Stanno minando la casa dei figli
Paolo Viana
("Avvenire", 1/9/’07)
Lo scioglimento dei poli e la sete dei campi di mais sono facce diverse della stessa medaglia, anche se si mostrano a migliaia di chilometri di distanza. Le ceneri del Gargano e lo scempio della foresta amazzonica rappresentano la medesima sconfitta, ad un tempo locale e globale. Eppure finora non ce ne rendevamo conto.
Per molto tempo, preoccuparsi per l'ambiente è stato il privilegio di "élites" ipersensibili, guardate con il sospetto riservato alle avanguardie e, purtroppo, inclini a derive integraliste e opportunismi politici. Prima di disporre di un ampio "sostrato" sociale di sensibilità nei confronti dell'ambiente ci sono voluti anni di assalti di "Greenpeace" alle baleniere, di documentari angoscianti sui cormorani soffocati dagli scarichi delle navi, di inchieste scioccanti sull'aria che respiriamo. E non sono bastati. I "media" hanno rivelato tutti i limiti di una "force de frappe" che sfonda le pareti della tranquillità domestica con i suoi messaggi, ma altrettanto facilmente li abbandona in un angolo, per seppellirli con altri "input".
Sotto le emozioni, nel frattempo, si è fatta strada una cultura della "salvaguardia del Creato", costruita con intelligenza e coraggio da chi crede nella prossimità del danno ambientale e nella "corresponsabilità", due concetti a lungo sottovalutati. A questa maturazione hanno nei fatti contribuito anche i cattolici, con il loro impegno personale e i documenti del magistero e la seconda "Giornata per la salvaguardia del Creato", che si celebra oggi, è la prova del lungo percorso compiuto, spesso nel disinteresse generale. Nei "media", ad esempio, ha fatto un certo effetto la recente condanna papale degli incendi, definiti «azione criminosa». Eppure, la posizione della Chiesa era chiara da tempo: per restare a Benedetto XVI, il messaggio per la "Giornata della pace" del 1° gennaio 2007 aveva già messo in relazione «la pace con il Creato e la pace tra gli uomini», evidenziando la connessione tra il rispetto della natura e i sentimenti di giustizia e solidarietà che devono informare la vita dei cristiani.
Coerentemente, quest'anno, la seconda "Giornata per la salvaguardia del Creato" torna a saldare insieme ecologia naturale ed ecologia umana e a sottolineare lo «stretto rapporto tra giustizia, pace e salvaguardia del Creato». Ma un'ulteriore conferma del coraggio e della schiettezza dei Vescovi italiani viene dalla scelta del tema, quell'acqua che divide poveri e multinazionali, «bene comune della famiglia umana, da gestire in modo adeguato per garantire la vivibilità del pianeta anche alle prossime generazioni», ma anche vittima di quell'uso «improprio» che concorre alla sete globale. Sulle cause del "surriscaldamento" della Terra, si sa, il dibattito è aperto. È indubitabile, però, che la scarsità di risorse idriche - che trasforma un bene comune in un bene economico su cui si può imporre una contabilità "escludente" - induce in tutti una "concettualizzazione" semplice e immediata del valore del Creato. Come e più degli incendi che ci fanno fuggire terrorizzati, o della stessa "mucca pazza" che ci impone di cambiare dieta, la sete dei campi, che si riflette nella busta della spesa, l'incubo ricorrente del "black out" elettrico nelle metropoli e il razionamento dell'acqua potabile nei piccoli centri, con la loro quotidianità ci spiegano cosa significhi essere creature inserite in un disegno, che possiamo proteggere o rovinare con le nostre azioni di tutti i giorni.
Questa Giornata ha, in tal senso, un'incidenza ben superiore a una qualsiasi campagna di sensibilizzazione. Perché non parla alle emozioni. Dialoga con l'intelligenza e cerca di distoglierla dalla convinzione che tutto possa essere ridotto a un dato economico. E soprattutto risveglia il senso di responsabilità che è in ciascuna creatura in quanto tale, indipendentemente dal suo credo religioso. Che «senza acqua la vita è minacciata» lo afferma il "Compendio della Dottrina sociale della Chiesa cattolica", ma è, ugualmente, una verità per tutti.