvolta sottolinea il nostro rapporto privato con Dio a scapito della chiamata ad esser membri di una comunità redenta. Eppure sin dall’inizio, Dio vide che "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18). Siamo stati creati come esseri sociali che trovano compimento soltanto nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Se vogliamo veramente tenere fisso lo sguardo su di lui, sorgente della nostra gioia, dobbiamo farlo come membri del Popolo di Dio (cfr Spe salvi, 14). Se ciò sembrasse andar contro la cultura odierna, sarebbe semplicemente un’ulteriore prova dell’urgente necessità di una rinnovata evangelizzazione della cultura.
Qui in America siete stati benedetti con un laicato cattolico di considerevole varietà culturale, che pone i propri multiformi doni al servizio della Chiesa e della società in generale. Esso guarda a voi per ricevere incoraggiamento, guida e indirizzo. In un’epoca satura di informazioni, l’importanza di offrire una solida formazione della fede non rischia di essere sopravalutata. I cattolici americani hanno riservato per tradizione un alto valore all’educazione religiosa, sia nelle scuole che nell’insieme dei programmi di formazione per adulti: occorre mantenere ed espandere. I numerosi uomini e donne che generosamente si dedicano alle opere caritative devono essere aiutati a rinnovare il loro impegno mediante una "formazione del cuore": un "incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore ed apra il loro animo agli altri" (Deus caritas est, 31). In un’epoca in cui i progressi nelle scienze mediche portano nuova speranza a molti, possono essere suscitate sfide etiche in antecedenza inimmaginabili. Ciò rende più importante che mai assicurare una solida formazione negli insegnamenti morali della Chiesa a quei cattolici che sono impegnati nella sfera della salute. Una saggia guida è necessaria in tutti questi campi di apostolato, perché possano portare frutti abbondanti. Se essi vogliono veramente promuovere il bene integrale della persona, devono essi stessi essere resi nuovi in Cristo nostra speranza.
Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati. In un contesto in cui la libertà di parola è apprezzata e un dibattito robusto ed onesto viene incoraggiato, la vostra è una voce rispettata che molto ha da offrire alla discussione sulle questioni sociali e morali dell’attualità. Nel far sì che il Vangelo venga udito in modo chiaro, voi non soltanto formate le persone della vostra comunità, ma, nell’ambito della più vasta platea della comunicazione di massa, aiutate a diffondere il messaggio della speranza cristiana in tutto il mondo.
L’influenza della Chiesa nel pubblico dibattito, è chiaro, si effettua a molti livelli diversi. Negli Stati Uniti, come altrove, vi sono attualmente molte leggi già in vigore o in discussione che suscitano preoccupazione dal punto di vista della moralità e la comunità cattolica, sotto la vostra guida, deve offrire una testimonianza chiara ed unitaria su tali materie. Ancor più importante, tuttavia, è l’apertura graduale delle menti e dei cuori della comunità più ampia alla verità morale: qui c’è ancora molto da fare. In questo ambito è cruciale il ruolo dei fedeli laici nell’agire come "lievito" nella società. Tuttavia, non si deve dare per scontato che tutti i cittadini cattolici pensino secondo l’insegnamento della Chiesa circa le questioni etiche fondamentali di oggi. Ancora una volta è vostro dovere far sì che la formazione morale offerta ad ogni livello della vita ecclesiale rifletta l’autentico insegnamento del Vangelo della vita.
