Darfur, vertice a Parigi

RITAGLI    Percorso in vista della pace    DIARIO

Giulio Albanese
("Avvenire", 26/6/’07)

Lungi da ogni trionfalismo, le conclusioni della riunione svoltasi ieri a Parigi del "Gruppo di contatto allargato" sulla situazione nel Darfur vanno prese con il beneficio d'inventario. Formalmente, sul piano politico, si ha l'impressione che la comunità internazionale intenda imprimere una svolta, impegnandosi a «sostenere» gli sforzi delle "Nazioni Unite" e dell'"Unione Africana" perché si trovi una via d'uscita a una situazione di conflitto che in quattro anni, giova ricordarlo, ha causato oltre 200mila vittime (altre fonti autorevoli parlano di 400mila) e due milioni di profughi.
A questo proposito, nel corso della conferenza stampa che ha segnato la conclusione del vertice, il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner ha fatto intendere che si comincia a scorgere una sorta di fioca luce al termine di un cammino nell'oscurità. Eppure, di fronte a questi pronunciamenti occorre rimanere con i piedi per terra, non foss'altro perché la questione di fondo è la messa a punto di una strategia d'intervento che da una parte possa scongiurare inutili spargimenti di sangue e dall'altra serva a garantire l'assistenza umanitaria nei confronti della stremata popolazione civile che vive in questa martoriata e remota regione sudanese, al confine con il Ciad. La sensazione è che le pressioni della società civile nelle sue molteplici componenti - le Chiese cristiane "in primis", unitamente ad organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani - abbiano innescato nei circoli della diplomazia internazionale la consapevolezza che non è più possibile "tergiversare". «Gli sforzi vanno moltiplicati», ha detto il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, precisando che «si tratta di agire e di fare tutto ciò che può essere fatto». Quasi a significare che a questo punto occorre davvero passare dalle parole ai fatti.
L'impegno del governo sudanese, annunciato recentemente, a dare il via libera al dispiegamento dei 23.000 soldati di una forza "ibrida" Onu-Ua nella regione, fa ben sperare. Rimane comunque aperta la questione negoziale: è urgente concludere una trattativa di pace che coinvolga tutti i protagonisti della guerra civile esplosa nel febbraio del 2003. Molto dipenderà dal ruolo della
Cina che, com'è noto, sostiene a spada tratta i propri interessi economici legati soprattutto al "business" del petrolio sudanese. Da questo punto di vista è sintomatica la dichiarazione rilasciata dall'inviato di Pechino a Khartum, il quale ha auspicato moderazione nelle relazioni con il governo sudanese. «Dobbiamo inviare a Khartum un segnale positivo ed equilibrato - ha detto - , affinché la situazione non si complichi ulteriormente», spiegando che sarebbe controproducente mettere sotto pressione o minacciare sanzioni per giungere ad una soluzione del conflitto nel Darfur.
La questione di fondo però è un'altra. Finché non verranno chiarite le vere ragioni che hanno determinato l'"escalation" di violenze alla radice di questa catastrofe umanitaria, parafrasando un aforisma dell'etnia "fur", «sotto la cenere continueranno ad ardere le braci della discordia». Tutti sanno che il
Sudan galleggia sull'oro nero e che il bacino petrolifero si estende ampiamente nell'intera regione, sia in territorio ciadiano sia in quello centrafricano. Si tratta pertanto di giocare a carte scoperte nella consapevolezza, come ha detto ieri il presidente francese Nicolas Sarkozy, che «il silenzio uccide».