Risultati degli "Azzurri", il destino della "città olimpica"
Piccolo "bilancio" pechinese
(anzi, addirittura due)
Umberto Folena
("Avvenire", 26/8/’08)
Scendi dall’aereo dopo 20 giorni a Pechino e cerchi di riabituarti a stare in mezzo a gente che non ti guarda né ti sorride, a panini che costano quanto pranzi di tre portate, ma con la soddisfazione di un paio di occhiali nuovi realizzati in mezz’ora e costati un decimo che in Italia.
Osservi il "medagliere" e puoi scegliere.
Se vuoi indulgere nel pessimismo, esercizio che in Italia ti fa passare per analista pensoso e degno di credito, il "bilancio" è in rosso: 13 medaglie d’oro a "Sydney 2000", 10 ad "Atene 2004", 8 a Pechino. Siamo decisamente in declino anche nello "sport", urge processo al "Coni", i ragazzi italiani sono obesi "bamboccioni", il Governo è inerte, eccetera. Se invece preferisci passare per un ingenuo e opti per l’ottimismo, tutte quelle medaglie d’oro la Cina a qualcuno le avrà pure strappate, magari con quegli "aiutini" che mai si negano alla nazione ospitante. Che dire poi dei nostri argenti che sono mezzi ori, come Josefa Idem che lo perde per mezzo centimetro, e della serie infinita di "medaglie di legno", quarti posti "beffardi"?
L’ottimista ha infine gioco facile a indicare al pessimista che la mitica Spagna di Zapatero, che pare ci strapazzi in ogni campo, ha "raggranellato" la miseria di 18 medaglie totali contro le nostre 28, con appena 5 ori: roba da processo alla patria e crisi di Governo.
Perbacco, abbiamo un oro in più perfino dei cugini francesi e più medaglie totali dei giapponesi, più numerosi (e disciplinati) di noi e tutto tranne che "bamboccioni".
Abbiamo un quarto delle medaglie cinesi, i quali però sono l’Italia moltiplicata per 30.
L’ottimista si accorge che le medaglie d’oro sono divise esattamente a metà tra maschi e femmine, segno d’indubbio progresso; che in molti casi siamo andati a medaglia dopo aver deluso, come Montano e Pellegrini, segno di indubbio carattere.
Il pessimista, non sapendo come replicare, sposta lo sguardo su Pechino e si domanda: che ne sarà di lei da oggi in poi? Nessuno si illude che la città rimanga per davvero la "cartolina linda", cordiale ed efficiente che si è messa in posa per "cameraman", fotografi e giornalisti. Ma Pechino e la Cina, dopo i "Giochi", resteranno gli stessi o in qualche modo cambieranno? E il Governo cinese, una volta incassato il consenso e aver fatto circolare il "brand" "Beijing-China" in tutto il globo, incasserà soltanto o dovrà pure pagare qualche prezzo?
Alcune previsioni sono fin troppo facili. Scompariranno altri "ulong", i quartieri popolari così caratteristici, ma anche "fatiscenti", con quelle casette troppo simili a "baracche" dove si gela d’inverno e ci si "rosola" d’estate, e spunteranno altri grattacieli e palazzoni e "arterie" a sei corsie al posto dei vicoli. I pechinesi – della Cina profonda non osiamo dire nulla, non sapendone quasi nulla – continueranno a convivere tra le spinte frenetiche del mercato e il potente freno della tradizione, tra "globalizzazione" e nazionalismo "sciovinista". I nuovi "timonieri" continueranno forse a illudersi di poter tenere un popolo immobile mentre il mercato scorre, come se le merci, la pubblicità, il consumo che – per chi può permetterselo – irrompe nel consumismo sia qualcosa di neutro, e non porti invece con sé modelli di pensiero e di comportamento, come noi occidentali sappiamo bene.
Controllare il mercato globale, che ha nello "sport" con gli "sponsor" ingordi uno dei suoi "bracci armati", continuando a controllare i "cittadini-consumatori". Solo la Cina forse potrebbe riuscirci, e sarebbe la prima; ma neppure la Cina può essere sicura di riuscirci.