A tale proposito, un argomento di profonda preoccupazione per noi tutti è la situazione della famiglia all’interno della società. È vero: il Cardinale George ha prima ricordato come voi abbiate posto il rafforzamento del matrimonio e della vita familiare fra le priorità della vostra attenzione nei prossimi anni. Nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale per la Pace, ho parlato del contributo essenziale che una vita familiare sana offre alla pace entro e fra le Nazioni. Nella casa della famiglia sperimentiamo "alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo" (n. 3). La famiglia è inoltre il luogo primario dell’evangelizzazione, nella trasmissione della fede, nell’aiutare i giovani ad apprezzare l’importanza della pratica religiosa e dell’osservanza della domenica. Come non essere sconcertati nell’osservare il rapido declino della famiglia quale elemento basilare della Chiesa e della società? Il divorzio e l’infedeltà sono in aumento, e molti giovani uomini e donne scelgono di ritardare il matrimonio o addirittura di ignorarlo completamente. Per alcuni giovani cattolici il vincolo sacramentale del matrimonio appare scarsamente distinguibile da un legame civile, o è percepito addirittura come un semplice accordo per vivere con un’altra persona in modo informale e senza stabilità. In conseguenza si vede un allarmante decremento di matrimoni cattolici negli Stati Uniti insieme ad un aumento di coabitazioni, nelle quali il reciproco donarsi degli sposi al modo di Cristo, mediante il sigillo di una pubblica promessa di vivere le esigenze di un impegno indissolubile per l’intera esistenza, è semplicemente assente. In tali circostanze viene negato ai figli l’ambiente sicuro di cui hanno bisogno per crescere come esseri umani, e vengono pure negati alla società quegli stabili pilastri che sono necessari, se si vuole mantenere la coesione e il centro morale della comunità.
Come il mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, insegnava, "il primo responsabile della pastorale familiare nella Diocesi è il Vescovo… egli deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie ed a quanti… lo aiutano nella pastorale della famiglia" (Familiaris consortio, 73). È vostro compito proclamare con forza gli argomenti di fede e ragione che parlano dell’istituto del matrimonio, compreso come impegno per la vita fra un uomo e una donna, aperto alla trasmissione della vita. Tale messaggio dovrebbe risuonare di fronte alle persone di oggi, poiché è essenzialmente un "sì" incondizionato e senza riserve alla vita, un "sì" all’amore e un "sì" alle aspirazioni del cuore della nostra comune umanità, mentre ci sforziamo di portare a compimento il nostro profondo desiderio di intimità con gli altri e con il Signore.
Fra i segni contrari al Vangelo della vita che si possono trovare in America, ma anche altrove, ve n’è uno che causa profonda vergogna: l’abuso sessuale dei minori. Molti di voi mi hanno parlato dell’enorme dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa hanno tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile comportamento gravemente immorale. Mentre cercate di eliminare questo male ovunque esso capiti, siate sicuri del sostegno orante del Popolo di Dio in tutto il mondo. Giustamente voi date priorità alla manifestazione di compassione e sostegno alle vittime: è responsabilità che vi viene da Dio, quali Pastori, quella di fasciare le ferite causate da ogni violazione della fiducia, di favorire la guarigione, di promuovere la riconciliazione e di accostare con amorevole preoccupazione quanti sono stati così seriamente danneggiati.
La risposta a simile situazione non è stata facile e, come indicato dal Presidente della vostra Conferenza Episcopale, è stata "talvolta gestita in pessimo modo". Ora che la dimensione e la gravità del problema sono compresi più chiaramente, avete potuto adottare misure di rimedio e disciplinari più adeguate e promuovere un ambiente sicuro che offre maggiore protezione ai giovani. Mentre si deve ricordare che la stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in America svolgono un’eccellente opera nel recare il messaggio liberante del Vangelo alle persone affidate alle loro premure pastorali, è di vitale importanza che i soggetti vulnerabili siano sempre protetti da quanti potrebbero causare ferite. A tale proposito, i vostri sforzi per alleviare e proteggere stanno portando grande frutto non soltanto nei confronti di quanti sono posti direttamente sotto la vostra cura pastorale, ma anche dell’intera società.
