VERSO LA PAPUA NUOVA GUINEA
CHI PARTE E CHI LASCIA PARTIRE
Busto Arsizio, parrocchia del SS. Redentore.
Sr. Antonella, partente per la Papua Nuova Guinea,
riceve il mandato missionario dalla sua comunità di origine.
Sr. Antonella Tovaglieri
("Missionarie dell’Immacolata", Marzo 2007)
Il viaggio per la Papua Nuova Guinea, come tutti i viaggi importanti, inizia dall'aeroporto. Ho accompagnato tante volte missionarie in partenza per la missione. La differenza è che questa volta la partenza è la mia. Quando si arriva all'aeroporto bisogna presentarsi al banco per il check-in e al personale di servizio bisogna consegnare il passaporto e il biglietto e pesare i bagagli per accertarsi che non siano troppo pesanti.
Due semplici azioni, due gesti di routine che oggi a me dicono qualche cosa di più profondo.
Mostrare il passaporto è come dire: "Posso entrare in casa tua?". È chiedere il permesso di entrare in una terra che non è la mia. Io sono straniera in Papua Nuova Guinea.
Questo per me è un richiamo molto forte a partire con una certa umiltà. Desidero partire con l'atteggiamento evangelico di chi vuole entrare in casa d'altri ascoltando, accogliendo, rispettando e soprattutto con il desiderio di ricevere le ricchezze della gente della Papua Nuova Guinea.
In fondo gli abitanti di quella terra hanno vissuto fino ad oggi senza di me, non sarò certo io a cambiare le situazioni di tutto un Paese. Mostrare un passaporto, chiedere un permesso, preparare tanti documenti mi aiuta a riflettere e a mettermi nella disposizione giusta.
I bagagli: occorre non caricarli troppo altrimenti si paga l'eccedenza.
Ho scelto tre cose veramente importanti da mettere nella valigia.
Anzitutto mi porto la prima pagina del Vangelo di Matteo. Quella pagina che descrive tutta la genealogia di Gesù. È quella lunga lista di nomi la cui lettura ci sembra anche un po' pesante. Sono volti e vite di persone che hanno fatto la storia della salvezza. Dentro quella lista ci siamo anche noi.
Sono volti e storie di persone che mi hanno insegnato a pregare, una comunità nella quale ho mosso i primi passi nella fede, sono volti e situazioni che mi hanno permesso di fare l'esperienza di sentirmi amata e dove ho imparato a donarmi.
Non sono storie, volti e situazioni necessariamente perfetti, dove tutto funziona a meraviglia, ma del resto chi può dire che fossero storie perfette quelle dei nomi che formano la lunga genealogia? Eppure proprio da essa Dio ci ha dato il Salvatore, il suo Figlio Gesù. Dio per libera scelta d'amore ha voluto coinvolgere uomini e donne, e tra loro anche noi, affinché Gesù potesse essere generato.
Voglio simbolicamente portare questa lista per ricordarmi che io sono parte di una storia e di un progetto che Dio da sempre ha preparato per me e che io ho scoperto nella mia vita grazie a tanti suoi strumenti.
Altri due segni voglio mettere nel bagaglio, sono i segni che mi sono stati consegnati durante la celebrazione di invio: il Vangelo e il Crocifisso.
Porto con me la Parola di Dio, perché è cibo che alimenta la mia vita, è bussola che mi indica la direzione delle scelte secondo la logica del Vangelo. Non posso lasciare a casa il Vangelo perché finirebbe lo scopo del mio partire. È l'amore di Cristo che voglio annunciare e condividere con i fratelli della Papua.
Il Crocifisso, compagno indivisibile. Io sono una persona che sente di appartenere a Cristo Gesù. A Lui ho legato la mia vita, a Lui e alle sue scelte. Questo il significato della mia consacrazione per la missione.
Porto il Crocifisso per ricordarmi ogni giorno che la mia vita e la missione sono radicate nell'Amore che fa dono totale di sé. È Gesù che devo amare, è Gesù che devo annunciare.
Ma i passi da fare non sono finiti: dopo il check-in si arriva al gate, quel cancello che separa chi parte da chi resta, o meglio, secondo un'altra prospettiva, che separa chi parte da chi lascia partire.
Durante la celebrazione del mandato eravamo come davanti al gate. Io parto, ma la mia comunità parrocchiale in quel momento stava compiendo un altissimo gesto missionario, perché mi lasciava andare. La comunità mi manda spinta dall'amore che mai tiene gli altri egoisticamente legati a sé. È una comunità che mi lascia partire perché sa che altri hanno diritto alla Parola del Vangelo. Questo è il ponte che unisce chi, per vie differenti, sente la stessa passione missionaria di annunciare a tutti l'amore di Cristo.
Vorrei che ci scambiassimo, con quanti vivono con me la mia partenza per la Papua, un augurio missionario usando le parole che papa Benedetto aveva pronunciato qualche anno fa nella Basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma: "Il Signore non mi dia pace di fronte alle urgenze dell'annuncio evangelico nel mondo di oggi".