Mindanao: l’islam e la croce
Stefano Vecchia
("Mondo e Missione", Ottobre 2007)
Per una volta non si può proprio dire che il sequestro di un missionario italiano sia passato sotto silenzio. E questo certamente è un bene. Un Paese intero ha condiviso l’ansia per la sorte di padre Giancarlo Bossi. E ora che finalmente è tornato tra noi c’è tanta voglia di conoscere meglio questo prete di poche parole e tanto cuore. A bocce ormai ferme, però, c’è una domanda che per noi resta aperta: quanto il modo in cui i "mass media" hanno raccontato la "vicenda-Bossi" ci ha aiutato a volgere davvero lo sguardo a una terra come Mindanao, la tormentata regione del sud delle Filippine dove padre Giancarlo vive la sua missione?
A qualcuno potrebbe sembrare la domanda dei soliti incontentabili. Ma non è così. Le condizioni di vita della gente nella grande isola meridionale filippina, i problemi sociali e politici, le tensioni, il coraggio di tanti e la violenza cieca di pochi, non sono un di più, ma un elemento indispensabile per capire che cosa realmente è successo quella mattina di giugno a Payao. E per non cadere in letture ideologiche fuorvianti. Ecco, allora, il senso di questo nostro "Servizio speciale" su Mindanao, scritto da un giornalista che l’ha visitata più volte, l’ultima nei giorni del rapimento di padre Bossi. Una serie di coordinate geografiche, cronologiche, umane, utili per comprendere cosa significa annunciare il Vangelo a quelle latitudini. In una terra storicamente di scontro, perché sulla linea di contatto tra due fedi - quella cristiana e quella islamica - che per secoli sono state in competizione in Asia. Ma - per lo stesso motivo - terra anche di antico e necessario dialogo di vita. Perché la missione qui continua. Anche dopo i giorni difficili del sequestro di padre Giancarlo Bossi.