Se vogliamo che raggiungano il loro pieno scopo, tuttavia, occorre che le misure e le strategie da voi adottate siano poste in un contesto più ampio. I bambini hanno diritto di crescere con una sana comprensione della sessualità e il ruolo che le è proprio nelle relazioni umane. Ad essi dovrebbero essere risparmiate le manifestazioni degradanti e la volgare manipolazione della sessualità oggi così prevalente; essi hanno il diritto di essere educati negli autentici valori morali radicati nella dignità della persona umana. Ciò ci riporta alla considerazione sulla centralità della famiglia e sulla necessità di promuovere il Vangelo della vita. Che cosa significa parlare della protezione dei bimbi quando la pornografia e la violenza possono essere guardate in così tante case attraverso i mass media ampiamente disponibili oggi? Dobbiamo con urgenza riaffermare i valori che sorreggono la società, così da offrire a giovani e adulti una solida formazione morale. Tutti hanno un ruolo da svolgere in tale compito, non solo i genitori, le guide religiose, gli insegnanti e i catechisti, ma anche l’informazione e l’industria dell’intrattenimento. Sì, ogni membro della società può contribuire a questo rinnovamento morale e trarre beneficio da esso. Prendersi cura davvero dei giovani e del futuro della nostra civiltà significa riconoscere la nostra responsabilità di promuovere e di vivere quegli autentici valori morali che soli rendono capace la persona umana di prosperare. È vostro compito di pastori che hanno come modello Cristo, il Buon Pastore, di proclamare in modo forte e chiaro tale messaggio e di affrontare pertanto il peccato d’abuso entro il più vasto contesto dei comportamenti sessuali. Inoltre, nel riconoscere il problema e nell’affrontarlo quando accade in un contesto ecclesiale, voi potete offrire un orientamento agli altri, dato che questa piaga si trova non solo dentro le vostre Diocesi, ma in ogni settore della società. Essa esige una risposta determinata e collettiva.
Pure i sacerdoti hanno bisogno della vostra guida e della vostra vicinanza durante questo tempo difficile. Essi hanno sperimentato la vergogna per ciò che è accaduto e molti di loro percepiscono di avere perduto parte di quella fiducia che una volta avevano. Non sono pochi quelli che sperimentano una vicinanza a Cristo nella sua Passione, mentre si sforzano di affrontare le conseguenze della crisi presente. Il Vescovo, come padre, fratello e amico dei suoi sacerdoti, li può aiutare a trarre frutto spirituale da questa unione con Cristo, rendendoli consci della consolante presenza del Signore nel mezzo delle loro sofferenze, ed incoraggiandoli a camminare con il Signore nel sentiero della speranza (cfr Spe salvi, 39). Come osservava il Papa Giovanni Paolo II sei anni orsono, "dobbiamo aver fiducia che questo tempo di prova porterà una purificazione dell’intera comunità cattolica",che condurrà "ad un sacerdozio più santo, ad un episcopato più santo e ad una Chiesa più santa" (Messaggio ai Cardinali degli Stati Uniti, 23 aprile 2002, 4). Vi sono molti segni che, nel periodo successivo, una tale purificazione ha davvero avuto luogo. La costante presenza di Cristo nel mezzo delle nostre sofferenze sta gradualmente trasformando le nostre tenebre in luce: ogni cosa viene fatta nuova veramente in Cristo Gesù, nostra speranza.
In questo momento parte vitale del vostro compito è di rafforzare i rapporti con i vostri sacerdoti, specialmente in quei casi in cui è sorta tensione fra preti e Vescovi in conseguenza della crisi. È importante che continuiate a dimostrare nei loro confronti la vostra preoccupazione, il vostro sostegno e la vostra guida attraverso l’esempio. Così di certo li aiuterete ad incontrare il Dio vivente e li orienterete verso quella speranza che trasforma l’esistenza della quale parla il Vangelo. Se voi stessi vivrete in un modo che si configura strettamente a Cristo, il Buon Pastore, che diede la vita per le sue pecore, ispirerete i vostri fratelli sacerdoti a dedicarsi nuovamente al servizio del gregge con la generosità che caratterizzò Cristo. In verità, una concentrazione più chiara sull’imitazione di Cristo nella santità di vita è ciò che abbisogna, se vogliamo andare avanti. Dobbiamo riscoprire la gioia di vivere un’esistenza incentrata su Cristo, coltivando le virtù ed immergendoci nella preghiera. Quando i fedeli sanno che il loro pastore è uomo che prega e dedica la propria vita al loro servizio, rispondono con quel calore ed affetto che nutre e sostiene la vita dell’intera comunità.
