Una nuova consapevolezza della fede
nell’accostarsi degli adulti al Sacramento
Pierangelo Sequeri
("Avvenire", 22/3/’08)
L’elemento più interessante, nel riprender corpo della pratica del "Battesimo" degli adulti – a quanto pare, fenomeno in crescita e di rilievo non marginale – mi sembra questo: il Sacramento si riprende la "parola".
Intendiamoci, non che l’avesse persa. Il Battesimo, come ogni Sacramento cristiano, non è mai senza la parola, quasi fosse una magia o uno "scongiuro" che ti avvolge nella "ragnatela spiritistica" di cose che altri, nell’ombra, fanno su di te. Il Battesimo dei bambini è sostenuto da una parola "prestata", a buon diritto, dagli affetti più profondi: che in molti modi interpretano il tuo "inespresso" desiderio di bene, oltre la parola. Contano sul fatto che il desiderio, iscritto nelle attese d’amore dell’essere umano che viene al mondo – umano "in-fans", bambino "non-parlante" per definizione – è un desiderio che nasce già affidato. L’attesa è onorata se la promessa che lo anticipa è sincera. E la promessa è sincera se la garanzia di "restituzione" del dono al "dominio" della parola, della coscienza, della libertà, è leale: anzi, oggetto di cura "assidua", affinché proprio così, nell’appropriazione del singolo, si compia il suo senso.
È un fatto, però, che la verità cristiana del Sacramento, nella sua interezza, sta nell’evidenza della qualità personale di quel legame. "Mediato", quel legame, lo sarà sempre. Dalla fede della Chiesa lo si apprende, nella fede della Chiesa lo si fa proprio. In una società in cui lo spessore di questa "mediazione" è religiosamente ovvio e affettivamente condiviso, la maturazione personale della fede si lascia immaginare come un effetto conseguente. In un diverso contesto "socio-culturale", dove l’ovvietà di tale esito risulta debole, la verità della sua "anticipazione", nel Battesimo dei bambini, si attenua molto.
Ne emerge la percezione – diffusa, per quanto "anomala" – che la qualità personale della fede, che vive della parola data, e non solo ricevuta, sia tutto sommato secondaria per la verità del Sacramento. La liberazione dal peccato d’origine e l’iscrizione dell’appartenenza "confessionale" fanno "premio" su tutto il resto. Ma nel Battesimo cristiano, il "resto" è molto.
In un’epoca come la nostra, dove è definitivamente maturata – non senza contraddizioni, certo, ma anche per impulso determinante del "seme cristiano" – l’irreversibile "consapevolezza" della qualità personale dell’essere umano, l’evidenza individuale del legame tra fede e Sacramento diventa decisiva per la "restituzione" del segno cristiano alla sua bellezza. Bellezza per adulti, in primo luogo, non semplice cosa di bambini.
Bellezza non "ignara" delle cose della vita, non inconsapevole della "lotta", non estranea alle decisioni in cui ne va di noi e dei nostri affetti più cari. Se non c’è una bellezza "adulta" del Sacramento che sigilla il "dialogo" con Dio e introduce al "corpo" del Signore, che porta i segni dell’amore a caro prezzo, i bambini non hanno nulla a cui aggrapparsi. Nessuno a cui affidarsi. E quella bellezza se la possono perdere prima ancora di arrivarci.
Tutti presi dalla nostre "chiacchiere" sulla crisi dei tempi, perdiamo i movimenti della vita reale. Rischiamo persino di coltivare, rassegnati, il "pregiudizio" che ha segnato il presunto ingresso nella "modernità" illuminata: la "parola" (la coscienza, la libertà, l’"autodeterminazione") dell’uomo adulto, e il desiderio di essere toccati, "sanati", benedetti, e avvolti dai buoni "legami" generati dal corpo del Signore, non sono fatti per incontrarsi. Quel "pregiudizio" non sapeva già più nulla della bellezza del Sacramento cristiano (e noi stessi, forse, non ne eravamo così "illuminati"). Ma forse sapeva poco anche di bambini e di adulti. In ogni modo, proprio quando non ce lo aspettavamo, molti adulti, semplicemente e con tutta serietà, arrivano a dire con parole proprie l’emozione di una scoperta contraria.
Lassù "qualcuno" ci ama, credenti e non credenti quanti siamo.