P. GIANCARLO BOSSI

PRECEDENTE    La storia e il rapimento…    SEGUENTE

( www.pime.org )

Filippine: in evidenza la missione di Payao.

Dai luoghi del rapimento,
aspettiamo il ritorno di P. Giancarlo!

P. Giancarlo Bossi, Pime.

Alcuni dati anagrafici

P. GIANCARLO BOSSI è nato ad Abbiategrasso (MI) il 19 febbraio 1950. Conseguito il diploma di Istituto Tecnico Industriale e, per la sua altezza di 1.90 metri, appassionato di pallacanestro. Dopo il servizio militare, nel 1973 entra nel seminario del PIME e, terminati gli studi teologici, viene ordinato prete missionario il 18 marzo 1978. Subito è destinato alla missione e dal 1980 è nelle Filippine. Dopo aver studiato le lingue Tagalog e Visaya è assegnato, durante gli anni, in varie parrocchie: Tondo (Manila), Siay, Payao, Manila, Bayog (Prelatura di Ipil). Dal 1996 al 1999 rientra in Italia per un servizio nella casa per missionari anziani e ammalati che il PIME ha a Rancio di Lecco. Rientrato nelle Filippine nel 2000, viene mandato nella parrocchia di Bayog, Prelatura di Ipil, dove rimane fino a pochi mesi fa, quando gli viene chiesto di ritornare a Payao. Infatti, Padre Giancarlo, dal 1986 al 1990, aveva già lavorato in Payao, allora parte della parrocchia di Siay; fu lui che nel 1989 dette inizio alla nuova parrocchia di San Pablo. </>

L’anno scorso, Padre Giancarlo aveva oramai deciso di iniziare una presenza tra i contadini nella collinosa parrocchia di Sampuli. Aveva già fatto una esperienza simile sulle montagne di Dominatag (vicino, si fa per dire, a Zamboanga City) più di dieci anni fa. Una povera comunità di contadini. Là aveva costruito la sua casetta di legno, dove si faceva da mangiare, diceva Messa nella vicina cappella e aveva iniziato a coltivare riso e verdure. Poi la chiamata in Italia per un periodo di servizio tra gli anziani.

Il progetto attuale (2007) consisteva nel comperare un pezzo di terra e coltivarla, con alcuni contadini del luogo, secondo metodi più organici. Padre Giancarlo diceva sempre di sentirsi "ricco" in mezzo ai poveri, per questo voleva condividere la stessa vita della sua gente. Un’utopia forse, ma per lui la vita va guadagnata con il lavoro delle mani e il sudore della fronte (come del resto ha sempre fatto anche quando era parroco). Insomma, una vita povera e semplice, ma non per sfizio; infatti, e lo diceva sempre, una vita così permette di riscoprire valori più profondi come la preghiera giornaliera, soprattutto quella contemplativa.

Poi vi è stata la richiesta di Payao, per una mancanza di personale nella Prelatura di Ipil. Padre Giancarlo ha accettato volentieri questa richiesta, che gli dava modo di ritornare in un luogo che aveva amato molto e in cui era stata apprezzata la sua attività, tanto che una via di Payao, quella che porta alla parrocchia, è stata dedicata proprio a lui, al grande Padre: "Father Giancarlo Bossi Street". Ed era il più bel regalo che potevano fargli.

Il rapimento

P. GIANCARLO BOSSI, missionario italiano del Pontificio Istituto Missioni Estere, è stato rapito il 10 giugno scorso, da dieci persone armate, che lo hanno preso subito dopo la fine della Messa a Payao, cittadina della zona di cui P. Bossi è parroco. Il rapimento del missionario è avvenuto alle 9.35 di mattina (ora locale) nel villaggio costiero di Bulawan, nella zona di Zamboanga, nell’arcipelago meridionale di Mindanao. Nessuno finora ha rivendicato il rapimento di P. Giancarlo, né sono state avanzate richieste di riscatto. Il P. Bossi è il terzo sacerdote italiano ad essere rapito nella zona negli ultimi dieci anni. L’8 settembre del 1998, P. Luciano Benedetti del Pime viene sequestrato nei pressi di Sebuco, a Zamboanga del Norte, sull'isola di Mindanao. Dopo 68 giorni di prigionia, viene rilasciato il 16 novembre. 

Nell’ottobre del 2001, alcuni membri del gruppo "Pentagon" rapiscono P. Giuseppe Pierantoni, missionario del Sacro Cuore di Gesù, mentre celebrava Messa a Dimantaling, Zamboanga del Sur. Il sacerdote viene rilasciato sei mesi dopo: interrogato dalla polizia, dichiara di essere stato consegnato da un gruppo ad un altro per tutto il periodo del suo rapimento, mentre esercito e polizia lo cercavano. 

Nella zona, dal 1978, è in corso un conflitto fra i guerriglieri indipendentisti mussulmani e l’esercito nazionale, di cui più di una volta hanno pagato il prezzo civili e religiosi. 

Il missionario rapito, spiega il superiore regionale, P. Gian Battista Sandalo, "era molto amato. Qui lo chiamano ‘il gigante buono’, perché è tranquillo, silenzioso, in un certo senso ‘essenziale’. Parla poco ma è un enorme lavoratore, che ha sempre coniugato il lavoro manuale con la sua vita spirituale. Uno dei suoi sogni era quello di vivere in un villaggio, come testimone della radicalità del Vangelo: voleva fare il contadino".

È un uomo, continua P. Sandalo, "che ha sempre espresso una profonda solidarietà con i più poveri: quando lo scorso febbraio gli è stato proposto di tornare a Payao, dove aveva già lavorato per tre anni nei primi tempi della sua missione nelle Filippine, ha rinunciato a ciò che sognava di fare per riprendere a lavorare con i poveri".