Il tempo trascorso nella preghiera non è mai gettato via, per quanto siano importanti i doveri che ci pressano da ogni dove. L’adorazione di Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento prolunga ed intensifica quell’unione a lui che si costituisce mediante la Celebrazione eucaristica (cfr Sacramentum caritatis, 66). La contemplazione dei misteri del Rosario sprigiona tutta la loro forza salvifica conformandoci, unendoci e consacrandoci a Gesù Cristo (cfr Rosarium Virginis Mariae, 11.15). La fedeltà alla Liturgia delle Ore assicura che l’intero nostro giorno sia santificato, ricordandoci continuamente la necessità di restare concentrati nel compiere l’opera di Dio, nonostante tutte le urgenze o le distrazioni che possono sorgere nei confronti degli obblighi da compiere. In tale maniera, la devozione ci aiuta a parlare e ad agire in persona Christi, ad insegnare, governare e santificare i fedeli nel nome di Gesù, recando la sua riconciliazione, la sua guarigione ed il suo amore a tutti i suoi amati fratelli e sorelle. Questa radicale configurazione a Cristo Buon Pastore è al centro del nostro ministero pastorale e se apriamo noi stessi, mediante la preghiera, alla potenza dello Spirito, Egli ci elargirà i doni di cui abbiamo bisogno per compiere il nostro formidabile dovere, tanto da non dover mai preoccuparci "di come o di che cosa parlare" (Mt 10,19).
Nel concludere questo mio discorso rivolto a voi questa sera, affido in maniera tutta particolare la Chiesa che è nel vostro Paese alla materna sollecitudine e all’intercessione di Maria Immacolata, Patrona degli Stati Uniti. Possa lei, che ha portato nel proprio grembo la speranza di tutte le Nazioni, intercedere per il popolo di questa Nazione, affinché tutti siano resi nuovi in Cristo Gesù, il Figlio suo. Cari Fratelli Vescovi, assicuro a ciascuno di voi qui presente la mia profonda amicizia e la mia partecipazione alle vostre preoccupazioni pastorali. A voi tutti, al clero, ai religiosi ed ai fedeli laici imparto cordialmente la Benedizione Apostolica, pegno di gioia e di pace in Cristo Risorto.
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INCONTRO CON I VESCOVI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA
RISPOSTE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
ALLE DOMANDE POSTE DAI VESCOVI AMERICANI
Santuario Nazionale dell'Immacolata Concezione di Washington, D.C.
Mercoledì, 16 aprile 2008
1. Viene chiesto al Santo Padre di esprimere la propria valutazione sulla sfida del secolarismo in aumento nella vita pubblica e sul relativismo nella vita intellettuale, come pure i Suoi suggerimenti su come affrontare tali sfide dal punto di vista pastorale, per poter compiere l’opera di evangelizzazione più efficacemente.
Ho affrontato brevemente questo tema nel mio discorso. Ritengo significativo il fatto che qui in America, a differenza di molti luoghi in Europa, la mentalità secolare non si è posta come intrinsecamente opposta alla religione. All’interno del contesto della separazione fra Chiesa e Stato, la società americana è sempre stata segnata da un fondamentale rispetto della religione e del suo ruolo pubblico e, se si vuol dar credito ai sondaggi, il popolo americano è profondamente religioso. Ma non è sufficiente contare su questa religiosità tradizionale e comportarsi come se tutto fosse normale, mentre i suoi fondamenti vengono lentamente erosi. Un impegno serio nel campo dell’evangelizzazione non può prescindere da una diagnosi profonda delle sfide reali che il Vangelo ha di fronte nella cultura contemporanea americana.
