IL VESCOVO RAPITO

Ieri anche l’"appello" dei "leader" islamici.
I cristiani: «I sequestratori: criminali o integralisti?».

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Gli "imam": liberate Rahho

«È stata chiesta una cifra ingente», ma non c’è scadenza.
Manca la prova che l’ostaggio sia vivo.

MONS. PAULOS FARAJ RAHHO, Arcivescovo di Mosul (Iraq). Mons. Rahho, durante un ordinazione sacerdotale...

Luca Geronico
("Avvenire", 4/3/’08)

Si tratta, ma non ancora alla luce del sole. Contatti informali, richieste di «riscatto» e ricerca di prove sulle effettive condizioni dell’arcivescovo Paulos Faraj Rahho.
Intanto la "mobilitazione" per la liberazione dell’anziano e malato sacerdote percorre pure la comunità musulmana. Diverse telefonate domenica «chiedendo un riscatto». Si tratterebbe di «una cifra ingente», ma nessuna prova "inconfutabile" è stata data della presenza del vescovo rapito: inutili sinora le richieste di potere parlare telefonicamente con l’ostaggio. «Ci sono notizie che non possono essere divulgate per non mettere a repentaglio la vita dell’ostaggio», hanno confermato all’Agenzia "Sir" sia Shlemon Warduni, ausiliare caldeo di Baghdad che
Louis Sako, vescovo di Kirkuk. Richieste di denaro, ma senza una precisa scadenza. Probabilmente si cerca fra i capi tribù, si mandano messaggi pure alla comunità musulmana, che sembra essersi messa in moto. «"Imam", "sheik" e autorità hanno espresso solidarietà», ha confermato Sako dopo aver lanciato un "appello" televisivo. E nella Chiesa caldea la domanda da venerdì è sempre la stessa: quale la motivazione di quest’ultimo sequestro contro un uomo, per di più in precarie condizioni di salute? Una "ritorsione" degli estremisti islamici: «Forse per la pubblicazione delle "vignette satiriche"? Oppure al progetto di costruire una "enclave" cristiana nella piana di Ninive?», si chiede l’arcivescovo Sako. Oppure potrebbe trattarsi di criminali comuni che cercano di guadagnare il più possibile. È l’ora del dubbio, ma soprattutto dell’emergenza "umanitaria": da Mosul – dove venerdì sera lo stesso Raho è stato rapito fuori dalla parrocchia del Santo Spirito, dopo un agguato mortale alle sue due guardie del corpo e all’autista – è l’arcivescovo di rito siriaco Baptiste Georges Casmoussa a spingere sulla motivazione "umanitaria". «La sua liberazione sarebbe un gesto umano, al di fuori di ogni questione politica», ha dichiarato ieri chiedendo a tutti di pregare per la liberazione. Nessuna traccia concreta per identificare i rapitori, mentre una apposita "task force" della polizia sta "battendo" la città, importante centro del Kurdistan, a partire dal quartiere al-Nour, dove appunto è avvenuto il sequestro. E dopo gli "appelli" di domenica del Papa e del "Consiglio dei vescovi" di Ninive e della presidenza dell’"Unione europea", ieri un "appello" della stessa comunità caldea: «Basta guerra, basta rapimenti, basta omicidi di innocenti.
Impariamo a convivere nella diversità, come ci insegnano le nostre religioni».
La voce delle due comunità sembra essersi unita per invocare la liberazione di monsignor Faraj Rahho, mentre a Kirkuk un rappresentante del "movimento" del "leader" sciita Moqtada al-Sadr ha affisso uno striscione, in cui si spiega che «tali azioni sono solo nocive per l’
Iraq». Si prega e si spera che oggi sia il giorno della svolta.