«Appiccare gli incendi, offesa al bene comune»
Il teologo moralista: così si rompe l’alleanza con il Creatore.
Paolo Viana
("Avvenire", 26/7/’07)
«È peccato mortale appiccare un incendio e mettere in pericolo la vita delle persone, oltre a quella del bosco». Karl Golser è al centro di una foresta, mentre ci parla, e questa circostanza rende ancor più perentorio il suo giudizio. Immerso nel verde delle sue montagne dell’Alto Adige, questo professore di teologia, che guida l’"Associazione teologica italiana per lo studio della morale", precisa, distingue e circoscrive il giudizio, quasi per farsi carico di tutta la sua pesantezza, ma poi spiega con chiarezza che «sul piano oggettivo si tratta di un peccato dalla gravità estrema, che diventa un peccato mortale se esiste l’avvertenza di quel che si fa e la libertà nel farlo. In quel caso si interrompe il rapporto con Dio».
Gli incendi di questi giorni ripropongono il problema dell’esistenza di diversi livelli di responsabilità, sempre difficili da circoscrivere...
Bisogna partire dalla considerazione che appiccare un incendio è una colpa grave, senza dubbio. Se poi si mette a repentaglio la vita delle persone, come è avvenuto tragicamente in questi giorni, allora siamo nella sfera del peccato mortale. La teologia distingue il piano oggettivo e quello soggettivo, tiene conto dell’avvertenza e della libertà, come ho detto, ma tiene anche conto delle altre motivazioni, che alle volte aggravano la posizione del cristiano che si macchi di questa colpa. Ad esempio, il fatto che dietro l’azione delittuosa ci sia quasi sempre una finalità economica appesantisce la responsabilità del mandante.
Perché ferire la natura è così grave per chi crede?
Nelle Sacre Scritture, i boschi e l’acqua sono sempre sacri, in quanto sono dono di Dio che permette la vita e il rispetto verso di loro rientra nel dovere alla salvaguardia del Creato. L’albero, poi, nelle parabole di Gesù, è anche simbolo del regno di Dio. Teniamo presente che non è un’esclusiva cristiana. L’albero riveste quest’importanza in tante religioni, anche "precristiane": quando i primitivi abbattevano una pianta erano soliti effettuare un sacrificio che "compensasse" questa perdita. Il compendio della "Dottrina sociale della Chiesa" espone con ricchezza di argomentazioni le preoccupazioni per il Creato e i doveri dei cristiani, che possiamo facilmente rintracciare anche nel "Decalogo", ai comandamenti quinto e settimo.
Se sono indiscutibilmente un’emergenza per i cristiani, gli "attentati" al Creato rientrano tra le emergenze per la Chiesa?
Certamente. Ed esiste un’ampia documentazione del dibattito di questi anni. Inoltre, alla prossima "Terza Assemblea Ecumenica Europea", che si terrà a Sibiu in Romania, affronteremo proprio il problema del clima ed il fatto degli incendi è collegato ad esso. Naturalmente, l’emergenza vera e propria riguarda la foresta amazzonica, la cui situazione è tragica, e che si "interfaccia" con altri fenomeni devastanti, come la desertificazione. Globalmente, provocare un incendio significa danneggiare direttamente l’ambiente, perché il bosco è la "spugna" che assorbe l’anidride carbonica. Gli incendi di questi giorni impoveriscono tutto il pianeta e l’Italia per prima.
L’emergenza ambientale è anche un’emergenza morale?
Il fenomeno degli incendi, che è sotto gli occhi di tutti, dimostra quanto si sia ormai perso il senso dello Stato e quello del bene comune nella nostra società. L’esperienza che si fa sempre più spesso di una legge incapace di imporsi sui comportamenti dei cittadini provoca il primo "scollamento", che è gravissimo, perché conduce a "fare i furbi" anche quando si mette in pericolo la vita degli altri. Di fronte a questa deriva mi pare necessario inasprire la risposta pubblica. Ma, ancora più subdola e pericolosa, è l’evanescenza del bene comune, del rispetto per le istituzioni, della collaborazione con esse. La "Settimana Sociale" del centenario, che si svolgerà a Pisa e Pistoia, si svilupperà proprio intorno a questo tema del bene comune, attualizzando il messaggio contenuto nella "Dottrina sociale della Chiesa", che considera il bene comune come quella struttura di base che permette la convivenza tra gli uomini. Purtroppo, oggi, l’economia com’è gestita è capace di produrre beni privati ma non beni comuni. Per questa ragione l’intervento dello Stato nell’economia, che è diretto per l’appunto a creare dei beni pubblici, serve ancora.
Da dove si può iniziare a spegnere l’incendio che ha consumato il nostro senso civico?
Nella mia regione, cioè l’Alto Adige, funziona particolarmente bene la collaborazione tra lo Stato e i volontari, anche nella cura delle foreste e nella protezione civile. Questo dialogo tra le istituzioni e la società civile circoscrive bene l’ambito entro cui può svilupparsi il bene comune ed è un percorso possibile ovunque. Si tratta però di un "feeling" che va creato fin da bambini. Lo snodo principale sono le agenzie educative, cioè la scuola e la famiglia, che devono insegnare la sussidiarietà e la solidarietà, ponendo le basi perché si formi una rete virtuosa che alimenti la responsabilità verso il Creato.