Naturalmente, ciò che è essenziale è una corretta comprensione della giusta autonomia dell’ordine secolare, un’autonomia che non può essere disgiunta da Dio Creatore e dal suo piano di salvezza (cfr Gaudium et spes, 36). Forse il tipo di secolarismo dell’America pone un problema particolare: mentre permette di credere in Dio e rispetta il ruolo pubblico della religione e delle Chiese, sottilmente tuttavia riduce la credenza religiosa al minimo comune denominatore. La fede diviene accettazione passiva che certe cose "là fuori" sono vere, ma senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una crescente separazione della fede dalla vita: il vivere "come se Dio non esistesse". Ciò è aggravato da un approccio individualistico ed eclettico alla fede e alla religione: lungi dall’approccio cattolico del "pensare con la Chiesa", ogni persona crede di avere un diritto di individuare e scegliere, mantenendo i vincoli sociali ma senza una conversione integrale, interiore alla legge di Cristo. Di conseguenza, piuttosto che essere trasformati e rinnovati nell’animo, i cristiani sono facilmente tentati di conformarsi allo spirito del secolo (cfr Rm 12,3). L’abbiamo constatato in maniera acuta nello scandalo dato da cattolici che promuovono un presunto diritto all’aborto.
Ad un livello più profondo, il secolarismo sfida la Chiesa a riaffermare e a perseguire ancor più attivamente la sua missione nel e al mondo. Come è stato reso chiaro dal Concilio, i laici a questo riguardo hanno una responsabilità particolare. Sono convinto che ciò di cui vi è bisogno sia un maggior senso del rapporto intrinseco fra il Vangelo e la legge naturale da una parte, e il perseguimento dall’altra dell’autentico bene umano, come viene incarnato nella legge civile e nelle decisioni morali personali. In una società che giustamente tiene in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere ad ogni livello i suoi insegnamenti – nella catechesi, nella predicazione, nell’istruzione seminaristica ed universitaria – un’apologetica tesa ad affermare la verità della rivelazione cristiana, l’armonia tra fede e ragione, ed una sana comprensione della libertà, vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del peccato che per una vita autentica e piena. In una parola, il Vangelo dev’esser predicato ed insegnato come un modo di vita integrale, che offre una risposta attraente e veritiera, intellettualmente e praticamente, ai problemi umani reali. La "dittatura del relativismo", alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana, la quale matura soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità.
Si potrebbe dire molto di più, naturalmente, su questo argomento: lasciatemi concludere, tuttavia, dicendo che io credo che la Chiesa in America, in questo preciso momento della sua storia, ha di fronte a sé la sfida di ritrovare la visione cattolica della realtà e di presentarla in maniera coinvolgente e con fantasia ad una società che fornisce ogni genere di ricette per l’auto realizzazione umana. Penso in particolare al nostro bisogno di parlare al cuore dei giovani, i quali, nonostante la costante esposizione a messaggi contrari al Vangelo, continuano ad aver sete di autenticità, di bontà, di verità. Molto resta ancora da fare a livello della predicazione e della catechesi nelle parrocchie e nelle scuole, se si vuole che l’evangelizzazione rechi frutto per il rinnovamento della vita ecclesiale in America.
2. Il Santo Padre viene interrogato riguardo ad "un certo silenzioso processo" mediante il quale i cattolici abbandonano la pratica della fede, talvolta mediante una decisione esplicita, ma più spesso quietamente e gradualmente allontanandosi dalla partecipazione alla Messa e dall’identificazione con la Chiesa.
Certamente molto di tutto ciò dipende dal progressivo ridursi di una cultura religiosa, talvolta paragonata in modo dispregiativo ad un "ghetto", che potrebbe rafforzare la partecipazione e l’identificazione con la Chiesa. Come ho appena detto, una delle grandi sfide che stanno di fronte alla Chiesa in questo Paese è quella di coltivare un’identità cattolica basata non tanto su elementi esterni, quanto piuttosto su un modo di pensare e di agire radicato nel Vangelo ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa.
Il tema coinvolge chiaramente fattori come l’individualismo religioso e lo scandalo. Ma andiamo al cuore della questione: la fede non può sopravvivere se non è nutrita, se non "opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). La gente ha oggi difficoltà ad incontrare Dio nelle nostre chiese? La nostra predicazione ha forse perso il proprio sale? Non potrebbe ciò essere dovuto al fatto che molti hanno dimenticato, o addirittura mai imparato, come pregare nella e con la Chiesa?
