Il governo costretto a ringraziare la «nemica» Londra
per il sostegno alimentare.
Si soffre la fame
nello Zimbabwe degli «espropri»
Robert Mugabe ha cavalcato il programma "demagogico"
della «terra ai neri»,
ma oggi un quarto della popolazione
dipende dalle agenzie umanitarie internazionali
e si deve importare grano perfino dal poverissimo Malawi.
Dal nostro inviato ad Harare, Claudio Monici
("Avvenire", 13/11/’07)
John-John, il lustrascarpe che passa la giornata seduto su una cassetta di legno con la schiena piegata in due, borbotta a denti stretti continuando a ripetere: «Stiamo attenti». Gli è facile distinguere le persone, ne ha tanti di clienti, e capisce subito che un bianco che non va in giro con la valigetta di pelle e non torna dalle cascate Vittoria è un visitatore "speciale". Gli piace ricordare quando lavorava per i "settlers", i bianchi inglesi proprietari di fattorie. Si divertiva a condurre il trattore, ma «era più bello – racconta – quando cominciava la stagione della raccolta del granturco. Eravamo felici. Mangiavamo tutti».
«Il leone è vecchio, ma ostinato come un bufalo e ci porterà allo sfascio totale – osa poi – . Al "comrade Mugabe" abbiamo creduti in tanti, ma se mi guardo attorno vedo solo una cosa: sono diventato un uomo libero, con la pancia vuota. Sarei disposto a restituirla, questa libertà, in cambio di un pezzo di pane profumato e sicuro». L’Africa è spesso generosa con i suoi abitanti, ma oggi in Zimbabwe soffrono anche gli alberi di mango, "protettori" dei villaggi, e non soltanto perché la stagione delle piogge, anche qui frustrata dai mutamenti climatici, è lenta a cominciare.
Nelle campagne, gli alberi da frutto, che crescono liberamente infoltendo i margini delle strade asfaltate e solitarie, non fanno a tempo a maturare che mani piccole e grandi vi si aggrappano per attenuare i morsi della fame. Nel Paese non si vedono ancora le manifestazioni di disperazione dovuta alla povertà, ma tanta dignità nella sofferenza. La crisi economica, alimentata dallo sfacelo conseguente all’esproprio degli 8 milioni di ettari di terreni agricoli di proprietà delle famiglie di "farmer" bianchi, «rischia di diventare eterna», sentenzia il lustrascarpe con un sorriso di scherno. Di quei 4.500 coltivatori bianchi allo scoccare del nuovo millennio, ne rimangono oggi meno di 350.
Circa una quindicina sono stati uccisi a botte o con armi da fuoco, con loro almeno quaranta lavoranti. Massacrati durante i violenti assalti delle bande "aizzate" da Mugabe per le espropriazioni: «Restituire le terre ai neri». Il presidente, al potere ininterrottamente dal 1980, difende la politica della "confisca" delle fattorie quale «mezzo necessario per correggere gli squilibri storici nell’assegnazione della terra. Quella migliore era nelle mani della minoranza bianca». Lo stesso potrà accadere anche per tutte le altre attività economico-commerciali del Paese, in seguito all’approvazione parlamentare della legge che stabilisce il controllo dei nativi neri sul 51% delle società operanti sul territorio nazionale. Come risultato, l’esproprio delle aziende agricole ha creato un aumento della disoccupazione: almeno un milione di dipendenti con le loro famiglie messi sulla strada. Quelli rimasti nelle campagne riescono a sopravvivere con ciò che coltivano nel proprio pezzo di terra, come si fosse tornati indietro di un secolo. Altrimenti si va a sperare nella città. Come ha fatto John-John.
Mentre diversi "farmer" bianchi sono stati accolti nei Paesi confinanti dove è stato concesso loro di riavviare le attività agricole.
Secondo una stima di «Justice for agriculture trust» ("Jat"), ente che fornisce assistenza legale agli agricoltori vittime della confisca (comprendente macchinari e attrezzature, per legge assimilati alla terra), il valore complessivo è di 2,5 miliardi di dollari Usa. Il governo ha promesso che i "farmer" saranno indennizzati dei macchinari, ma «in un tempo ragionevole e non prima di cinque anni». Di questo passo, con una "iperinflazione" galoppante che ha sfondato quota 13.000 per cento, mentre i veicoli arrugginiscono, i "silos" crollano e le sterpaglie crescono, come dice il direttore della «Jat», Worsely Worswick, «c’è poco di che rallegrarsi, è stata una rapina alla luce del sole». A calcare la mano è poi l’allarmante previsione rilanciata dal Vice-Ministro degli Esteri del Sudafrica, Aziz Pahad: «In Zimbabwe, l’inflazione entro la fine dell’anno raggiungerà il 100.000 per cento». Il programma delle confische continua. Ad accompagnare le notifiche scritte, le minacce telefoniche di arresto immediato da parte della polizia, se «i "farmer" fanno resistenza e non lasciano tutto subito». Dei dodici proprietari italiani di 21 aziende agricole, solo cinque mantengono ancora il possesso, uno il controllo parziale, per tutti gli altri c’è stata la confisca. Non si può che constatare il risultato fallimentare nel comparto agricolo. I nuovi gestori, subentrati nelle grandi aziende, sono in gran parte ufficiali dell’esercito, agenti della polizia segreta e parenti di Mugabe. Senza alcuna nozione di agricoltura. Un settore che oggi viene sfruttato per meno del 60% delle sue potenzialità. Tanto che lo Zimbabwe in questi sette anni ha dovuto combattere più d’una battaglia contro l’emergenza alimentare. E così un quarto della popolazione, su circa 13 milioni di abitanti, ha bisogno dell’assistenza alimentare fornita dalle agenzie umanitarie internazionali. E a confermare la gravità della situazione è lo stesso Ministro dell’Agricoltura, Rugare Gumbo: «Importeremo granoturco dai Paesi a noi vicini per fronteggiare la scarsità di cibo».
Si tratta del granturco prodotto dagli ex "farmer" dello Zimbabwe che hanno trovato ospitalità tra il Mozambico, il Botswana e il Sudafrica. Il Ministro per il Benessere sociale, Nicholas Goche, fa sapere che il governo dello Zimbabwe «ha chiesto l’aiuto alle agenzie umanitarie dei Paesi amici di Harare», ma anche «a chiunque è nella posizione di poter agire per salvare le vite di quanti oggi elemosinano qualcosa da mangiare». Per indicare quanto la crisi sia acuta, gli osservatori fanno notare che il Ministro Goche ha voluto ringraziare la Gran Bretagna per avere contribuito con otto milioni di sterline al "Programma alimentare mondiale", impegnato nel Paese. Londra non è certo considerata amica, visto che punta il dito contro Mugabe, accusandolo di violare i diritti umani. Dall’altra, Harare imputa ai britannici la responsabilità coloniale dell’attuale situazione disastrosa. Se serve un’altra conferma che la fame assedia lo Zimbabwe, fino a pochi anni fa considerato il granaio d’Africa, la si trova nel fatto che il Paese di Mugabe è costretto a importare il granoturco perfino dal Malawi, il Paese più povero del Continente.