LIBERTÀ RELIGIOSA

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Chiese e un convento nel mirino dei terroristi.
Il cardinale Delli: «Chiediamo a Dio di perdonare».

Luca Geronico
("Avvenire", 8/1/’08)

Una tregua, forse solo una pausa per organizzare meglio i piani di attacco. Eppure la speranza che il riconoscimento del Natale come festa nazionale fosse il segno di una timida riconciliazione nazionale era sincera. Quasi fosse un primo segnale politico concreto, dopo che la creazione a cardinale del patriarca Emmanuel Delli aveva ricordato al mondo il martirio dei cristiani iracheni. «Avevamo ritrovato l’ottimismo e la speranza di una vita tranquilla durante le ultime feste», commenta monsignor Antonio Raho, vescovo di Mosul.
Invece «si trattava solo della quiete prima della tempesta». La tempesta del 6 gennaio: "Battesimo del Signore" per i caldei. Una solennità per la liturgia caldea mentre gli ortodossi e gli armeni in
Iraq celebrano il Natale. Il sospetto ora è che anche la tregua di Natale in fondo sia stata solo propiziata da un "imbroglio" del calendario. Il 25 dicembre cadeva appena dopo la "Festa del sacrificio": dal 19 al 22 dicembre per gli "sciiti", dal 21 al 24 per i "sunniti". Così la raffica di "autobomba" nella mattina dell’Epifania è stata una "disillusione" lacerante: colpita la Chiesa di San Giorgio dove un’ora prima il patriaca Delli aveva finito di celebrare la Messa. Colpite la Chiesa greco-ortodossa e il convento delle Suore caldee a Zaafraniya. A Mosul, invece, le "autobomba" hanno investito la Chiesa caldea di San Paolo e quasi distrutto l’entrata dell’orfanotrofio delle Suore caldee a Alnoor, una Chiesa assiriana e il convento delle Suore dominicane.
Violenze che, per i fondamentalisti islamici, indicano un bersaglio non solo da colpire ma da cancellare. Un Paese che con l’ennesimo "contraccolpo" sembra ritornare ai rapimenti e agli omicidi di sacerdoti e catechisti, o agli assalti alle Chiese che dopo il dicembre del 2005 rivelarono la nuova persecuzione.
Minoranza da sempre oppressa, negli ultimi due anni i cristiani hanno subìto una "talebanizzazione" forzata ad opera di fanatici che contendono allo Stato il controllo del territorio.
Senza che nessuno sappia o voglia opporsi, per cui la fuga è stata per molti l’unica via d’uscita. E il rientro in patria, nonostante i proclami rassicuranti del governo, non è per i cristiani. Quelli che restano pregano per la riconciliazione: «Chiediamo a Dio di perdonare i terroristi: il mio è un invito al perdono reciproco» ha dichiarato il patriarca Delli. E a Mosul il vescovo Raho ha voluto celebrare Messa nella Chiesa di San Paolo ormai senza porte e finestre.
Chi resta deve sopravvivere anche alla speranza spezzata.