Non parlo qui di persone che lasciano la Chiesa alla ricerca di "esperienze" religiose soggettive; questo è un tema pastorale da affrontare nei termini propri. Penso che stiamo parlando di persone che sono cadute fuori strada senza aver coscientemente rigettato la fede in Cristo, ma che, per una qualche ragione, non hanno ricevuto forza vitale dalla liturgia, dai Sacramenti, dalla predicazione. Eppure la fede cristiana, come sappiamo, è essenzialmente ecclesiale, e senza un vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà mai sino a maturità. Per tornare alla questione appena discussa: il risultato può essere un’apostasia silenziosa.
Lasciatemi perciò fare due brevi osservazioni sul problema del "processo di abbandono", che spero stimoleranno ulteriori riflessioni.
Per prima cosa, come sapete, diviene sempre più difficile nelle società occidentali parlare in maniera sensata di "salvezza". Eppure la salvezza – la liberazione dalla realtà del male e il dono di una vita nuova e libera in Cristo – è al cuore stesso del Vangelo. Dobbiamo riscoprire, come ho già detto, modi nuovi e avvincenti per proclamare questo messaggio e risvegliare una sete di quella pienezza che soltanto Cristo può dare. È nella liturgia della Chiesa, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, che queste realtà vengono manifestate nel modo più potente e vengono vissute nell’esistenza dei credenti; forse abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione del Concilio circa la liturgia, come esercizio del sacerdozio comune e come slancio per un fruttuoso apostolato nel mondo.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere con preoccupazione la quasi completa eclissi di un senso escatologico in molte delle nostre società tradizionalmente cristiane. Come sapete, ho sollevato tale problema nell’enciclica Spe salvi. Basti dire che fede e speranza non sono limitate a questo mondo: come virtù teologali esse ci uniscono al Signore e ci portano verso il compimento non soltanto del nostro destino ma anche di quello di tutta la creazione. La fede e la speranza sono l’ispirazione e la base dei nostri sforzi per prepararci alla venuta del Regno di Dio. Nel cristianesimo non vi può essere posto per una religione puramente privata: Cristo è il Salvatore del mondo e, quali membra del suo Corpo e partecipi dei suoi munera profetico, sacerdotale e regale, non possiamo separare il nostro amore per Lui dall’impegno dell’edificazione della Chiesa e dell’ampliamento del Regno. Nella misura in cui la religione diventa un affare puramente privato, essa perde la sua stessa anima.
Lasciatemi concludere, affermando l’ovvio. I campi sono a tutt’oggi pronti per la mietitura (cfr Gv 4,35); Dio continua a far crescere la messe (cfr 1 Cor 3,6). Possiamo e dobbiamo credere, insieme col defunto Papa Giovanni Paolo II, che Dio sta preparando una nuova primavera per la cristianità (cfr Redemptoris missio, 86). Ciò di cui c’è maggior bisogno, in questo specifico tempo della storia della Chiesa in America, è il rinnovamento di quello zelo apostolico che ispiri i suoi pastori in maniera attiva a cercare gli smarriti, a fasciare quanti sono stati feriti e a rafforzare i deboli (cfr Ez 34,16). E ciò, come ho detto, esige nuovi modi di pensare basati su una sana diagnosi delle sfide odierne ed un impegno per l’unità nel servizio alla missione della Chiesa verso le generazioni presenti.
3. Viene chiesto al Santo Padre di esprimere una sua valutazione sul declino delle vocazioni, nonostante il numero crescente della popolazione cattolica, e sulle ragioni della speranza offerte dalle qualità personali e dalla sete di santità che caratterizzano i candidati che decidono di proseguire.
Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una Chiesa locale. Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo riguardo. Dio continua a chiamare i giovani, ma spetta a noi incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata. D’altra parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata.
Nel Vangelo, Gesù ci dice di pregare perché il Signore della messe mandi operai; egli ammette pure che gli operai sono pochi al confronto dell’abbondanza della messe (cfr Mt 9,37-38). Sembrerà strano, ma io spesso penso che la preghiera – l’unum necessarium – è l’unico aspetto delle vocazioni che sia efficace e noi tendiamo spesso a dimenticarlo o a sottovalutarlo!
