IO, MISSIONARIO CON LA PASSIONE PER IL LEGNO...
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Tutto cominciò con il furto di un traforo nel ripostiglio di un anziano missionario. Un simpatico ometto che aveva vissuto per decenni tra i cinesi... a furia di guardarli, i suoi occhi brianzoli erano diventati due fessure di furbizia e di saggezza.
Pensavo che non si accorgesse del vuoto rimasto, ma non tramontò il sole sulla sua ira. Dovetti confessare e fu subito pace a patto di restituire dopo l'uso. Non l'ho mai più ridato al proprietario.
Di quel traforo mi sono innamorato e al vecchio missionario feci omaggio del primo parto della mia fantasia: una croce di bambù, a lui che avrebbe ben meritato di portarne una episcopale sulla sua tonaca.
Il bambù abbondava allora. Non nei pochi boschi sopravvissuti allo scempio edilizio di Hong Kong, ma nelle imprese per le impalcature delle costruzioni; da loro mi fornivo senza difficoltà e con poca spesa. Gli operai spalancavano con stupore le fessure degli occhi al vedere uno straniero impadronirsi di quelle canne come fossero merce rarissima.
Traforare il bambù non è un'impresa facile: perché occhi e mani devono obbedire alla sua curvatura e non ha un carattere docile, con quella fibra spessa e compatta. Eppure non mi ha mai deluso, anche se per lavorarlo dovevo ferirlo spaccandolo in due in sezione verticale. A volte sembrava lamentarsi quando scoprivo il suo interno. I giapponesi dicono che il vuoto tra i nodi che lo chiudono ermeticamente è il ricettacolo della divinità. Non si potrebbe violarlo!
Di croci ne sono uscite a centina dal mio atelier, per le case dei cristiani, per le prime comunioni, da portare al collo. Ma il ricordo più significativo della mia passione per il lavoro in traforo fu il commento di una suora dopo aver ricevuto il dono: «Non hai mai pensato di produrre altri oggetti, per esempio un tabernacolo? Può darsi tu stia scoprendo un talento». Quello stesso giorno studiai un progetto per un tabernacolo in bambù da collocare nell'aula di preghiera in una scuola. Se i giapponesi non danno un nome alla divinità racchiusa nell'anima del bambù, noi cristiani sappiamo Chi si è fatto prigioniero nei tabernacoli delle chiese.
Il bambù in oriente, specialmente in Cina, è un albero sacro che "annuncia la pace", molto più che per noi l'ulivo. Mancando in Italia il bambù, mi fanno compagnia altri tipi di legno: oltre l'ulivo anche il salice, la betulla, il larice, il cirmolo, l'abete. Dico "compagnia" perché il legno è vivo anche dopo che è stato tagliato dalle radici. Il legno si muove, piange, si dilata, sbadiglia, si restringe, si concentra in un nodo, si infiamma, si lamenta.
Trovo questo lavoro manuale gratificante, non solo perché vedi crescere gradualmente il frutto della fantasia, ma anche perché rasserena la mente, stimola la riflessione, la meditazione e la lode per il dono delle mani, della vista, dell'olfatto. Sì, perché i legni li sto conoscendo anche dal profumo che emanano.
Ho fatto poi l'esperienza che la creatività è attiva se è in proporzione della gratuità. L'offrire un oggetto uscito dalle tue mani senza che le mani pretendano una ricompensa, fare contenta una persona è già tutto, basta anche alla tua gioia.
Chi ha pensato di regalarmi strumenti più moderni, più tecnologici per alleggerirmi la fatica, è rimasto deluso per il mio rifiuto. Non mi affascina l'idea di affidare a un motore quello che può uscire solo dalla mente attraversando le dita delle mie mani, anche se spesso le lame del traforo si ribellano e lasciano spiacevoli impronte. In fondo, possono fungere da firma dell'autore.
P. Luciano Lazzeri