Non parlo soltanto di preghiera per le vocazioni. La preghiera stessa, nata nelle famiglie cattoliche, nutrita da programmi di formazione cristiana, rafforzata dalla grazia dei Sacramenti, è il mezzo principale mediante il quale veniamo a conoscere la volontà di Dio per la nostra vita. Nella misura in cui insegniamo ai giovani a pregare, e a pregare bene, noi cooperiamo alla chiamata di Dio. I programmi, i piani e i progetti hanno il loro posto, ma il discernimento di una vocazione è anzitutto il frutto di dialogo intimo fra il Signore e i suoi discepoli. I giovani, se sanno pregare, possono essere fiduciosi di sapere che cosa fare della chiamata di Dio.
È stato notato che vi è una sete crescente di santità in molti giovani oggi e che, anche se in numero sempre minore, quanti vanno avanti dimostrano un grande idealismo e offrono molte promesse. È importante ascoltarli, comprendere le loro esperienze ed incoraggiarli ad aiutare i coetanei a vedere il bisogno di sacerdoti e religiosi impegnati, come pure a vedere la bellezza di una vita di sacrificio e di servizio al Signore e alla sua Chiesa. A mio giudizio, molto è richiesto ai direttori e formatori delle vocazioni: ai candidati, oggi più che mai, bisogna offrire una sana formazione intellettuale e umana che li ponga in grado non soltanto di rispondere alle domande reali e ai bisogni dei contemporanei, ma anche di maturare nella loro conversione e di perseverare nella vocazione attraverso un impegno che duri per la vita intera. Quali Vescovi, siete coscienti del sacrificio che viene richiesto quando vi domandano di sollevare dagli impegni uno dei vostri preti migliori per lavorare in seminario. Vi esorto a rispondere con generosità per il bene della Chiesa intera.
Da ultimo, penso che sappiate per esperienza che molti dei vostri fratelli sacerdoti sono felici nella loro vocazione. Ciò che dissi nel mio discorso sull’importanza dell’unità e della collaborazione con il presbiterio si applica anche in questo campo. Vi è la necessità per tutti noi di lasciare le sterili divisioni, i disaccordi e i preconcetti e di ascoltare insieme la voce dello Spirito che guida la Chiesa verso un futuro di speranza. Ciascuno di noi sa quanto importante è stata la fraternità sacerdotale nella propria vita; essa non è soltanto un possesso prezioso, ma anche una risorsa immensa per il rinnovamento del sacerdozio e la crescita di nuove vocazioni. Desidero concludere incoraggiandovi a creare opportunità di un dialogo ancora maggiore e di incontri fraterni fra i vostri sacerdoti, specialmente quelli giovani. Sono convinto che ciò porterà frutto per il loro arricchimento, per l’aumento del loro amore al sacerdozio e alla Chiesa, come pure per l’efficacia del loro apostolato.
Con queste poche osservazioni, vi incoraggio ancora una volta nel vostro ministero nei confronti dei fedeli affidati alle vostre premure pastorali e vi affido all’amorevole intercessione di Maria Immacolata, Madre della Chiesa.
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INCONTRO CON I VESCOVI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA
PRESENTAZIONE DI UN CALICE
DA PARTE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
ALL'ARCIVESCOVO DI NEW ORLEANS
Santuario Nazionale dell'Immacolata Concezione di Washington, D.C.
Mercoledì, 16 aprile 2008
Prima di andarmene, vorrei soffermarmi per un istante e prendere atto dell’immensa sofferenza sopportata dal Popolo di Dio nell’Arcidiocesi di New Orleans per effetto dell’uragano Katrina, come anche del suo coraggio nell’affrontare l’opera della ricostruzione. Desidero fare dono all’Arcivescovo Alfred Hughes di un calice, nella speranza che esso sia accolto come segno della mia orante solidarietà verso i fedeli dell’Arcidiocesi e della mia personale gratitudine per l’infaticabile operosità che egli e gli Arcivescovi Philip Hannan e Francis Schulte hanno dimostrato nei riguardi del gregge affidato alle loro cure.
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